a

I Tag di Vinosano
Rubrica di Emanuela Medi
HomeCultura (Pagina 9)

Cultura

Per la genialità degli ingegneri idraulici del passato alcuni acquedotti dell’antica Roma ancora oggi servono la capitale. Da sempre la meraviglia dei viaggiatori  è espressione di emozioni  davanti alle tracce del passato: templi, piramidi, sculture ,città rupestri ,anfiteatri, necropoli  testimoni del passaggio di culture, riti ,abitudini, usanze e religioni. E noi curiosi di decifrare quello che il tempo ha celato studiamo la vita di chi ha costruito ciò che ora è “rovine”.  Tuttavia l’ammirazione per l’efficienza e la grandiosità degli acquedotti romani ci induce a rileggere anche i commenti dei loro contemporanei. Frontino nominato “curator aquarum” all’epoca dell’imperatore Nerva  console nel 36 d.c.scriveva “ A tali costruzioni necessarie per così ingenti quantità d’acque oseresti paragonare le inutili piramidi d’Egitto oppure le altre opere dei Greci improduttive e tuttavia famose?”  AQUA ANIO VETUS Alcuni tratti degli acquedotti romani sono rimasti in uso fino  ai nostri giorni. L’abbandono é stato determinato da incuria e devastazioni per alcuni e per altri dalla tossicità del piombo delle tubature, scoperta abbastanza recente. Strabone, storico e geografo dell’età Augustea nato ad Amasea nel Ponto, visse lungamente a Roma, dove rimase molto impressionato dalle straordinarie impalcature di strade e acquedotti. Ai suoi lettori di lingua greca si rivolge

Nella primavera-estate del 1942 le potenze dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo raggiunsero la loro massima espansione territoriale. Il Giappone dominava su tutto il Sud-Est asiatico, su vaste zone della Cina e su molte isole del Pacifico. Era l’acme, quello tra Germania e Impero del Sol levante, di un interscambio culturale iniziato ormai da decenni e in parte legato anche a una sorta di immaginario misterico. In tale dimensione si colloca il bel libro di Marco Zagni, teso a svelare le intime relazioni fra il Terzo Reich, l’esoterismo, le religioni orientali e le teorie sulla razza, in una critica dei valori occidentali. Lo stesso Hitler non fece mai mistero di tali influenze sul suo pensiero. Nel febbraio del 1920 tenne un discorso in cui, citando apertamente il poeta ed esoterista Guido von List (1848-1919), affermava come l’ariano avesse formato la sua forza spirituale e corporea in modo assolutamente diverso, poiché appartenente a una stirpe accomunata da un segno di riconoscimento: il simbolo del Sole.  La croce come svastica non era reperibile solo in Germania: lo stesso identico simbolo era inciso nei templi dell’India e del Giappone. Era “la svastica della comunità (Gemeinwesen) un tempo fondata dalla cultura (Kultur) ariana” (Kurlander, 2018). L’attrazione del nazismo verso l’Oriente, il buddhismo, l’induismo

Erodoto, il padre della storia, vissuto nel V secolo a. C., nel secondo libro delle sue Storie – che per la loro bellezza furono nominate con i nomi delle nove Muse- affronta un argomento che avrà una lunghissima durata: quale sia stata la più antica lingua del mondo. Erodoto Lo storico, con il suo consueto stile semplice e preciso, racconta che il faraone Psammetico (VII secolo a. C.), per scoprire se davvero gli Egiziani, come generalmente si riteneva, fossero il più antico popolo del mondo, o lo fossero invece  gli abitanti della Frigia, regione dell’Asia Minore, con la loro lingua che- come aveva pensato Omero fosse  la più antica, mise in atto un curioso e per certi aspetti crudele esperimento, che di certo oggi nessuno gli avrebbe perdonato. Ma si sa, a quel tempo tutto era concesso agli onnipotenti sovrani.  Dunque Psammetico prese due bambini nati da poco “da poveri parenti”, e li affidò ad un pastore perché li allevasse nel silenzio più assoluto, in modo che i piccoli non ascoltassero mai alcuna parola. Egli riteneva così che, in quei due bambini, la lingua, non influenzata da alcun suono di alcun paese, si sarebbe mostrata nella sua primigenia natura come, la prima lingua

