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Rubrica di Emanuela Medi
 

Sangue asiatico e sangue europeo per viti resistenti alle malattie

Trattare le viti il meno possibile per dare alle stesse la vera patente del biologico? È una strada interessante, e non solo per il biologico. La parola naturale sicuramente sbandierata e spesso non vera è però un richiamo irresistibile, allora diamole una base scientifica. Parliamo di una strada percorribile e percorsa che sta dando buone risposte: incroci tra tipi diversi di vitigni in modo da ottenere ibridi al fine di creare nuove varietà di vite resistenti alla peronospora e all’oidio. Si rispetta l’ambiente ed è una risposta salutistica ampiamente richiesta.

Insomma ridare alla natura la sua vera identità ed evitare di trattare le viti: è possibile? Pionieri i Tedeschi e gli Austriaci che ne hanno fatto una scienza visto il clima freddo e umido di certo non ideale per le molte malattie fungine dannosissime per le viti. Anche nel 1998 l’Università di Udine e l’IGA avevano avviato un intenso programma di ibridazione, portati avanti successivamente anche in collaborazione con i Vivai Cooperativi Rauscedo. “Si tratta-dice Eugenio Sartori Direttore dei Vivai Cooperativi Rauscedo-di effettuare degli incroci tra le varietà di Vitis Vinifera e altri vitigni tipo l’asiatica Amurensis molto resistente all’oidio e alla peronospora, per ottenere una nuova varietà non molto diversa del capostipite di Vinifera, resistente a queste malattie che da noi sono molto diffuse. Insomma -dice sorridendo Sartori- si tratta di avere meno sangue asiatico e più europeo per introdurre la resistenza nella Vitis Vinifera e -in questo modo- si ha una quota preponderante del genoma Vinifera e minoritaria di quelle appartenenti ad altre Vitis. Ci siamo riusciti ad esempio con il Sauvignon Rytos ed altre nuove varietà iscritte regolarmente al Catalogo delle varietà. Una performance ottenuta solo dopo diversi incroci ed “esami” sanitari, enologici e agronomici. Sono tutti esperimenti molto interessanti -osserva Elena Walch uno dei nomi più famosi in Alto Adige- perché comportano la nascita una nuova tipologia di vitigni chiamati in lingua tedesca PIWI.

Questi incroci non hanno bisogno di trattamenti, al massimo due, per cui nei periodi in cui cade molta pioggia con la probabilità che i vitigni sviluppino malattie si può essere relativamente tranquilli che il raccolto non sarà perso. Noi abbiamo fatto un incrocio tra Vitis Vinifera e Amurensis che abbiamo chiamato Bronner. Funziona molto bene, la sua uva è di buona qualità tanto che possiamo produrre un vino da tavola, molto piacevole, fresco, facile che va nella giusta direzione del Kerner, del Silvaner, del Muller Thurgau.

Non c’è bisogno solo di bere uno Chardonnay o un Cabernet Sauvignon, esistono altre tipologie di vini come il nostro Bronner, tra l’altro -sottolinea Elena Walch- è una varietà regolarmente iscritta al Catalogo Nazionale”.