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Rubrica di Emanuela Medi
 

Il bacco di Caravaggio

Nella tradizione di autoritratti degli artisti del Cinquecento, non poteva mancare un piccolo dipinto in cui Caravaggio ritrasse se stesso nei panneggi di un Bacco giovane. Il dipinto del Caravaggio si rifaceva ad alcuni  elementi iconografici di artisti che vedevano in Bacco il  nume tutelare della loro categoria.

In particolare costoro erano convinti che con il vino potesse essere raggiunto un particolare stato di “furore creativo”. L’incarnato bluastro dell’autoritratto è stato associato dal Longhi ad un episodio di un soggiorno del Caravaggio nell’Ospedale della Consolazione per un calcio ricevuto da un cavallo, ma per alcuni autori il colorito era dovuto all’abitudine di molti pittori dell’epoca, di dipingere alla luce lunare perché maggiormente ispiratrice del “ furore lunatico”. Il quadro si ‘e sempre prestato a numerose interpretazioni per la sofferenza degli  occhi, e il suo provocante sorriso. Per molti critici l’opera rappresenta uno dei cinque sensi: il gusto o  il ”poeta elegiaco”.
Per altri, il Bacco di Caravaggio altro non è che la lussuria, o  il Bacchino malato, o lo stesso Cristo risorto che esce dalla tomba. Forse la più convincente delle interpretazioni è l’immagine dell’artista nello stato di melanconia.
Il dipinto venne datato nel 1593. Giunse in possesso del cardinale Scipione Borghese nel 1607 tramite il sequestro della collezione del Cavalier d’Arpino da parte del giureconsulto e procuratore generale della Camera Apostolica, Prospero Farinacci. Attualmente fa parte della prestigiosa collezione del Museo di Villa Borghese.
Monica Assanta, giornalista
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