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Rubrica di Emanuela Medi
 

I vini che sfuggirono alla peste

Ci fu un tempo un temibile conquistatore che mise a “ferro e fuoco” intere nazioni e che minacciò una vera e propria guerra mondiale. Non stiamo parlando di leader dal calibro di Hitler, Napoleone, Gengis Kan o altro,  ma di un insetto che rischiò di eliminare dalla faccia della terra la coltivazione della vite e la produzione del vino. Le Americhe furono il luogo dove la fillossera, questo il nome dell’insetto, partì per la sua crociata  mondiale anti vigne, ma fu l’America che riuscì poi a trovare il rimedio.

Ma facciamo un passo indietro nella storia.

Come ben sappiamo in Italia la produzione del vino e la coltivazione delle vigne risale alle antiche civiltà Greche e Fenicie. A quei tempi e, per i secoli successivi, i viticultori producevano le giovani piante interrando e facendo radicare i tralci tagliati con la potatura, per poi impiantare nuovi vigneti, che per questo motivo vennero definiti a “Piede franco”.Purtroppo alla fine dell’ottocento, il “ male francese” che tanto colpì gli uomini, arrivò anche a contagiare le piante. Ovviamente non si trattava della stessa affezione ma a seguito di importazioni in Francia di talee di cultivar americane, fu introdotto un piccolo parassita, che venne definito “il terribile” che si insidiava nel terreno, parassitizzando e distruggendo le radici delle Viti,  provocandone la morte.

Il tremendo insetto in realtà era un afide giallo con fasi di sviluppo parallele a quelle della vite e con la capacità di riprodursi senza accoppiarsi. Provocò in pochissimi anni una vera apocalisse. Come un moderno Cristoforo Colombo all’incontrario, il parassita partì dalle Americhe e sbarcò nella regione del Gard e in pochi anni si diffuse in tutta Europa. I vigneti caddero uno ad uno e, finché gli americani non trovarono il rimedio, i coltivatori  del vecchio mondo non poterono altro che assistere  alla morte delle proprie vigne. La soluzione fu quella di innestare la vitis vinifera su barbatella americana.

Il Nord America era infatti il luogo dove la Philloxera parti per la sua crociata anti vigne e nel corso dei secoli la vitis selvatica americana ha imparato a difendersi da questo insetto. L’attacco della fillossera per le viti nostrane (Vitis vinifera) fu particolarmente disastroso sull’apparato radicale, dove le galle prodotte dalle generazioni radicicole marcirono e portano alla distruzione dei vigneti in 4-5 anni. Ciò che lo rendeva invincibile era la sua maniera differente di comportamento  sulle diverse varietà di vite. In particolare, mentre sulle varietà americane dava origine a galle sulle foglie, rendendo palese la sua presenza in un vigneto ,in altri casi l’infezione appare silente fino a che le piante non iniziano a morire.

I primi tentativi per combattere questo parassita furono vani ma si scoprì successivamente che alcuni vitigni americani avevano sviluppato la capacità di resistere agli attacchi di Fillossera, ed iniziò da parte dei vivaisti la produzione di pianticelle (dette barbatelle) che erano il risultato di un innesto   più attaccabile da questo terribile insetto “Yankee”. L’insetto aveva comunque “un suo tallone d’Achille” e per fortuna fu individuato. Ci si rese conto che c’erano delle piccole zone delimitate dove la philloxera non riusciva ad attaccare l’apparato radicale: Queste zone erano spesso con suoli sabbiosi oppure naturalmente isolati.

In Italia, grazie alla grandissima diffusione della viticoltura su tutto il territorio, si era osservato che in alcuni areali di coltivazione caratterizzati da terreni di origine vulcanica o con una composizione molto sabbiosa, le viti non erano attaccate da Fillossera, e non era quindi necessario impiantare nuove pianticelle innestate, ma si poteva ancora coltivare vigneti con piante a “Piede franco”.

Questo probabilmente derivava dal fatto che la particolare ed unica composizione dei terreni esercitava una attività meccanica di abrasione sugli insetti, lesionandone l’esoscheletro e provocandone la morte.

Tutt’oggi in queste zone, uniche al mondo, possiamo vedere ancora vigneti composti da Viti radicate nel terreno come nell’antichità, senza innesti su vite americana, che producono vini assolutamente straordinari.

Tra queste, una delle più suggestive è sicuramente rappresentata dall’Isola di S.Antioco in Sardegna, dove si possono vedere vigneti di Carignano  (antico vitigno autoctono a bacca rossa) coltivati ad “Alberello Latino”, spingersi sino a qualche decina di metri dal mare, creando uno scenario veramente emozionante e ricco di un valore culturalmente così importante da giustificarne forse l’inserimento nel “Patrimonio dell’Umanità”.

Monica Assanta, giornalista

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