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Rubrica di Emanuela Medi
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Il libro “Vitigni Rari d’Italia” è un volume che racchiude scienza e storia ma anche narrazione ed enogastronomia  redatto da ONAV - Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino i cui  protagonisti sono 100 vitigni rari, ognuno dei quali  viene raccontato dal punto di vista ampelografico, storico, enologico e sociale. << Raro è qualcosa che si cerca e trova con grande impegno; giusto allora è dare visibilità e spazio alla rarità, a vitigni che sono stati conservati, non senza sacrifici, da produttori virtuosi. Un grazie particolare va a Enzo Brambilla, recentemente scomparso e Carlo Consonni, che con me hanno fortemente voluto questo libro. >> Afferma il Presidente ONAV Vito Intini. Il libro non rappresenta un esercizio di stile ma uno strumento realmente utile per la conoscenza e la promozione di tante perle enologiche. A corredo di ogni capitolo sono pubblicate infatti le degustazioni di vini realmente presenti sul mercato e quindi reperibili, con gli abbinamenti gastronomici consigliati<<Il mondo del consumo intelligente ha portato il consumatore a cercare vini particolari, magari meno perfetti ma dotati di una forte identità. Ognuno di questi vitigni è custode di saperi, tradizioni e resilienza. >> conclude Vito Intini. Ma cosa hanno di tanto speciale questi vitigni rispetto alle uve internazionali?

Scavare nel passato per riscoprire vitigni dimenticati non è la passione di qualche nostalgico ma progetti di recupero importanti perché è sugli autoctoni che si basa la ricchezza e la biodiversità vitivinicola del nostro paese . Di molte è iniziata la riscoperta e la coltivazione, di altre si scoprono ceppi che sembravano perduti e che, con fatica e passione, si cerca di riportare alla vita per produrre vini che sembravano non dover esser più gustati  e che invece sono pronti a vivere la loro seconda vita..” archeologica”. Parliamo del Sauvignon-Blanc e di alcuni vitigni presenti in Francia e in Svizzera che sembra abbiano proprio 900 anni e che siano arrivati li grazie ai romani. [caption id="attachment_15236" align="alignleft" width="225"] Un grappolo di Sauvignon blanc[/caption] E’ quanto sostiene un gruppo di ricercatori  dell’Università di York con uno studio  pubblicato su Nature Plants. Una ricerca genomica condotta su 28 semi d’uva “archeologica”  ha portato alla scoperta , sostengono gli autori, che “sono strettamente legati ai vitigni dell’Europa occidentale utilizzati nella vinificazione“. Tra questi a sorprendere di più è stato quello trovato a Orléans. Un seme datato 1100 d.C. che corrisponde geneticamente, asseriscono con convinzione, al Savagnin Blanc “e rappresenta quindi la dimostrazione di 900 anni di riproduzione vegetativa

Scavare nel passato per riscoprire vitigni dimenticati non è la passione di qualche nostalgico ma progetti di recupero importanti perché è sugli autoctoni che si basa la ricchezza e la biodiversità vitivinicola del nostro paese . Di molte è iniziata la riscoperta e la coltivazione, di altre si scoprono ceppi che sembravano perduti e che, con fatica e passione, si cerca di riportare alla vita per produrre vini che sembravano non dover esser più gustati  e che invece sono pronti a vivere la loro seconda vita..” archeologica”. Parliamo del Sauvignon-Blanc e di alcuni vitigni presenti in Francia e in Svizzera che sembra abbiano proprio 900 anni e che siano arrivati li grazie ai romani. [caption id="attachment_15236" align="alignleft" width="225"] Un grappolo di Sauvignon blanc[/caption] E’ quanto sostiene un gruppo di ricercatori  dell’Università di York con uno studio  pubblicato su Nature Plants. Una ricerca genomica condotta su 28 semi d’uva “archeologica”  ha portato alla scoperta , sostengono gli autori, che “sono strettamente legati ai vitigni dell’Europa occidentale utilizzati nella vinificazione“. Tra questi a sorprendere di più è stato quello trovato a Orléans. Un seme datato 1100 d.C. che corrisponde geneticamente, asseriscono con convinzione, al Savagnin Blanc “e rappresenta quindi la dimostrazione di 900 anni di riproduzione vegetativa

Dal greco AUTOS/stesso e CHTHON/ terra deriva il termine Autoctono: un nome che indica che quel vitigno è nato e si è sviluppato in un preciso luogo geografico adattandosi a quel terreno quasi a confondersi  con esso, anche se molte varietà hanno superato gli stretti confini regionali per essere interessanti anche in regioni diverse da quelli di nascita. Sull’autoctono il nostro paese gioca una partita importante e ormai vincente puntando sulla biodiversità del territorio- caratteristica geologica dell’Italia- in grado di produrre vini di eccellenza dalle infinite sfumature di odori e sensazioni gustative. Molti esperti stranieri come Jancis Robinson  presente a” Modena Champagne Exprience,”  tra le più importanti voci del mondo del vino indica nei vitigni autoctoni italiani, la vera novità  per il nostro paese in un panorama- anche mondiale- troppo affollato di Cabernet Sauvignon e Chardonnay  di cui molta gente si è stancata anche se alcuni blend rimangono imbattibili. 450 i tipi classificati non sono pochi, ma saranno certamente negli anni, molti di più a siglare climi diversi, lo studio di particelle territoriali, a intensificare la zonazione. Autoctono un volano economico per aziende grandi e piccole capaci di valorizzare i vini i,  creare posti di lavoro soprattutto per i giovani e a

  Il PrièBlanc Un vitigno che simboleggia due confini: quello con la Francia e quello altimetrico della viticoltura peninsulare. Eh sì, perché il valdostano PrièBlanc, figlio dei ripidissimi pendi alpini, è la prima uva nostrana adatta alla spumantizzazione mediante Metodo Classico. Facile comprendere il perché se si tiene conto che i suoi vigneti, con i loro 1000 e passa metri d’ altitudine, sono tra  i più alti di tutto il belpaese, e garantiscono, dunque, quel dinamismo acido-sapido che deve sempre caratterizzare uno spumante di qualità. Versione d’ eccellenza è il Blanc de Morgex et de la Salle  “CuveèDu Prince” Brut Nature della rinomata “Cave du Montblanc”. Vestito di un manto paglierino tenue attraversato da copioso perlage, in annata 2011 concede aromi di erbe alpine e fiori bianchi su fondo misuratamente fragrante. Colpisce il dinamismo dell’assaggio, tutto giocato in verticale sul filo della freschezza e di una bollicina perfetta. Il Cortese Acidità e sapidità a conferire verticalità, ma anche una spiccata propensione a sviluppare intriganti aromi terziari. Queste sono le prerogative dell’uva più nota dell’Alessandrino, dalla quale si ricavano oramai da decenni spumanti di eccezionale qualità. Il più fascinoso di tutti è sicuramente il “Brut d’ Antan” della storica Azienda “La Scolca”, omaggio della famiglia