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Rubrica di Emanuela Medi
 

Cambiamenti climatici: la sfida dei vitigni autoctoni

Per Helmut Kocher, patron del Merano WineFestival non ci sono dubbi -dice- ai grandi cambiamenti climatici – abbiamo la nostra risposta,  i vitigni autoctoni: una grande risorsa”. Inizia con questa convintissima affermazione la nostra chiacchierata ai margini della quarta edizione del convegno Wine&Siena- Capolavori del gusto, che si svolgerà il 25-26 gennaio nella celebra cittadina toscana.

Cambiamenti climatici e nuove opportunità: una sfida possibile, chiedo a Helmut Kocher

“Parliamo di opportunità reali e molto interessanti per i viticoltori italiani determinate dai cambiamenti climatici già in atto,  e lo  vediamo, con un sensibile aumento della temperatura che non deve spaventare ma indurre i produttori a trovare strategie e anche soluzioni tecnologiche per affrontarli. Faccio un esempio:in Alto Adige  i vigneti sono sempre più frequentemente posizionati ad altezze che arrivano anche a 1350 metri sul livello del mare. Questo consente di garantire- perché ad altezze maggiori- la stessa qualità, eleganza, complessità dei vini bianchi conosciuti per la loro eccellenza. E questa è una opportunità per i viticoltori come i vitigni FIVI, molto resistenti alle malattie e quindi anche ai cambiamenti climatici. Sono vini ottimi anche se non raggiungono l’eccellenza di molti vini altoatesini, ma anche questa fascia merita rispetto e attenzione,. La vera  fattibile risposta ai cambiamenti climatici è nei vitigni autoctoni di cui l’Italia è ricchissima: abbiamo più di mille tipologie

Vitigni autoctoni lei dice, ma secondo gli esperi molti forse potrebbero scomparire

“Possibile, è proprio da questa possibilità che nasce una opportunità. Scopriamo e rivalutiamo vitigni scomparsi o molto poco coltivati. Penso alla splendida Catalanesca, vino Vesuviano, al Pelagrello, al Biancolella, vitigni dalla produzione limitata ma prezios. Una Catalanesca anche dopo 10 anni si offre al palato con la sua innegabile freschezza e aromaticità che non ha  nulla da invidiare ad altri più famosi vini della costiera Amalfitana., e chissà quanti altri vitigni abbiamo che possono sopperire a quelli che non reggono un clima diverso. La ricchezza ampelografia è una opportunità  che deve essere sfruttata. Vini bianchi del sud che ben si sono adattati a temperature calde ma mitigate dalla brezza marina non hanno confronti, perché spaventarsi? Possono certamente adattarsi ai cambiamenti o non  essere più coltivabili a vantaggio di altri vitigni. Ecco perché affermo che la nostra vera risposta e risorsa risiede nei vitigni autoctoni.

.Ma c’è un’altra opportunità che a molti sfugge: cambia il clima e cambiano i gusti e il pubblico. Recentemente sono stato a trovare un editore- produttore di vini in Austria e mi ha detto che nel suo club che ha 25mila soci, il 57% del pubblico è femminile. Una recente indagine condotta da Women’s Wine&Spiris Award, la più importante competizione al mondo per  vini e alcolici, la cui giuria è composta solo da donne e pubblicata su The Mail( importante quotidiano britannico) ha rivelato che l’80% di acquisti del vino è effettuata da un pubblico femminile.  Questo importantissimo settore  vuole un vino elegante, facilmente bevibile , non corposo,non troppo ricco di alcool e di residui zuccherini, preferibilmente bianco e molti nostri vitigni dal Nord al Sud riscoperti e valorizzati sono una opportunità!

L’Italia insegna a partire dalla Naturali Historia

Trattato naturalistico scritto da Plinio il Vecchio( 23-79 d.c)  che ci ha raccontato e descritto molto della coltivazione della vite e dell’olio  non fosse altro perché cita la presenza sul nostro territorio di 150 vitigni autoctoni. Etruschi, Romani i cui insegnamenti non sono stati certo cancellati dai Longobardi , dai Franchi o dalla furia delle popolazioni germaniche, ma gelosamente conservate per essere tramandate .. ma qui la storia è troppo lunga!

Altro grande tema, oggetto di una secondo appuntamento a Wine&Siena: la Cina

Senta, io più che alla Cina penserei al Giappone, paese che veramente può essere una grande opportunità per i produttori italiani e mi spiego: recentemente è stato siglato un accordo tra la Comunità Europea e il Giappone per l’abolizione dei dazi doganali sui vini. Questo vuol dire che un vino che costa dieci euro potrà avere al massimo un ricarico fino a 15 euro, diversamente di quanto accade in Cina dove esistono  dazi con un ricarico fino al 150%. Inoltre, al popolo giapponese piace il vino e lo sa gustare:  I cinesi hanno una mentalità molo diversa e diciamocelo, più che il vino cercano il brand come status symbol. Certo il Sassicaia non ha problemi a essere importato nel paese da 1 miliardo e mezzo di abitanti, ma gli altri?

Penetrare nell’immenso mercato asiatico richiede una programmazione e una politica che può essere solo  intrapresa dalle istituzioni preposte non certamente dal singolo produttore o gruppo di produttori. Bisogna conoscere la mentalità di quelle popolazioni, le loro abitudini, sono necessari studi anche di antropologia culturale. Insomma bisogna fare squadra per aumentare l’attuale 8% di presenza italiana nel mercato giapponese e portarlo almeno al 15%: vini di qualità e non mediocri di basso prezzo. Svenderci non conviene a nessuno.

Emanuela Medi, giornalista

 

 

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