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Rubrica di Emanuela Medi
 

Catalanesca. L’uva del re nel territorio vesuviano

Una delle storie più belle narrate da Benedetto Croce, è quella di Alfonso d’Aragona e Lucrezia D’Alagno

Alfonso, giunto come conquistatore a Napoli vi si trasferì definitivamente, innamorato parimenti dell’amenità dei luoghi e delle dolce, giovanissima Lucrezia. Spesso si tratteneva a Torre del Greco, nei giardini della casa dove vivevano i D’Alagno, dove si era fatta edificare una stanza.

Lí la fertilità della terra si rivelava in tutta la sua profumata bellezza e della sua regale generosità tutti i D’Alagno ebbero modo di fare esperienza. Lucrezia, aspettando di poter diventare regina alla morte della ormai non troppo in salute Maria di Castiglia, amava considerarsi piuttosto la fidanzata che l’amante del re. E come tale era trattata da ambasciatori e sovrani che sovente venivano ricevuti in quei giardini prediletti dal re.

La tradizione vuole che Alfonso abbia importato, proprio nella zona vesuviana, i suoi vitigni preferiti: un’uva bianca, rotonda, dalla consistente buccia dorata. Un’uva davvero regale che, una volta impiantata nel terreno vesuviano, ne assorbì talmente la forza da diventare, potremmo dire con un po‘ di immaginazione, come il re, impossibile da trapiantare altrove. Un vitigno che ancora oggi conserva il nome della sua provenienza: Catalanesca, e che produce un vino in duplice versione, Bianco e, più dolce, Passito.

Lucrezia, che saggiamente sapeva mettere a frutto i doni del re, proprio a Somma Vesuviana, acquistò nel 1456 una terra. È dunque assai probabile che proprio quest’uva ella abbia piantato, in onore di Alfonso. Un’uva che, con la pazienza di chi sapeva aspettare, si usava lasciare sulla pianta fino a Natale, per servirla in tutta la sua matura dolcezza.

Che a Napoli si respiri un’aria un po’ spagnola è cosa che tutti avvertono. Dall’architettura alla pittura alla toponomastica al lessico, le tracce sono tante. Ma sono tante anche in un campo come quello alimentare, che non sempre si narra. E dunque non sembrerà strano se, dell’amore del re, della bellezza di Lucrezia, e della terra Catalana, sia rimasta a Napoli,questa regale traccia.

Gea Palumbo. Università L’Orientale di Napoli

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