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Rubrica di Emanuela Medi
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Tanti sono gli aggettivi connessi al vino; rosato, frizzante, pastoso, fruttato, ambrato, novello, aspro, robusto, leggero, corposo, pesante, secco, dolce, vivace, lambiccato, giovane o d’annata e così via. Ma due sono gli aggettivi che troviamo nei Promessi Sposi su cui mi vorrei soffermare. Nel XIV capitolo del capolavoro di Alessandro Manzoni, Renzo, come si ricorderà, si trovò coinvolto per caso nei tumulti della popolazione di Milano, nel giorno in cui la folla diede l’assalto ai forni, e in qualche misura vi partecipò, esprimendo, con incaute parole pronunciate in pubblico, una chiara approvazione dell’operato dei rivoltosi e una più generale protesta contro l’ingordigia di speculatori e accaparratori e le vessazioni dei tiranni (aveva in mente don Rodrigo che, con le sue mire su Lucia e intimidendo don Abbondio, era riuscito a impedire il suo matrimonio). Illustrazione di Renzo Tramaglino Renzo però non sospettava che in mezzo alla folla si trovava una delle spie del governo. Questi, ritenendolo uno dei caporioni, non lo aveva perduto d’occhio, ascoltando con attenzione come era del resto suo mestiere, le parole eversive di quell’ingenuo e giovane provinciale, un sempliciotto facile da catturare. Lo spione si propose di appiccicarsi a lui con l’intenzione di guadagnarne la fiducia e di predisporre

Andando a Londra per un breve viaggio o per una più lunga vacanza non possiamo fare a meno di dedicare almeno una sera alla cena più diffusa, più a buon mercato e di certo tra le più gustose, quella dove ci serviranno un bollente fish and chips, in un pub o, meglio, in uno dei tanti locali che si intitolano, appunto, Fish and chips. Come a Napoli la pizza, così a Londra c’è per tutte le tasche il fish and chips.

Sant’Elena: poco più che uno scoglio nell’immensità dell’Oceano Atlantico, quasi a metà strada tra l’Africa e il Brasile. Lì trascorse gli ultimi sei anni di vita l’uomo che aveva cambiato l’Europa. Fu vera gloria? Con queste parole, e molte altre, Manzoni commemora e ricorda il grande di Francia che lo colpì tanto da scrivere in soli tre giorni questa Ode non appena seppe della morte dell’Imperatore. In foto: Ruggero Larco, storico Accademia della Cucina Italiana Fu vera gloria? La storia ha risposto a questa domanda. Sì, lo fu, a mio giudizio, almeno in relazione al fatto che dopo di lui e grazie a lui un nuovo vento di libertà e indipendenza iniziò a soffiare su di una Europa ripiombata nel XVIII secolo, e i fatti e i moti dal 1848 il poi, sino all’indipendenza di nazioni, Italia compresa, sono il suo monumento. Ma chi era Napoleone? Nasce ad Ajaccio in Corsica il 15 agosto nel 1769 proprio quando l’isola perde la sua indipendenza. La madre, MARIA LETIZIA RAMOLINO, era di Pietrasanta, emigrata in Corsica da bambina, allora sotto la Repubblica di Genova, e aveva sposato a 14 anni Carlo Maria Buonaparte, la cui famiglia di Sarzana era emigrata in Corsica nella prima metà del 1550, era

La seconda novella della sesta giornata del Decamerone  ha per protagonista un fornaio di Firenze, Cisti,e per premessa una questione quasi filosofica, vale a dire, come dice Boccaccio: se sia un peccato maggiore che la Natura immetta un animo nobile in un corpo vile, o che la Sorte assegni a un’anima nobile un mestiere vile(“più in questo si pecchi, o la Natura apparecchiando a una nobile anima un vil corpo, o la Fortuna apparecchiando a un corpo dotato d’anima nobile vilmestiero”). Insomma, come si vedrà nella novella, il problema è che il fornaio, di nome Cisti, pur essendo, appunto, un fornaio, ha un animo nobile e da tale si comporta. Ciò premesso, il Boccaccio c’informa che Cisti, “d’altissimo animo fornito, la Fortuna (noi diremmo la Sorte) fece fornaio”. Ma questo modesto panettiere di umili origini riuscì a dare una lezione di comportamento a un nobile, come si legge nella didascalia della novella: Cisti fornaio con una sua parola fa ravvedere messer Geri Spina d’una sua transcurata domanda. In verità non è solo questo aspetto che emerge dalla novella, come vedremo, ma intanto entriamo in argomento. Cisti era diventato a poco a poco con la sua industria e capacità e con l’aiuto della Fortuna,

