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Rubrica di Emanuela Medi
 

La Tiella di Enea sul lungomare di Gaeta: incontro alla Pizzeria del Porto

Tornando da Roma mi fermo spesso in un locale sul lungomare di Gaeta: la Pizzeria del Porto, attratta soprattutto da un’atmosfera un po’ retrò, tipo Porto delle nebbie, che qui si respira. Ma mai avrei immaginato di farvi un incontro così interessante. Culturalmente interessante, intendo.

Dunque un giorno proprio mentre entravo, udii una voce che diceva: “Mi raccomando, la solita Tiella di Enea”. Io, che quando sento un nome legato al mito, subito provo un’irresistibile curiosità, chiesi al mio vicino. “Di Enea? Lei intende proprio l’eroe Troiano?”.

Certo – mi rispose lui sorridendo – questa di Gaeta, non è una vera e propria pizza. E’ invece un antichissimo piatto, si, intendo proprio “piatto” nel senso del contenitore. Si chiama infatti Tiella perché è, come la Tiella (la padella napoletana) il più antico e diffuso contenitore del cibo, solo che qui a Gaeta il contenitore è scomparso, diventando parte integrante del suo contenuto, un piatto che si mangia. Infatti la Tiella può contenere di tutto: verdure, polpi, ricotta. Non come la pajlella spagnola però, che si serve appunto nella padella. Questa, invece si serve da sola, senza contenitore. Ricorda la profezia che guidò Enea in Italia”.

“Certo – risposi – diceva che Enea avrebbe compreso quale era la terra dove doveva fermarsi, quando avrebbe mangiato anche i piatti”.

E dove inizia questa famosa terra – dice il mio vicino – destinata dal fato ad Enea e alla sua gente’e dove inizia il Lazio? Qui a Gaeta dove finisce il Napoletanato. Del resto perché Gaeta si chiama così? In onore di Caieta la nutrice di Enea, che qui morì”.

Che bello – mi dissi – è proprio una terra mitica questa e vera o falsa che sia questa storia della Tiella, per la prima volta vidi le zampette dei polpi che fuoriuscivano dalla imbottitura. Il segno lasciato da antichi migratori, che adattano i loro usi alle terre che incontrano e che continuano a parlarci aldilà dei secoli, attraverso i piatti… che mangiamo”.

Gea Palumbo
Docente di Storia e Iconografia Università di Roma TRE

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