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Rubrica di Emanuela Medi
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Degustazioni

La Campania è una terra ricca di storia, tradizioni e scenari incantevoli come la Costiera Amalfitana, Napoli con il suo fascino controverso ma indiscusso e le isole del Golfo: Capri, Ischia e Procida, veri capolavori della natura. Per non parlare delle prelibatezze enogastronomiche di tutto il territorio: prodotti di mare, verdure e piatti tipici come la Pizza e le deliziose mozzarelle di bufala. Vero monumento di questa imponente terra è il Vesuvio, amato per la sua bellezza e temuto per la sua potenza. Qui l’opera dell’uomo è stata grandiosa, come nelle zone più impervie della regione, oggi trasformate in terrazzamenti digradanti verso il mare, utilizzati per coltivare agrumi, ulivi e viti.  Gli Angeli Matti di Ischia: Casa d’Ambra La storia di Casa d’Ambra dura da oltre 100 anni e inizia da nonno Francesco detto “Don Ciccio”, classe 1863 nell’antica sede di Villa Garavini. Oggi tra gli "angeli matti" termine coniato dai giornalisti per indicare la difficoltà della viticoltura nell’Isola, alla guida di Casa d’Ambra c’è la terza generazione con l’enologo Andrea D'Ambra. La cantina è un anfiteatro naturale di 3500 mq incastonato nelle pendici del Monte Epomeo e dal 1988 l’azienda con passione e tenacia punta ai vitigni locali: biancolella, forastera, uvarilla, piedirosso e guarnaccia. I vigneti di

L’Abruzzo è sinonimo di natura incontaminata piccoli borghi ed eccellenze enogastronomiche, distribuite in un territorio sito tra le vette dell’Appennino e le acque dell’Adriatico. Questi imponenti massicci del Gran Sasso posti a poca distanza dal mare, favoriscono le escursioni termiche e una buona ventilazione, garantendo così un microclima ideale per uve di grande qualità. L’Abruzzo enologico è infatti una realtà in forte crescita con una superficie vitata pari 36 mila ettari e una produzione annua che sfiora i 3,8 milioni di ettolitri. Punto di forza della viticoltura nella regione è senz'altro il vitigno Montepulciano a bacca rossa, seguito dal Trebbiano d’Abruzzo vitigno a bacca bianca. La cucina abruzzese si ispira specialmente nell’entroterra ai piatti semplici e saporiti della tradizione contadina: carni ovine, zuppe e minestre, formaggi ed erbe aromatiche. Sulla costa troviamo invece la cucina marinara, assieme a tante varietà di ortaggi e verdure. Nel comune di Spoltore in provincia di Pescara su terreni collinari posti tra l’Adriatico e il Gran Sasso, sorge “Fattoria La Valentina”; gestita dal 1994 dalla famiglia Di Properzio si estende per 40 ettari di vigneto dal suolo ricco di argille e marne, specializzati nella coltivazione delle uve autoctone Montepulciano, Trebbiano, Cerasuolo, Fiano e Pecorino. La Valentina aderisce ai principi di sviluppo

Dieci chilometri da Siena, cinquanta da Montalcino, sessanta da Firenze e poco più di ottanta da Arezzo. Borgo Scopeto, relais chiantigiano di Elisabetta Gnudi Angelini, occupa una posizione strategica nel cuore  della Toscana Centrale.  Si, lo sappiamo: raccontare in questo periodo di cascine immerse in paesaggi da dipinto rinascimentale, a due passi dalla città del Palio, è quasi difficile, perché solo a guardare le foto viene voglia di fare le valigie e partire in barba a tutte le restrizioni. D’altra parte, però, le migliori realtà enoturistiche italiane meritano di essere raccontate in previsione della riapertura a Giugno, a maggior ragione se, oltre che belle, sono anche molto “buone”.  E “buono” e bello è questo borgo trecentesco sito nel comprensorio di Vagliagli, frazione di Castelnuovo Berardenga,  che guarda la Cattedrale e la Torre del Mangia dalla cima di uno dei primi colli del Chianti Classico. Elisabetta  Gnudi Angelini, l’ha acquistato 23 anni or sono e trasformato in un resort a quattro stelle dotato di piscina, centro benessere e ristorante oltre che di una cantina dove vengono vinificate le uve provenienti dai 70 ettari di vigneto presenti nella tenuta circostante.  Il protagonista della produzione è - ca va sans dire - il Sangiovese, dal