Il celebre scienziato svedese Carl Nilsson, più conosciuto come Linneo (1707-1778), sulla base delle notizie e delle relazioni che gli esploratori inviavano in Europa, definì theobroma cacao quella nuova pianta, il cacao, che i Maya consideravano ab immemorabili  il cibo degli Dei, e che avrebbe rapidamente conquistato un posto d’onore nella gastronomia mondiale. Fra i suoi derivati la cioccolata, che nelle sue più svariate composizioni (alla nocciola, al pistacchio, alla mandorla, eccetera; col latte, col riso o con altri cereali; alla frutta, dall’uva ai lamponi, alle fragole) ha il posto d’onore per diffusione in tutti i paesi, dove si preparano innumerevoli dolci a base di cacao. Ma qui vorrei soffermarmi sullo scontro che suo malgrado la deliziosa cioccolata che si ottiene dal cacao dovette impegnare con altre bevande, quali il caffè e il tè.  Il successo di quest’ultimo, esotico al pari di caffè e cacao, era, come è ovvio, strettamente legato ai traffici tra Oriente e Occidente. Noto fin dalla metà del Cinquecento (ne accenna Giovambattista Ramusio nella sua monumentale opera Navigazioni e viaggi), il tè conquistò i palati europei a poco a poco. Un secolo dopo il tè poteva gustarsi quasi esclusivamente nei salotti e nelle case aristocratiche, dato il

“Il gutturnio- dice Giampietro  Comolli, presidente Ovse-Ceves, è un vino piacentino da sempre, è doc dal 1967 fra i primi d’Italia (la legge nazionale doc è del 1963) nato  dal mariage di barbera e bonarda…i due vitigni più diffusi in alta Italia… vino rosso per eccellenza. ”Inoltre è antichissimo perché sembra che il primo viticoltore a produrlo fosse un tal Saserna, potentissimo latifondista etrusco, che faceva un vino effervescente da uve rosse raccolte sugli alberi su cui si arrampicavano i tralci di vite…..il tutto poi passò in mano ai romani Plinio, Virgilio, Pisone, Cicerone che ne lodarono la qualità.  Quando fu necessario “denominare” questo vino l’enologo Mario Prati, Direttore del Consorzio Provinciale per la Viticoltura nel 1938, lo chiamò gutturnium dal nome che era stato dato impropriamente a un vaso trovato in Po, considerato per errore un recipiente destinato alla mescita del vino. E tale nome gli fu accreditato con l’ottenimento del marchio DOC nel 1967. Gutturnium – Ricostruzione errata La perdita del reperto diede vita nel tempo a un’immotivata duplicazione dell’oggetto, un vaso metallico decorato a sbalzo con tralci di vite e grappoli d’uva, dissepolto a Veleia nel 1760 e il boccale o coppa riaffiorata fra le sabbie limacciose del Po a Croce S.

E’ indubbio che il vino ha avuto un carattere sacro per lunghissimo tempo, non solo nel mondo ebraico cristiano, ma anche in tutti i contesti mediterranei. Una natura sacra, simbologia del cristianesimo, soprattutto in virtù delle parole pronunciate da Cristo nell’Ultima Cena, dove il vino raggiunge la più alta sacralità nel rapporto con il sangue del Cristo. Grazie a questa sacralità basata sul simbolismo vino/sangue che il regno di Dio viene ampiamente ricordato e rappresentato in migliaia di immagini, ricami, incisioni, pitture, miniature, codici e poi ancora tessuti tovaglie, tralci, calici in tutte le forme e espressioni d’arte. Simbolo del sangue di Cristo “ L’ultima cena” di Leonardo da Vinci, nell’ex refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano. Oltre ai significati allegorici e spirituali, il vino assume talora valore decisamente più prosaico come nei ritratti immaginari del milanese Giuseppe Arcimboldo che li ricostruisce dipingendo e aggregando elementi come frutta e ortaggi e tra questi l’uva . Dal vino immaginario passiamo a quello più realistico nelle tante nature morte come nel chiassoso e vivace” Banchetto nuziale contadino” di Pieter Bruegel il Vecchio (Vienna) e nel “ il mangiatore di fagioli” di Annibale Carracci che ispirò i “Mangiatori di patate” di Van Gogh.

