Il forestiero che si trovasse a Napoli e, percorso metà del Rettifilo (i napoletani lo chiamano così, ma in realtà nella toponomastica cittadina la strada è intitolata a Re Umberto I) si dirigesse nella traversa di via Pietro Colletta, rimarrebbe stupito nel vedere nella piazzetta a pochi passi un perenne assembramento di persone. Lì, all’incrocio tra via Colletta e via Cesare Sersale, si trova una delle più rinomate pizzerie di Napoli, e sicuramente d’Europa, e sarei tentato di dire, se non temessi di esagerare, del mondo. La celeberrima “Antica Pizzeria da Michele”.
In questo venerabile tempio del più famoso piatto partenopeo, formato da tre piccole sale adorne di solenni e spogli tavoli di bianco marmo di Carrara, vengono servite, quasi ci fosse un antico, sacro vincolo di mandato da rispettare, esclusivamente la pizza margherita o la pizza marinara. La ragione di questo vincolo, ribadita da alcuni versi di un avventore-poeta che campeggiano su una parete, risale al sacro culto degli antenati che disprezzando ogni innovazione non partenopea, si erano sempre rifiutati di servire altri tipi di pizza. Sia i versi del poeta, sia le foto degli antenati, ammoniscono i presenti che la vera pizza è la margherita o tutt’al più la marinara e le tante varianti che si servono in altri luoghi sono inutili e patetici tentativi di arricchire una consolidata e insuperata tradizione.
Fu nel 1870, anno in cui iniziò la sua attività, che Michele Condurro diede inizio a una delle più longeve dinastie di pizzaioli e alcuni dei suoi parenti hanno recentemente aperto una pizzeria a Londra. “La nostra pizza – racconta un cortese suo discendente addetto alla cassa – vale un pasto completo. Ancora oggi la pizza che si gusta qui è, per dimensioni, una delle più grandi di Napoli, in spregio di ogni dieta”.
Ciro Di Fiore