Ci sono molti, genitori, docenti e anche scrittori e giornalisti, che lamentano la scarsa abitudine in Italia alla lettura. Anche le statistiche  , collocano l’Italia molto indietro  in queste graduatorie.  Molti danno  la “colpa” di ciò a computer e cellulari, dimenticando che essi sono, al contrario, strumenti che non solo non potrebbero proprio essere usati senza saper leggere e scrivere, ma che aiutano con i loro dizionari incorporati a correggere gli errori di ortografia, e se bene impostati anche di grammatica. E soprattutto, che sono strumenti che consentono di leggere intere biblioteche di libri completamente gratis. Tutti i classici delle letterature antiche e tantissimi di quelle moderne, si possono oggi trovare spesso gratis su internet:  libri di storia, di scienze, di filosofia, perfino, con pochi euro, intere collezioni di fumetti. Anzi possiamo senz’altro dire che mai, in tutta la storia dell’umanità, sia stato possibile come oggi, leggere, comodamente, gratuitamente e con l’ausilio di mille supporti come traduzioni e aggiornamenti critici a portata di mano.  https://youtu.be/ADoDax_zmD4 Il problema non è , naturalmente, nel cellulare o nel computer, ma nell’uso che di questi strumenti  si fa, vale a dire, nella mente di chi li usa.  Dunque il problema è sostanzialmente educativo. Come sempre, del resto.

Da un po’ di anni a questa parte l’agiografia, vale a dire lo studio della vita dei santi e delle sante, non è più appannaggio esclusivo dei cosiddetti agiografi tradizionali o degli studiosi di religione o di storia della Chiesa, ma, legandosi alla antropologia e alla storia, sia antica, sia moderna, come del resto un po’ tutti gli studi storici, ha prodotto una serie di ricerche molto interessanti che affrontano il tema da nuovi e diversi punti di vista. Basta scorrere, ad esempio, gli indici dei vari numeri della rivista “Sanctorum”, per comprendere la novità di questo punto di vista. In queste ricerche “il santo” è studiato nelle fonti che ce ne hanno tramandato la vita, ma anche negli apparati delle feste che lo riguardano, nell’evoluzione delle icone o nella statuaria che lo rappresenta, nei significati storici dei suoi attributi, negli elenchi interminabili delle reliquie che, lungi dall’essere semplicemente interrogate secondo il concetto vero/falso, spiegano con chiarezza il diffondersi del culto secondo parametri geograficamente e cronologicamente precisi, nelle forme di devozione che ne attestano il legame profondo con tutti gli strati della popolazione. Ed è proprio questo approccio totale alla agiografia che viene chiamato “religione delle cose”. Approccio che, come

Se nella città di Roma operavano veri e propri panifici di produzione industriale a Pompei esistevano, anche se su scala ridotta, numerosi forni perfettamente attrezzati. E con lo studio di queste antiche panetterie gestite da modesti lavoratori e con gli affreschi nelle case delle persone comuni che possiamo comprendere gli orizzonti nuovi che e storia dell’arte a lungo considerate scienze separate, possono aprire lavorando insieme.  Antico Pane ritrovato a Pompei Attraverso lo studio di oggetti di vita quotidiana appartenuti a uomini e donne comuni, l’archeologia ha contribuito a rendere la storia una disciplina molto più concreta e capace di farci comprendere davvero la vita degli antichi padri, permettendoci di ricostruire anche  microstorie di uomini e donne del passato. Poiché le scienze storiche sono volte ad indagare il tempo passato non solo attraverso lo studio di documenti scritti, atti ufficiali e fonti politico-militari, ma anche con tutto ciò che l’archeologia può ritrovare. Come sottolineato anche da Bandinelli, gli storici ed archeologi “non possono fare a meno gli uni dagli altri”. Grazie allo studio dei forni rinvenuti nella città vesuviana sappiamo come si svolgeva l’attività quotidiana dei panifici dell’epoca antica negli aspetti più minuziosi. Laddove normalmente l’opificio si divideva su due livelli, era guarnito di

Vino, mai come in questo periodo si è parlato delle sue proprietà terapeutiche e non per rifugiarsi sulla raccomandazione del “bere moderato”. Poche, meglio pochissime di tante autorevoli  voci, hanno citato e forse neppure letto, la notevole mole di studi scientifici che da anni studiano, sezionano le proprietà dell’alcol prendendo in esame ormai migliaia di soggetti – forti bevitori, astemi e persone la cui assunzione giornaliera è moderata in rapporto ovviamente a diverse malattie, con una conclusione ormai accreditata che l’alcol reca più problemi all’astemio che al bevitore moderato. Ma torniamo al nostro Santo citato anche per la sua benevole attenzione al vino. Se nella gerarchia della Chiesa troviamo Papi e alti prelati di stomaco robusto e indulgenti al vino, non meno folta è la schiera di santi a protezione della vigna e del vino. Tra i più noti nella tradizione popolare t e S Teodoro  quest’ultimo protettore degli osti: di questo Santo si dice che quando si verificò una terribile gelata che distrusse gran parte dei vigneti, riempì miracolosamente tutte le botti che erano rimaste vuote a causa della calamità. San Martino di Tours( vescovo cristiano del IV sec) ricordato l’ 11novembre perché coincide con la fine della vendemmia, è il protettore

