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Rubrica di Emanuela Medi
 

 Intervista di Lucius Etruscus a Giacomo Mezzabarba autore di un ricco ciclo di apocrifi holmesiani

Chi è Giacomo Mezzabarba? Uno pseudonimo,, un prete, un noto falsario, che fu al seguito di Garibaldi nell’impresa dei Mille.. o uno scrittore contemporaneo  innamorato di Shelock Holmes, tanto da volerlo far rivivere in un ciclo di grande successo? Non saprei dare una risposta soddisfacente. Io stesso, che pure ho a che fare con lui da una vita, non credo di conoscerlo bene e sospetto che lui stesso non sappia chi è. L’ho sentito più di una volta citare alcune parole di Samuel Beckett con le quali chiudo l’argomento: «Dove andrei, se potessi andare, che cosa sarei, se potessi essere, che cosa direi, se avessi una voce, chi parla così, dicendosi me”.

Quando è entrata la passione per Sherlock Holmes nella tua vita?

Il personaggio di Sherlock Holmes è entrato nella mia vita per la prima volta con” Uno studio in rosso “che acquistai per pochi spiccioli su una bancarella a Napoli quando credo che avessi dodici o tredici anni. In seguito lessi con vera passione tutte le pagine che Arthur Conan Doyle aveva dedicato alla sua creatura e più tardi mi meravigliai che la peraltro ottima edizione curata da Alberto Tedeschi per gli Omnibus Mondadori non avesse lo scrupolo filologico di altri editori, come Alberto Peruzzo o Newton Compton. Mi riferisco soprattutto alla omissione della breve ma fondamentale prefazione al Taccuino di Sherlock Holmes oltre ad altre più gravi pecche, come l’inammissibile censura nella traduzione, quando in qualche raro caso sir Arthur si lasciava andare a qualche giudizio poco lusinghiero nei confronti degli italiani.

Da ragazzo – e anche da adulto in verità – avrei voluto che Holmes fosse, per usare una celebre espressione di Maurice Blanchot, un infinito intrattenimento; quelle che oggi sono le telenovele o i serial o gli eroi come Tex Willer, per fare solo il nome più celebre. Ma l’autore, ahimè, gli aveva dedicato solo, si fa per dire, cinquantasei racconti brevi e quattro lunghi e per giunta, come appresi poi, scritti talvolta anche di malavoglia.

All’insaziabile lettore che ero, sembrava inconcepibile che, come un padre snaturato, Conan Doyle meditasse – come poi avvenne – la morte della sua creatura, e si decidesse a resuscitarla solo dopo ben sette anni di silenzio. Ho sempre pensato che l’autore avrebbe potuto – anzi, dovuto – scrivere molte più avventure. Ma fu quando visitai la splendida mostra dedicata dal Museo di Londra nel 2014 al principe dei detectives che, presuntuosamente e forse indegnamente,  l’idea già latente di sopperire a questa lacuna si concretizzò in me. Cominciai così a scrivere alcuni racconti, dieci per la precisione, che entrarono in una raccolta che battezzai All’ombra di Sherlock Holmes, ciascuno però con un suo titolo specifico che non sto qui a elencare. Devo ringraziare vivamente Luigi Pachì che li lesse, li apprezzò e li pubblicò in ebook presso la Delos Digital.

Holmes nel Canone, negli apocrifi, al cinema, in TV e a fumetti: qual è il tuo Sherlock preferito?

Confesso di essere per la tradizione e dunque per il Canone. Ho sempre cercato infatti di rendere lo “spirito”, se così si può dire, del testo, dell’ambientazione, dei dialoghi e delle caratteristiche dei personaggi creati da Sir Arthur. Per me il maggior complimento che ho ricevuto – e l’ho ricevuto da più di una persona – è sempre stato “sembra di leggere Conan Doyle”. Mi rendo conto che la frase potrebbe essere interpretata anche in modo negativo: non si tratta forse di un volgare plagio, di un pappagallesco rifare il verso a un grande, di una meschina mancanza di originalità? Ma vediamola sotto un altro aspetto: ho scritto le altre avventure che avrebbe potuto vivere Holmes, un personaggio che amo e che non volevo morisse rinchiuso nello spazio di cinquantasei racconti brevi e quattro lunghi. Ciò detto, apprezzo, sempre che lo meritino, tutti i tentativi di dar vita al personaggio di Sir Arthur, si tratti di film, di fumetti o di apocrifi, quando naturalmente non si allontanano troppo o stravolgano il detective di Baker Street.

Molti attori hanno interpretato Holmes al cinema e in TV: c’è qualcuno a cui sei particolarmente affezionato?

Il mio attore preferito è senza alcun dubbio Jeremy Brett, più dei tanti, a cominciare da Basil Rathbone, che si sono cimentati con la creatura di sir Arthur. Credo che sia stato lui il più versatile interprete del personaggio, coadiuvato da una eccellente regia e da una parimente eccellente scenografia. Ed è un vero peccato che egli sia deceduto prima di completare l’intera saga di Sherlock Holmes per la Granada Television. Egli si era talmente identificato nel personaggio da risentirne psicologicamente e anche la sua vita privata esasperava certe tendenze latenti o presenti nell’Holmes di Sir Arthur. Ho sempre creduto che anche nel momento estremo, esalando l’ultimo respiro prima di piombare nel grande buio, Brett pensasse che lui era Holmes e che Holmes moriva con lui.