Tenute Piccini, con sede a Castellina in Chianti, fu fondata nel 1882 da Angiolo Piccini con soli 7 ettari, oggi alla guida c’è Mario Piccini direttore generale e la sorella Marina; un impegno ininterrotto che dura da 130 anni con circa duecento ettari vitati di proprietà, e cinquecento in affitto. La produzione media di questa azienda sfiora i 15 milioni di bottiglie l’anno, mai a discapito della qualità. Cinque tenute: La Fattoria di Valiano nel Chianti Classico, la Tenuta Moraia in Maremma, Villa al Cortile a Montalcino, Regio Cantina in Basilicata (con 15 ettari specializzati nella produzione dell’Aglianico del Vulture) e Torre Mora tra Castiglione di Sicilia e Linguaglossa, alle pendici dell’Etna. A fine 2018 si è aggiunto il Chianti Geografico, marchio storico del vino toscano, soprattutto nel territorio di Chianti, San Gimignano e nei Colli Senesi, fondato nel 1961 e liquidato volontariamente nel 2015. Dopo aver gestito i vigneti di 60 soci del marchio per oltre due anni, Mario Piccini ha salvato la cooperativa dal fallimento, ampliando il patrimonio vinicolo di Tenute Piccini. È previsto un piano di rilancio triennale con l’acquisto di nuove botti, vasche in cemento e serbatoi per le cantine del Geografico a Gaiole e a

1970-2020. Cinquant’anni dallo scioglimento dei Beatles, dalla fine della decade del miracolo economico e dalla fondazione di una realtà che ha contribuito in maniera essenziale alla trasformazione dell’areale quieto, remoto, dove sorge in una mecca vinicola che ha pochi eguali nel mondo. Non è un anno facile quello in cui cade il cinquantennale dalla nascita di Caparzo, storica azienda afferente alla galassia vinicola di Elisabetta Gnudi Angelini, “signora del Sangiovese” (qui l’intervista in occasione dello scorso Vinitaly: https://www.vinosano.com/la-signora-del-sangiovese-elisabetta-gnudi-angelini/). Anche un brand solido come quello di Montalcino e dei suoi Rosso e Brunello rischia di naufragare in questo mare d’incertezza, ma Elisabetta, forte dei suoi oltre vent’anni d’esperienza nel settore, tiene duro e si prodiga affinché le nuove annate dei suoi vini riescano ad ottenere l’attenzione che meritano anche a fronte dell’annullamento di tutti gli eventi nei quali sarebbero state presentate.In questa cinquantesima primavera - forse la più dura per il vino italiano dai tempi dello scandalo del metanolo, che scoppiò proprio nel mese di Marzo - Caparzo ha rilasciato un Rosso e due Brunelli appartenenti ad annate molto fortunate ( 2018 per il primo e 2015 per gli atri due). La 2015, in particolare, ha fornito una ulteriore conferma della supremazia

Pubblichiamo un articolo inedito su Taste Alto Piemonte Roma, rassegna alla quale abbiamo preso parte nel mese di febbraio dell’anno scorso.  Silvia Barbaglia, giovane vignaiola delle colline Novaresi, mostra ai partecipanti di Taste Alto Piemonte a Roma una foto della sua Boca negli anni 30'. A quel tempo, oltre 1.000 ettari vitati circondavano il santuario che si erge su questo piccolo borgo della Val Sesia, regalando un colpo d'occhio simile a quello delle Langhe. Di quella fitta distesa di ceppi e filari, immagine della prosperità perduta di una delle prime denominazioni d'Italia, rimane oggi solo il ricordo sfocato. Al momento, poco più di trenta ettari insistono ancora sul territorio della DOC Boca, che, ridotta ad un'ennesima frazione di ciò che era un tempo, cerca il riscatto nell'elevata qualità delle sue micro-produzioni. A dire il vero, la superficie è aumentata significativamente da quando, circa due decenni fa, era stata rasentata la soglia desolante dei dieci ettari, sotto la quale riconoscimento statale sarebbe venuto meno. Salvifico è stato l'intervento di Christoph Kunzli, illuminato importatore svizzero che, con la sua opera divulgativa e commerciale, ha risollevato le sorti della denominazione. Sul finire degli anni 90', Kunzli acquistava la storica azienda Le Piane e sfruttava il suo

