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Rubrica di Emanuela Medi
 

Il profumo degli agrumi

Goethe, nel 1786, dopo un viaggio in Sicilia, sottolinea la bellezza dell’arancio con i famosi versi: “Conosci la terra dove fioriscono i limoni, dove le arance d’oro brillano sulle scure foglie”. Anche una delle più famose canzoni in dialetto siciliano dice “c’è nu jardinummiezu o mari, chinu di ciuri, d’aranci e di slu, pure l’acceddi vanno a contari, pure li pisci ci fannu l’ammori” (C’è un giardino in mezzo al mare, pieno di fiori d’aranci e di sole, pure gli uccelli ci fanno l’amore!)

Tuttavia la coltivazione degli agrumi ebbe successo, oltre che in Sicilia anche in altre regioni italiane. Giorgio Galesio, aristocratico ligure appassionato di botanica, autore della “Polmona italiana”, ossia “Trattato degli alberi fruttiferi 1817- 1839” scriveva: “gli aranceti della zona di Finale, forse sono i più belli d’Europa, anche se quelli della Sicilia portano frutti molto dolci”. E anche gli agrumi di Sanremo (scriveva Gualdo Priorato) “sprigionano un tale profumo da essere avvertito dai navigli fino a sei miglia dalla costa”. Anche a fine ottocento, quando la nobiltà russa veniva in inverno a Sanremo per curare le malattie polmonari grazie al clima mite, il profumo dei mandarini era particolarmente apprezzato. Nell’alta Toscana, in quel triangolo che si insinua e confina con la Liguria e l’Emilia, il principe Clemente di Metternich, attorno al 1820 scrisse “Dal mio letto ho una veduta incantevole! Massa è come la Sicilia. L’arancio vegeta rigoglioso in piena terra”.

Gli aranci per decoro sono tradizionalmente amari, da cui si estraggono essenze molto usate in profumeria, farmacia e liquoreria. Molto apprezzate sono anche le arance abruzzesi da cui è nato il famoso liquore Aurum, impiegando una particolare varietà tipica di arancia abruzzese che viene unita al brandy italiano invecchiato di 8 anni.

Dopo il blend, il liquore viene fatto riposare per 12 mesi in botti di rovere, senza aggiunta di coloranti né di conservanti.

Il prodotto ha un colore dorato, un aroma dolce e fragrante, in cui predomina la nota tipica dell’arancia. Quando fu avviata la produzione industriale, il padrino dell’Aurum fu Gabriele D’Annunzio, che lo definì “oro di lieve peso”, tradotto in latino “levisponderisaurum”, da cui “Aurum”. La tradizione vuole che Caterina de’ Medici andata sposa ad Enrico II il re di Francia, abbia introdotto nella corte d’oltralpe, alcuni piatti della cucina toscana che i francesi hanno poi sviluppato reclamandone la paternità, come la famosa “canard a l’orange” che pare logico pensare sia stata preparata a quei tempi con le arance che venivano coltivate nella zona di Massa.

Dal libro: “La storia di ciò che mangiamo” di Renzo Pelati

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