Sotto il nome del più famoso medico dell’antichità, al quale si deve anche il celebre giuramento, Ippocrate (460-377 a. C.), ci è stata tramandata una serie di scritti che, passati nel mondo latino (taluni con incerta attribuzione), compongono il cosiddetto Corpus Hippocraticum. L’autore si occupò degli effetti del vino da un punto di vista strettamente fisiologico, senza alcun riferimento ai vini di questa o di quella zona, a quelli più o meno apprezzati e più o meno celebri, ma “al vino in sé”; dunque, anche se il suo  trattare del vino in generale può prestare il fianco a qualche critica, il suo pensiero, che ha avuto un’influenza plurisecolare, sembra l’ideale per introdurre una ricerca “sul vino”. Infatti, se è vero che come affermava Hegel, di notte tutte le vacche sono nere, così, pur non potendo certo sostenere che tutti i vini sono uguali, dobbiamo cercare di cogliere anche le caratteristiche salutari presenti in tutti i vini e saperle sfruttare al meglio per la nostra salute. Del resto il medico non intendeva scrivere un trattato di enologia, ma di medicina.  Un primo accenno interessante di Ippocrate alle caratteristiche mediche dei vini lo troviamo in un passo del  Trattato della dieta salubre, 12:  “Quelli

Se dovessimo enumerare le  principali diversità della cucina medievale da quella dei secoli successivi, come si configurano nelle principali fonti che ci sono rimaste, potremmo dire che esse erano caratterizzate più dal legame con un lontano e lontanissimo passato, che con i nostri giorni. E questa particolarità si potrebbe riassumere dicendo che gli uomini, ma anche le donne, hanno conservato per buona parte dei secoli passati le antiche loro attività che per millenni sono rimaste pressoché inalterate: la caccia di animali selvatici, la pesca e la raccolta di erbe e frutti spontanei. Nel primo caso operavano soprattutto gli uomini, nel secondo le donne che si occupavano di raccogliere e anche di conservare. E per quanto oggi, che i rapporti tra mondo naturale e mondo culturale sono completamente cambiati, la caccia possa apparirci anche giustamente nei suoi aspetti più feroci e primitivi un’attività da condannare, non si può trascurare il fatto che essa abbia probabilmente svolto un ruolo fondamentale, dapprima nella conservazione della specie umana, e in seguito, ben oltre l’alto medioevo, insieme con la raccolta, per arricchire l’alimentazione dei poveri. Per secoli, infatti, la caccia agli animali selvatici ha consentito un apporto calorico notevole per arricchire le scarse diete basate su

Una delle prime leggi sul vino dell’età imperiale è sicuramente quella di Domiziano degli anni 90 Anno Domini, interessante esempio legislativo che codificava la illegittimità della coltivazione dei vitigni. L’imperatore, rimasto tristemente famoso per aver ordinato l’uccisione dei Cristiani -tra cui quella di Simeone, che secondo Eusebio di Cesarea era cugino di Cristo- promosse un’ondata di terrore meglio nota come la seconda persecuzione dei Cristiani, dopo quella di Nerone. Non è un caso se proprio in questo periodo turbolento ai primi Cristiani si domandava la prova del fuoco: bruciare le effigi e sacrificare in nome dell’imperatore, rito emblematico nello scontro tra il decadente paganesimo e la nascita del primo cristianesimo. In questo contesto per tanti aspetti violento va inserito il tentativo di Domiziano di vietare la coltivazione del vino. Con l’ultimo dei Flavi arrivò il tempo in cui il vino fu bandito in tutto il mondo occidentale, l’editto imperiale vietava la coltivazione dei vitigni in Italia; l’ordine era di sradicare metà dei vitigni in Asia Minore e in altre province. Ce lo racconta Svetonio (Vita di Domiziano, VII) “ Essendo stato un anno grandissima abbondanza di vino, e molta carestia di grano, stimando ciò avvenire perché mettendosi troppa diligenza nelle vigne si