Una degustazione da non dimenticare  di spumanti “pas dosè” affinati sui lieviti da almeno 60 mesi e sboccati alla volè. La tipologia spumante metodo classico pas dosè viene lavorato con un rabbocco nella fase di sboccatura esclusivamente con il vino prodotto dalla stessa vendemmia, questo poiché si perde prodotto facendo esplodere il tappo dalla bottiglia per eliminare i lieviti depositati nella posizione di punta. Per tutte le altre lavorazioni viene aggiunto il liqueur d’expédition, liqueur de dosage o dosaggio, una mistura composta da zucchero di canna, solfiti e vino. Per i vini pas dosè anche chiamati brut nature e dosage zéro la concentrazione è inferiore a 3 grammi, ottenuta come detto senza aggiunte diverse dal vino stesso. Le altre lavorazioni con liqueur d’expédition si dividono in: doux più di 50 grammi di zucchero per litrodemi-sec tra 32 e 50 grammi di zucchero per litrosec tra 17 e 32 grammi di zucchero per litroextra dry tra 12 e 17 grammi di zucchero per litrobrut meno di 12 grammi di zucchero per litroextra brut tra 0 e 6 grammi di zucchero per litro La batteria  dei “Dormienti”  ha visto 5 spumanti metodo classico, affinati in bottiglie magnum, provenienti da tutto lo stivale. La degustazione

Un articolo in memoria di Michael Broadbent, critico, banditore d’asta e membro dell’High Society londinese, e la riflessione sui “Parigi e i vini-monumento” nel Romanzo del Vino di Roberto Cipresso. Queste sono state le mie ultime letture. Ho trascorso mezza giornata immerso in due racconti fiabeschi - per quanto non privi di acume critico - della parte più patinata, più aristocratica, più mitizzata della galassia enoica: quella che ruota attorno a vini davanti ai quali “inchinarsi è un obbligo, non una libertà”. Potevo trarne ispirazione ed aprire l’unica bottiglia per così dire “monumentale” che conservo in cantina

Sull’annata 2015 del Brunello di Montalcino si è detto tutto e il contrario di tutto. Ci sono critici che, già dopo la prima sessione di assaggio nello scorso autunno, hanno cominciato a inondare la rete di proclami trionfanti, dispensando punteggi da capogiro a destra e manca, e ce ne sono altri che, invece, hanno espresso da subito una certa perplessità riguardo all’effettiva “grandiosità” di questo millesimo torrido, evidenziando che in certi casi ha dato vini “over the top” (ovvero sopra le righe). Purtroppo motivazioni lavorative prima, e il dilagare del coronavirus dopo, non ci hanno permesso di recarci in loco per approfondire la questione. E allora, per farci un’idea perlomeno vaga di quali siano le caratteristiche dell’annata, abbiamo deciso di stappare per Pasqua due etichette stilisticamente opposte di due aziende simbolo della denominazione.Il primo è il Brunello di Montalcino 2015 di Col d’Orcia, Azienda fondata dalla famiglia Franceschini alla fine dell’ 800’ e acquistata dai conti Marone Cinzano, pioneri del Vermouth e dell’Asti Spumante, nel 1973. Al netto delle circa 200.000 bottiglie prodotte annualmente, questa etichetta rappresenta il volto “pop” della denominazione e funge spesso da barometro per “pesare” l’annata. Da qualche tempo tutte le uve impiegate vengono da vigneti coltivati

Fluidità, souplesse, prevaricazione di ogni stereotipo varietale. Parlare del Bolgheri Superiore Le Gonnare di Fabio Motta come di un piccolo Masseto può sembrare retorico e un po' esagerato, ma che catturi il "genius loci" bolgherese non può negarlo nessuno.  Fabio, origini varesine, laurea in scienze agricole a Milano e una lunga esperienza alla corte di Michele Satta, di cui poi ha sposato la figlia, rappresenta il volto nuovo di un territorio che, dopo l’exploit degli anni 90' e dei primi duemila, si è un po' fossilizzato. Nel 2010 ha preso in affitto quattro ettari piantati a Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese, e ha cominciato a produrre il Bolgheri Rosso Pievi. Nel 2012 ha acquistato il vigneto Le Gonnare, dal quale trae l'omonimo vino a base Merlot con un una piccola percentuale di Syrah, vitigno tanto caro al suo maestro nonché suocero.  A distinguere il suo approccio da quello di molti suoi vicini è la ricerca della "trasparenza del legno" e la rinuncia a qualunque sotterfugio enologico. La fermentazione di Le Gonnare avviene in tini troncoconici senza l'aggiunta di lieviti, l'affinamento ha luogo in barrique perlopiù usate e l'utilizzo della solforosa è ridotto al minimo. Il risultato è un vino che evoca visioni carducciane. Il