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Rubrica di Emanuela Medi
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Unico nel suo genere nelle Marche e tra i pochi nel panorama enoico italiano, ha pochi competitor oltralpe dove la figura del Negotian (distributore) è certamente più conosciuta e diffusa ma non quella di Elever. Marchigiano Doc Enzo Mecella ha fatto del Verdicchio di Matelica un must ma soprattutto ha realizzato suoi vini unici e famosi attraverso un percorso inedito e di alto livello qualitativo.

Parla Luigi Gagliardini Direttore Commerciale E se fosse questo il segreto di una delle cooperative più importanti marchigiane: 800 soci, 1200 ettari di vigneto distribuite in più zone con tre cantine: Montecarotto, Camerano e Acquaviva. In pratica una rappresentatività presso che totale dei vini del territorio. Certo ne ha fatta di strada la Moncaro azienda fondata nel 1964 a Montecarotto in provincia di Ancona ma ben ancorata a una delle denominazioni più famose marchigiane: il Verdicchio e quale Verdicchio! Dei Castelli di Jesi che può ben essere riconosciuta dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità e che certo non sfigura nei confronti delle blasonate Colline.”  “E’ stata una politica lungimirante portata avanti con successo dalla Moncaro- sottolinea a Vinosano Luigi Gagliardini, Direttore Commerciale dell’azienda- Ha riunito in un’unica entità in poco più di 50 anni tutte le denominazioni del territorio, dal Verdicchio, al Montepulciano, al Rosso Conero, Rosso Piceno, Pecorino di Offida Docg, Passerina Docg,  fino a molti Igt come il Trebbiano, ma anche vitigni internazionali come Merlot e Cabernet”  Frutto di acquisizioni chiedo?  “Uno dei punti deboli della imprenditoria Italiana- dice Gagliardini- è la mancata aggregazione che non permette a una azienda di strutturarsi e organizzarsi. Quindi l’aggregazione è uno degli strumenti chiave per poter progredire e sviluppare. Noi lo

La vigna si trova nei dintorni di Cupramontana, grazioso borgo alle pendici dell'Appennino umbro-marchigiano. Il santo - o meglio, l’Arcangelo - dal quale prende il nome è quello che, secondo la tradizione, avrebbe posto fine alla disastrosa peste del 590 con la sua apparizione su Ponte Sant’ Angelo a Roma. Ma oltre che per la toponomastica attuale - e forse anche propiziatoria - il Verdicchio dei Castelli di Jesi San Michele 2017 di Vallerosa Bonci merita l’assaggio per altre due ragioni ben precise: la specificità con cui racconta un terroir di assoluto rilievo e il rapporto qualità prezzo davvero notevole. La 2017 è, peraltro, un’annata meno cerebrale, più fruibile di altre: il bouquet ci mette un attimo ad esplodere su toni di pesca gialla, pietra focaia, mandorla tostata ed erbe di campo che evocano ora la frescura dell'Appennino marchigiano, ora il calore della vicina costa. Il gusto è cremoso, avvolgente, ma possiede la spina acida necessaria per ripulire la bocca dalle parti grasse dei crostacei, dei famosi Moscioli di Portonovo, di una Rana pescatrice adriatica o di un qualunque formaggio a pasta molle. Chi poi vorrà aspettare qualche anno – ma non troppi, visto che si tratta di un vino

La vigna si trova nei dintorni di Cupramontana, grazioso borgo alle pendici dell'Appennino umbro-marchigiano. Il santo - o meglio, l’Arcangelo - dal quale prende il nome è quello che, secondo la tradizione, avrebbe posto fine alla disastrosa peste del 590 con la sua apparizione su Ponte Sant’ Angelo a Roma. Ma oltre che per la toponomastica attuale - e forse anche propiziatoria - il Verdicchio dei Castelli di Jesi San Michele 2017 di Vallerosa Bonci merita l’assaggio per altre due ragioni ben precise: la specificità con cui racconta un terroir di assoluto rilievo e il rapporto qualità prezzo davvero notevole. La 2017 è, peraltro, un’annata meno cerebrale, più fruibile di altre: il bouquet ci mette un attimo ad esplodere su toni di pesca gialla, pietra focaia, mandorla tostata ed erbe di campo che evocano ora la frescura dell'Appennino marchigiano, ora il calore della vicina costa. Il gusto è cremoso, avvolgente, ma possiede la spina acida necessaria per ripulire la bocca dalle parti grasse dei crostacei, dei famosi Moscioli di Portonovo, di una Rana pescatrice adriatica o di un qualunque formaggio a pasta molle. Chi poi vorrà aspettare qualche anno – ma non troppi, visto che si tratta di un vino

Con la scelta di una produzione mono varietale, nella fattispecie il Verdicchio,  Donatella Sartarelli e Patrizio Chiacchierini hanno dato una precisa identità ai  loro   prodotti imperniati sulla freschezza e sulla giovialità  e alla loro azienda diventata , per molti,punto di riferimento della rinascita di questa parte delle Marche” I Castelli  di Jesi” a forte vocazione bianchista. Incontro interessante quello con Patrizio alla guida con i figli  Caterina e Tommaso dell’azienda fondata dal  suocero  Ferruccio apprezzato panettiere  prima , imprenditore dopo, che nel 1972 accetta una sfida e decide di investire nella terra , meglio nel Verdicchio per farne  da vino adatto solo a grandi quantità a un prodotto di qualità.. Una storia certamente coraggiosa ma che ben riflette la caparbietà e l’affidabilità del marchigiano. Da padre in figlia, siamo alla quarta generazione, la storia continua.. con Donatella moglie di Patrizio a formare una squadra, la famiglia unita nelle scelte e nei valori come il rispetto delle materie prime, la scelta di una agricoltura a basso impatto ambientale,  l’impegno anche politico (si intende non partitico) di Patrizio  all’interno del Consorzio .. non senza polemiche e scontri.. Partiamo da una piccola vittoria ottenuta anche quale membro del Comitato di gestione della Doc di

Incontriamo Donatella Sartarelli e Patrizio Chiacchierini  a  Vinitaly 2019, animati dal desiderio di non lasciar cadere nell' oblio il rapporto che li legava ad un amico comune scomparso di recente., Daniele Maestri Eleganti nell’aspetto e assai pacati nel temperamento,riescono a trasmetterci con grande spontaneità l'entusiasmo con il quale perpetrano le loro scelte assai singolari.