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Rubrica di Emanuela Medi

Discorrere con gli antichi è il titolo di una Rubrica che ci accompagnerà nel tempo per esplorare tutto quello che può essere legato ad un momento conviviale di cui sia rimasta traccia, laddove questa espressione “con gli antichi” viene usata semplicemente per designare un tempo non più “nostro contemporaneo”, ma un tempo che ci appartiene come ricordo e nostalgia, o come studio e conoscenza mediata dai libri o da altri documenti. Un tempo indeterminato ma, in ogni caso, passato.

Avere la possibilità, infatti, di “sedere a tavola “, discorrere con gli antichi, è stato sempre uno dei desideri più profondi nascosti nell’anima “dei moderni”. Discorrere con chi non c’è più illudendosi che ci sia ancora, o solo, magari, sedersi e ascoltare, per condividere, nell’esistenza astratta della scrittura,pensieri, piaceri, discorsi reali. Entreranno, dunque, in questa rubrica temi che sono compresi nei due concetti di “tavola”, intesa nel senso primario del luogo dove si appoggiano i cibi e si mangia, si beve – e, naturalmente, si parla-, in senso concreto e astratto, in senso reale o metaforico; e nella parola “antichi” persone e personaggi di cui ci parlano fonti documentarie e letterarie, fonti scritte o figurate che ci sono giunte da un passato remoto o più o meno prossimo, dai luoghi geografici più vari, anch’essi vicini e lontani immaginari e reali.Potremo così occuparci della mitica tavola di Eolo, il re dei venti incontrato da Ulisse, dove si banchetta di giorno e di notte e dove dei cibi è narrato soprattutto l’odore dei grassi condimenti che il vento trasporta con sé. Della Tavola pitagorica, non tanto nel senso delle “tabelline” (un interessante diminutivo anch’esso della tabula), quanto nel senso del “vitto pitagorico” che nasceva dalla stessa, filosofica fonte. Potremmo sederci a tavola con Platone che, nei suoi Simposi,costruisce una delle visioni del mondo più straordinarie e durature nel tempo;della tavola di Trimalcione e dei suoi sontuosi, eccessivi, indimenticabili banchetti (ecco un vezzeggiativo del banco, assai parente della tavola stessa), arrivando al “dolce pane degli angeli” che per Dante, non solo nel Convivio (un altro termine quest’ultimo del nostro infinito lessico del mangiare) è la stessa Sapienza divina, tanto dolce, quanto, al contrario, salato è il triste pane mangiato lontano dalla tavola del proprio paese.

D’altro canto è il nostro stesso linguaggio che cela, proprio nel lessico della tavola, le più belle e significative parole. A partire da quella che indica uno dei più semplici e diffusi trai cibi: il“pane” il pane di grano o il pane di fave, il pane delle più varie composizioni, forme e cotture, fin dai tempi in cui il pane di farro, come sappiamo,era alla base della “confarreatio” la cerimonia dell’antico rito matrimoniale romano, riservato ai patrizi e alle massime cariche sacre; confarreatio che non prendeva il nome che dalla focaccia di farro.

E la stessa parola pane è ancora oggi alla base di uno dei termini più belli della nostra lingua, che indica il legame più semplice e profondo che può unire due uomini o due donne, o anche uno uomo e una donna, o anche molti uomini e donne insieme. Un termine che esprime un legame duraturo e significativo non legato a vincoli di sangue, non dipendente da identità di condizione sociale, svincolato dall’età e dall’epoca di appartenenza, un legame che si esprime nella parola compagno”, che la sua trasparente etimologia ci indica derivata da cum pane. Una persona che ha diviso con noi il pane e dunque è entrato di diritto nel lessico dell’amicizia, sedendo alla nostra tavola, che sia questa una grande e sontuosa tavola ricca dei più preziosi cibi, o un desco assai più modesto dove ciò che abbiamo condiviso è appunto solo semplicemente il pane.

Gea Palumbo, docente Università Roma Tre

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