Lo scorso giugno è uscito il tuo “Sherlock Holmes: Qua viva” e questo luglio uscirà un altro tuo apocrifo, “Sherlock Holmes: Gli impiccati di Kensal Green“: puoi parlarcene?

Preferirei non parlare dei miei racconti già usciti o di imminente uscita. Se il lettore non si è stancato dei dieci precedenti già pubblicati, leggerà, o almeno lo spero, anche questi altri dieci che probabilmente saranno gli ultimi. Mi limiterò a dire che il racconto Qua viva prende il titolo da un verso di Catullo inciso su una tomba a Highgate, mentre Gli impiccati di Kensal Green hanno a che fare, ma solo di sfuggita e solo per l’albero da cui pendono, con un altro celebre cimitero londinese.

Come ti poni nello scrivere un apocrifo e gestire lo storico personaggio di Conan Doyle? Ti senti spavaldo o timoroso?

Non mi sento né spavaldo né timoroso nello scrivere e gestire il personaggio creato da Conan Doyle. Sono convinto che in ognuno di noi c’è qualcosa che trascende la nostra singola individualità e che è comune ad altri con cui abbiamo consonanza e affinità. Da qualche parte Borges (sempre lui!) dice che nel coito l’uomo è tutti gli uomini. Possiamo estendere questa identità collettiva anche alla creazione letteraria o artistica o alla ricerca scientifica. Allo stesso modo una corrente letteraria o filosofica o artistica può avere i suoi alti e i suoi bassi, ma nondimeno unisce una molteplicità di soggetti nell’atto creativo comune, in una comune ricerca, in un comune sentire. Forse Hegel lo avrebbe chiamato Spirito Oggettivo, altri una cotérie, come quella illuministica che portò avanti l’impresa dell’Encyclopédie, altri ancora con l’etichetta di una delle tante categorie di cui abbonda la storia dell’arte o della letteratura: i Macchiaioli, la Scapigliatura, eccetera. Mettiamola così: se Conan Doyle fosse un rinomato pittore, mi considererei uno degli artigiani o degli aiutanti che lavorano nella bottega di Sir Arthur e sarei lusingato se egli mi volesse affidare il compito di terminare o integrare i particolari di un quadro. 

Sei ormai entrato anche tu nel grande mondo dell’editoria digitale: cosa si prova a far parte di un catalogo sempre disponibile?

L’editoria digitale è ancora minoritaria e molti lettori non sono attrezzati per usufruirne, non solo tecnologicamente, ma anche psicologicamente. Certo, il fascino tattile della carta, la possibilità di segnare un passo con una matita o – mi perdoni il mio vecchio professore bibliofilo – con una orecchietta, magari apponendo in margine una breve nota, sono abitudini a cui è difficile rinunciare. Io ho pubblicato anche in cartaceo (ma non di letteratura) e, pur riconoscendo la grande comodità del digitale che è senz’altro più ecologico, confesso che sono rimasto affezionato alle vecchie carte, anche perché ho frequentato, per ragioni di lavoro, molti archivi non solo in Italia, alla ricerca di lettere e documenti che mi servivano per completare un libro o articolo (stavo per dire un’indagine).

Questa estate ti ritaglierai una vacanza di stacco totale dalla scrittura o comunque terrai sempre la penna (o la tastiera) a portata di mano anche in ferie?

Penso che quest’estate mi dedicherò più che altro alla lettura, ma porterò con me il mio MacBook Pro e non si sa mai quello che può succedere.

Per finire, ti chiedo un consiglio triplo per i lettori: un luogo da visitare questa estate, un film da vedere (di qualsiasi periodo) e un libro da leggere in vacanza (oltre ovviamente al tuo romanzo).

Un luogo da visitare? Direi sempre lo scenario privilegiato delle avventure di Holmes e Watson, cioè Londra, che non si finisce mai di scoprire.

Un film da rivedere? Il capolavoro assoluto di Hitchcock, Vertigo, un film che affronta tematiche di grande spessore esistenziale: il rapporto con la morte di una persona cara e il suo apparente Volver in una trama perfettamente congegnata.

Per i libri farei una scelta piuttosto inusuale: un tuffo nel passato remoto, Le Storie di Erodoto, uno dei più grandi affreschi dei popoli e delle usanze del mondo antico compilato da un instancabile viaggiatore. Per gli amanti del moderno, consiglierei invece un breve romanzo (non un giallo) recentemente uscito, di Gea Palumbo: Centane, che tratta della piccola saga di una famiglia dell’isola di Procida (dove io risiedo)

L’intervista si trova:  http://www.sherlockmagazine.it/7605/estate– 2018-intervista-a-giacomo-mezzbarba.

Chiudo ricordando  che I racconti di di Giacomo Mezzabarba sono disponibili su Amazon e su Delos Store e Delos Digital.

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