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Rubrica di Emanuela Medi
 

La sacralità del vino: i calici e i paramenti sacri più celebri

Il carattere sacro del vino, si ritrova trasmesso anche nei tanti oggetti che in qualche modo sono venuti in contatto con esso e tra questi oggetti i calici, o, più in generale i paramenti sacri sono quelli che hanno avuto nel corso dei secoli, una benedizione speciale

Tra i calici più celebri ci sono quelli nei quali il vino, per dimostrare la sua vera natura di sangue, ha incominciato a coagularsi o quelli che conservando le ostie, quasi a comprovare la presenza del sangue oltre che del corpo di Cristo, arrivano a sanguinare, come nei vari miracoli eucaristici, da quello di Lanciano avvenuto nell’anno 750, al celebre miracolo di Bolsena del 1263, in seguito al quale la festa del Corpus Domini fu estesa a tutta la Chiesa. E fu proprio per conservare quelle preziose reliquie di Bolsena che si costruì il celebre duomo di Orvieto dove ancora oggi si possono venerare.

Due, sono tuttavia, gli oggetti che sono stati a contatto con il vino sul quale Cristo in persona ha operato trasformandone la natura, e sui quali il NUOVO TESTAMENTO ci informa in modo preciso. Il calice dell’Ultima cena e le anfore delle Nozze di Cana. Il calice nel quale si compie quotidianamente questa trasformazione del vino nel sangue di Cristo, unico, originale calice che sarebbe stato usato da Cristo stesso del corso della sua ultima cena con gli apostoli, è il famoso Sacro Graal intorno al quale si è sviluppato un nucleo narrativo di straordinaria importanza. Il Graal è dunque quella coppa di metallo nella quale si è compiuta per la prima volta il miracolo della trasformazione, reliquia fondamentale per il mondo cristiano di cui si sono perdute le tracce. Un altro calice, passato presto alla leggenda è quello attribuito a San Giovanni Evangelista, un oggetto – reliquia, così come vuole la tradizione – conservato nella Basilica Lateranense a Roma. Secondo la tradizione che prenderebbe spunto dagli Atti di Giovanni (metà II secolo dopo Cristo), Giovanni sarebbe sfuggito miracolosamente al veleno in esso contenuto. Veleno che nell’iconografia classica viene rappresentato dal serpente.

Molti sono i paesi che si vantano di possederle, tra i tanti ci piace ricordare un piccolo e sconosciuto borgo: Casaluce, il cui santuario conserva due di queste anfore che un’antica tradizione vuole siano quelle di Cana. Queste anfore furono donate da Ludovico, nipote di re Carlo d’Angiò, a Raimondo del Balzo, che viveva in quel Castrum che poi sarebbe diventata Casaluce. Le anfore venivano direttamente dalla Terrasanta da dove, nel 1282, Ruggero di San Severino le aveva portate. Alla fine del XIII secolo vennero chiamati a Casaluce i celestini, ai quali fu donato l’antico Castrum divenuto poi santuario. Proprio per questa leggenda re, regine, imperatori venerarono nei secoli questi mitici oggetti.

Dal saggio “Vivere Frizzante” di Emanuela Medi – Giornalista

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