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Rubrica di Emanuela Medi
 

Salvo Foti, il vino umano e i vini de “I Vigneri”

Non vino naturale, ma vino “umano”, inteso come prodotto dell’uomo che esprima l’essenza della natura.

Così Salvo Foti, celebre viticoltore e maestro di cantina etneo, interpreta l’annosa questione del vino naturale, oggi fulcro di un feroce dibattito tra sostenitori e detrattori. Foti, che da sempre è schierato a favore di un’ agricoltura sostenibile ed artigianale, ritiene che il concetto di vino naturale sia di per sé imperfetto, e perciò suggerisce una categoria alternativa per quei vini che intendono catturare l’essenza della natura.

Certo, è lecito immaginare che questa definizione implichi una contrapposizione ancor più controversa tra vino umano e vino disumano, ma Foti non intende affatto questo. Asserisce, piuttosto, che il vino umano, in quanto figlio della tradizione contadina, è l’opposto del vino “meccanico”, che è frutto delle tecnologie moderne. Tutto questo lo afferma in maniera assai costruttiva, senza mai attaccare chi sceglie di produrre un vino di stampo moderno, ma enfatizzando piuttosto il valore di quei “custodi” che come lui preservano i metodi rurali di lavorazione della vite e del vino.

Tutti questi principi teorici sono messi in pratica alla Masseria “I Vigneri“,  azienda di proprietà nel territorio etneo.

“I Vigneri” ha sede a Milo, nel cuore del versante sud dell’Etna. Attorno all’ottocentesco palmento che costituisce il fulcro dell’azienda, vigne centenarie di Carricante si ergono su pali di castagno, a comporre quel “patchwork” che è il vigneto Caselle, dal quale si producono alcuni dei migliori Etna Bianco esistenti.

All’interno del palmento tutto sembra essere rimasto fermo ad un secolo fa. Accanto all’antico torchio, nelle vasche di cemento di pietra lavica, l’uva viene ancora pigiata con i piedi. Nell’ambiente adiacente, collegato al precedente da un sistema a cascata, i mosti fermentano spontaneamente in damigiane di vetro ed anfore di terracotta.

Degustazioni:

Carricante Aurora 2016. L’ Aurora dell’Etna appare particolarmente luminosa se vista da Milo, ed è per questo che Foti ha voluto dare questo nome al suo vino “base”. Aurora è un generoso Blend di Carricante (90%) e  Minnella (10%) che esprime insolite sensazioni di pesca gialla, albicocca ed ananas a fare da corollario ai tipici ricordi iodati, affumicati e di erbe aromatiche. Di buona morbidezza è l’assaggio, che cela un rampante impeto salmastro-agrumato dietro le sue incipienti grassezze.

Etna Bianco Vigna di Milo 2015. Questo Cru, figlio del solo vigneto Caselle, rimane un anno in più ad affinare sulle fecce fini. Dorato nella veste, esprime la vena idrocarburica classica del Carricante maturo, poi sensazioni di propoli, fogliame secco, cappero e zenzero candito. L’assaggio risulta più snello e sferzante, freschissimo e decisamente salato nel lungo finale. Sembra quasi essere più giovanile del vino precedente, ma è anche più strutturato.

Rosato “Vinudilice” 2016. Neanche Salvo sa esattamente cosa componga questo vino, che è figlio di una vigna antica recuperata di recente. C’è sicuramente del Grecanico e della Grenache, poi c’è il Nerello Mascalese e ci sono i “Francisi”, ovvero quelle uve etnee delle quali non è ancora stata individuata l’origine. È forse da questa indefinitezza che deriva il fascino di questo vino atipico, privo di solfiti, che profuma di peonia, di fragolina selvatica, di cenere e di pepe rosa, e all’assaggio risulta agrumato e scattante, nettamente salmastro e quasi ferroso nel finale.

Nerello Mascalese da Damigiana 2015. Da una damigiana di vetro, ci  di queste ci viene versato un Nerello davvero singolare, che profuma di mora di rovo e di tabacco dolce, di rose appassite e di gomma bruciata. All’assaggio risulta morbido e succoso, graffiante nel tannino ma complessivamente morbido, nitido nei ricordi finali di frutti di rovo. Chissà quando arriverà finalmente il momento del suo imbottigliamento..

Vinupetra 2014. Un vino che difficilmente si dimentica. Frutto dei vigneti centenari di contrada “Porcaria”, cuore di quella Passopisciaro che oggi è il più acclamato climat dell’Etna Settentrionale, propina aromi scuri di ruggine, grafite, cuoio, cenere e bacche nere, ai quali fanno da contraltare sensazioni più soavi di cacao, ciliegia nera, prugna, spezie dolci e pot-pourri. In bocca è corposo eppure dinamico, armonioso nel suo connubio di morbidezza, tagliente freschezza e nobile tannicità, interminabile negli echi di eucalipto, arancia rossa e ciliegia nera.

Raffaele Mosca, sommelier

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