In una canzone sicuramente esecrata dai produttori di acque minerali, giudicata senza dubbio diseducativa dagli astemi e perniciosa dalle varie associazioni antialcooliste, Fred Buscaglione dichiarava: Sono Fred dal whisky facile, aggiungendo che Se c’è una cosa che mi fa tanto male è l’acqua minerale; miracolosa sarà ma per piacere io non la posso bere (Whisky facile, 1958). https://www.youtube.com/watch?v=394kcPXRXwE Fred Buscaglione morì l’anno successivo, nel 1959,  giovane (non aveva ancora trentanove anni), mentre era sulla cresta dell’onda, in un incidente stradale forse provocato proprio dall’assunzione di una dose eccessiva di whisky.  In quegli stessi anni Cinquanta Renato Carosone nella sua famosa e divertente canzone Tu vuo’ fa’ l’americano del 1956 faceva a sua volta riferimento al whisky, che, con la venuta degli alleati e le simpatie per i liberatori e le loro usanze (basta ricordare il Nando Moriconi di Un americano a Roma, film del 1954, con protagonista l’Albertone nazionale), insidiava la grappa, la sambuca, il maraschino e altre bevande nostrane, non senza mettere bonariamente in guardia il giovane esterofilo dai pericoli del superalcolico d’Oltreoceano a cui lo stomaco italico non era abituato: Tu vuoi vivere alla moda, ma se bevi whisky e soda poi te sienti disturbà.  Renato Carosone Siamo nel pieno della ricostruzione postbellica

“Molti sono creati dalla natura piccoli di persona e di fattezze, che hanno l’animo pieno di tanta grandezza ed il cuore di sì smisurata terribilità, che se non cominciano cosa difficili e quasi impossibili, e quelle non rendono finite con meraviglia di chi le vede, mai non danno requie alla vita loro; e tante cose, quante l’occasione mette nella mani di questi, per vili e basse che esse siano, le fanno essi divenire in pregio e altezza.” Presunto ritratto di Brunelleschi, Masaccio, San Pietro in cattedra (1423-1428), Cappella Brancacci, Firenze Con queste parole Giorgio Vasari nelle sue Vite introduce la persona di Filippo Brunelleschi, 1377 – 1446, uomo di grande talento ed ingegno superiore. Di fatto il 7 agosto 1420 fu indetta la cerimonia inaugurale della costruzione della cupola della Cattedrale, con un “banchetto” tenutosi sul tamburo di partenza: pane, melone e Trebbiano, il tutto offerto dall’Opera del Duomo.I lavori però iniziarono, materialmente, nel giugno dell’anno successivo, dopo che fu montato, ai piedi dell’Ottagono di partenza della cupola, l’argano, invenzione e progetto innovativo di messer “Pippo”, e solo da allora si poterono portare in alto pesi sino a 750 chili come i blocchi di arenaria e dare inizio alla costruzione vera e

Forse non c’è luogo poetico in tutta la storia della letteratura dove il racconto di una vigna si leghi di più, con più vincoli e con maggiore passione, alla vita stessa, se non quando Omero, nell’Odissea, ci descrive l’incontro di Ulisse con il padre Laerte. Laerte, che è stato il re di Itaca, non reggendo più al dolore per la lontananza senza notizie del figlio, ha lasciato la reggia e si è ritirato nei campi.  Ha lasciato il grande palazzo, le vesti regali, il suo letto, si è vestito di stracci, coltiva la terra, dorme in inverno con gli schiavi vicino al fuoco, di estate su un mucchio di foglie nella sua vigna. Laerte, Penelope e Telemaco, da una miniatura francese quattrocentesca per i componimenti di Ovidio (Fonte Wikipedia) La cura delle piante, con le fatiche che comporta, con il tempo e l’attenzione che richiede, gli consente di sopportare quel dolore della lontananza che nessun’altra attività meno manuale, meno faticosa, meno ritmicamente modulata gli consentirebbe. Curare le viti è per lui un po’ come curare il figlio lontano, è entrare con l’immaginazione in un tempo antico, perché, come Omero ci farà comprendere a poco a poco, è proprio tra quelle piante, è proprio condividendo con lui quei gesti di