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Rubrica di Emanuela Medi
 

Barolo e Barrique secondo Marco e Eugenia Marengo: il modernismo nella sua accezione più sobria

I modernisti del Barolo sono stati discussi, criticati, caricaturati al punto che in molti – incluso il sottoscritto quando era alle prime armi – se li figurano o se li sono figurati come dei cowboy Made in Langa che lavorano la vigna con i cingolati, parlano l’americano anziché il piemontese e producono in cantine robotizzate vini aromatizzati alla vanillina. 

barolo-azienda-marco-marengoPer fortuna, questo stereotipo oggigiorno è abbastanza lontano dalla realtà, e se da un lato non si può negare che c’è ancora qualche individuo stravagante che col legno ci va pesante, dall’altro lato è impossibile non constatare l’esistenza di una schiera di produttori che, pur rimanendo fedeli a  un approccio diverso da quello tradizionale, riescono a tirar fuori Baroli tutt’altro che snaturati.

Tra questi, i più sobri in assoluto sono Marco Marengo e sua moglie Eugenia, titolari dell’azienda Mario Marengo, che nella loro semplice ma graziosa cantina-cascina in località Serradenari di La Morra producono vini sì moderni, sì leggiadri e precocemente fruibili, ma privi di qualunque esuberanza legnosa/tostata/fruttata. “Modernisti moderati” li definisce qualcuno, ma io personalmente eviterei ulteriori categorizzazioni. Piuttosto, ci tengo a evidenziare – e non me ne vogliano i puristi – l’attualità delle loro interpretazioni molto “sexy” dei Cru Brunate e Bricco delle Viole di La Morra.

Sexy è un termine ambiguo, ma non credo esista aggettivo migliore per descriverli. L’utilizzo ben dosato del legno piccolo e le macerazioni relativamente brevi – 10-15 giorni dopo la fermentazione – ne accrescono notevolmente l’allure femminea, soave, sensuale, e il contrasto tra acidità e il frutto sempre dolce e avvolgente li rende particolarmente confacenti ai canoni di fluidità e freschezza tanto in voga tra consumatori che “se ne intendono”. 

Dunque Baroli beverini, aggraziati, che strizzano sicuramente l’occhio al mercato internazionale, ma che prendono a modello la Borgogna, terra vicina culturalmente ed antropologicamente, e non altre regioni che con la Langa non hanno nulla in comune. Del resto, anche il contesto produttivo è alquanto “borgognone”: la gestione è totalmente familiare; la cantina è modesta, spartana, ma accogliente come quella di un piccolo Domaine della Cote de Nuits; la produzione esigua – 38.000 bottiglie in un’annata abbondante – e tutta votata alla valorizzazione delle singole parcelle.

Insomma, di stramberie avanguardiste in azienda da loro non ce n’è l’ombra: solo un trattore vecchiotto guidato da Marco, che falciava i tralci appena potati mentre Eugenia mi serviva i vini. E in cantina vasche in acciaio, barriques in gran parte usate e un’unica botte grande costruita appositamente per l’azienda da un mastro bottaio tirolese. “Se ci convincerà, ne compreremo altre”, mi ha spiegato Eugenia., che, stando agli assaggi, potrebbe essere al massimo aggiornata – per esempio affinando una parte della massa botte grande per dare un tocco di tannicitá in più – ma mai Per ora, però, i legni piccoli continuano ad essere l’elemento chiave della loro ben ponderata filosofia modernista stravolta o, ancor peggio, rinnegata.

Degustazione 

Barolo 2016. Longilineo, profumato, quasi un Barolo “de soif”. Sa di erbe botaniche da Vermouth, pot-pourri e creme de cassis. In bocca scorre fluido, suffragato da tannini carezzevoli e rimpolpato da un tocco di frutto dolce, cremoso che lo rende fruibile da subito.

Barolo Bricco delle Viole 2016. Ha in comune con il precedente i tratti balsamici e gli spunti di more e mirtilli, ma la trama tannica è più fitta, l’acidità squillante come ci si aspetta da questo Cru, che è uno dei più alti del comune di Barolo. Un tocco boisè riecheggia in chiusura, ma, nel complesso, l’apporto del legno è meno evidente qui che negli altri vini. Sarà interessante seguirne la parabola evolutiva, anche se si fa bere benissimo già in questa fase giovanile.

Barolo Brunate 2016. China, menta, fiori essiccati, un tocco di ruggine e – usando una metafora coniata dai giornalisti americani – un “bacio di spezie da legno” che arricchisce il profilo senza appesantirlo. In bocca entra ricco, voluminoso. I tannini rimangono in secondo piano rispetto al frutto e all’acidità, e i rimandi balsamici fanno di nuovo capolino nella chiosa lunga, suadente, leggermente affumicata. Anche qui la piacevolezza è tanta già da ora, ma l’assaggio contestuale del millesimo 2010 evidenzia, anche a fronte di una bottiglia aperta da diversi giorni e quindi non freschissima, che la tenuta nel tempo dell’acidità e del frutto è pressappoco perfetta. Se poi possa reggere quindici, venti o quarant’anni d’invecchiamento, non so dirlo con certezza. Sta di fatto, comunque, che non si tratta assolutamente di uno di  quei Baroli “bevi e fuggi” che mandano in bestia i tradizionalisti. 

Raffaele Mosca, Master Sommelier 

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Emanuela Medi giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche GR3 e GR1. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti- ha curato la rubrica ”La Medicina”. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori, affidatole dalla Commissione della Comunità Europea. Per il suo impegno nella divulgazione scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio ASMI, Premio Ippocrate UNAMSI, premio prevenzione degli handicap della Presidenza della Repubblica. Nel 2014 ha scritto ”Vivere frizzante” edito Diabasis. Un saggio sul rapporto vino e salute. Nello steso anno ha creato il sito ”VINOSANO” con particolare attenzione agli aspetti scientifici e salutistici del vino. Nel 2016 ha conseguito il diploma di Sommelier presso la Fondazione Italiana Sommelier di Roma.. Attualmente segue il corso di Bibenda Executive Wine Master (BEM) della durata di due anni.