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Rubrica di Emanuela Medi
 

Una recente storia di bollicine italiane: Il metodo Martinotti-Charmat

Nel Golfo di Trieste sorge l’antica Torre di Prosecco, zona d’origine del vino e della dorata uva Glera. Il Prosecco è citato per la prima volta a metà del ‘700,nel poemetto “Roccolo Ditirambo” di A. Acanti a Venezia. Diffuso in caraffa per tutto il Novecento, riscosse successo nelle campagne trevigiane, un tempo ricche di filandere destinate alla bachicoltura.

Mentre l’esodo del dopoguerra fu devastante, una grande svolta partì da Conegliano, patria della più importante Scuola Enologica Italiana. Studiosi come il chimico Antonio Carpenè, approfondivano i vigneti di Valdobbiadene e Cartizze, definiti “Rive” in gergo locale.

Queste colline si estendono a “dorso di drago” da est a ovest, come si nota da Google Heart. L’ambiente è severo, con pendenze al 70% e un’altitudine a 500 mt. L’acqua viene drenata e le uve rimangono ben asciutte, grazie alla ventilazione costante dell’areale. La vendemmia manuale è eroica e il clima temperato con escursioni termiche aumenta gli aromi della Glera, che trova qui un habitat naturale.

Comprese le potenzialità e che una lunga sosta sui lieviti, tipica del metodo classico, ne sacrificava l’espressione, i progressi tecnologici, assieme ai preziosi consigli del francese Charmat, lasciarono il passo alla rifermentazione in autoclave.
Questo grande contenitore pressurizzato, brevettato negli anni ’60 da Martinotti –Charmat, diede vita al “Metodo Italiano”! Così i vignaioli compatti partirono alla volta dell’Italia, diffondendo questo “bere” accessibile e festoso che spopolò nella vicina Milano ed oltre.

 

Ilaria Martinelli – Sommelier

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