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Rubrica di Emanuela Medi
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Degustazioni

Il borgo toscano di Pitigliano sito a 313 metri sul livello del mare sorge su un promontorio tufaceo circondato da vallate di estrema bellezza; secondo una leggenda, la fondazione della città sarebbe dovuta a due romani: Petilio e Celiano; dalla fusione dei loro nomi sarebbe derivato Pitigliano Ma vediamola più da vicino  questa splendida cittadina etrusca: entrando in città si oltrepassano gli archi dell’Acquedotto Mediceo, imponente costruzione edificata dai Medici per l’approvvigionamento idrico degli abitanti. Il borgo ha più di sessanta vicoli tra cui le Vie sacre scavate nel tufo dagli etruschi per ricavare sbocchi di comunicazione e luoghi di culto. Le abitazioni conservano ancora i caratteristici stemmi gentilizi e le cornici di travertino alle finestre. Nel sottosuolo del paese si aprono gallerie con pareti alte anche venti metri e lunghe circa un chilometro, rifugio per la comunità ebraica fino al ‘400, Pitigliano viene definita infatti la “Piccola Gerusalemme” tanto che ancora  oggi permangono cantine e macellerie Kasher; visitabili il museo ebraico e la Sinagoga. Non lontano da qui Domenico Pichini, pitiglianese di nascita nei primi anni ’90 apre il suo ristorante il “Tufo Allegro”, dove all’interno sono visibili le caratteristiche pareti in roccia. Con grande attenzione alla provenienza e la

Nei primi anni Ottanta Stefano Antonucci, ex bancario, fonda l’Azienda vinicola Santa Barbara, nome che rende omaggio all’omonimo comune di Barbara in provincia di Senigallia (AN). Il territorio compreso fra le brezze marine dell’Adriatico a est e la catena degli Appennini che ripara dai venti freddi ad ovest, consente fin da subito, grazie anche ai suoli argillosi ricchi di corsi d’acqua, la coltivazione delle uve autoctone Verdicchio Castelli di Jesi, Montepulciano e Lacrima di Morro d’Alba, nonché degli internazionali Merlot, Syrah e Cabernet Sauvignon. Le lavorazioni in vigna iniziano a gennaio e proseguono instancabilmente fino ad ottobre e le attività vengono svolte perlopiù a mano. In Azienda non si usano botti vecchie per la vinificazione, se non in ottime condizioni, a causa dei difetti causati ai vini con base Verdicchio in circolazione proprio in negli anni ‘90. Prese il via uno stile meno spigoloso e più bevile, così fu ristrutturato un antico monastero del comune di Barbara dove oggi sorge la “barricaia” della Cantina; qui la temperatura e l’umidità sono costanti per tutto l’anno e all’interno sono conservate barrique classiche da 225 litri e tonneau da 450 litri per la fermentazione del vino; sono disponibili inoltre serbatoi d’acciaio e in cemento da 50 e 100

La vigna si trova nei dintorni di Cupramontana, grazioso borgo alle pendici dell'Appennino umbro-marchigiano. Il santo - o meglio, l’Arcangelo - dal quale prende il nome è quello che, secondo la tradizione, avrebbe posto fine alla disastrosa peste del 590 con la sua apparizione su Ponte Sant’ Angelo a Roma. Ma oltre che per la toponomastica attuale - e forse anche propiziatoria - il Verdicchio dei Castelli di Jesi San Michele 2017 di Vallerosa Bonci merita l’assaggio per altre due ragioni ben precise: la specificità con cui racconta un terroir di assoluto rilievo e il rapporto qualità prezzo davvero notevole. La 2017 è, peraltro, un’annata meno cerebrale, più fruibile di altre: il bouquet ci mette un attimo ad esplodere su toni di pesca gialla, pietra focaia, mandorla tostata ed erbe di campo che evocano ora la frescura dell'Appennino marchigiano, ora il calore della vicina costa. Il gusto è cremoso, avvolgente, ma possiede la spina acida necessaria per ripulire la bocca dalle parti grasse dei crostacei, dei famosi Moscioli di Portonovo, di una Rana pescatrice adriatica o di un qualunque formaggio a pasta molle. Chi poi vorrà aspettare qualche anno – ma non troppi, visto che si tratta di un vino

Quest’anno sfatiamo quel mito secondo cui il pasto si conclude abbinando il dessert a un vino secco, come lo spumante brut. Ecco, questa è un abitudine errata. Il criterio di abbinamento che permette a un cibo dolce di esaltare il sapore e le qualità di un vino (e viceversa) avviene per concordanza. Come ci ha trasmesso il grande Veronelli citando i migliori “Matrimoni d’Amore”vino e cibo si combinano fra loro per creare armonia, senza prevalere l’uno sull’altro, ma per assecondare il gusto con le stesse caratteristiche. Per Natale allora proponiamo un prodotto immancabile sulle nostre tavole: il Panettone. “…L’inventore del Panettone, sarebbe un tale Toni, aiutante nella cucina di Ludovico il Moro durante il Medioevo. La storia narra che alla vigilia di un Natale, il capocuoco degli Sforza bruciò il dolce preparato per il banchetto ducale; allora Toni, sacrificando il suo lievito madre, lavorò l’impasto con farina, uova, zucchero, uvetta e canditi per un risultato così soffice che Ludovico il Moro intitolò questo omaggio “Pan de Toni” in onore del creatore. Fino ai primi del Novecento veniva infornato senza alcuno stampo, la forma attuale del Panettone fu definita negli anni ‘20 da Angelo Motta, ispirato aldolce pasquale “kulic” della tradizione ortodossa, quindi aggiunse del

Per comprendere il valore della Roma DOC, basta farsi dodici ore d' aereo, atterrare a Tokyo Narita, prendere il treno fino a Shinjuku, visitare il wine shop del lussuosissimo grande magazzino Isetan e scovare, tra i vari Sassicaia, Tignanello, Biondi Santi e via dicendo, una bottiglia di Roma Rosso Riserva di Poggio Le Volpi. Ai romani, che di "romano" bevono solo vini sfusi di poco pregio quando vanno a mangiare la porchetta ai Castelli, l'accostamento di un vino della Capitale o del suo circondario alle sopraccitate eccellenze nazionali potrebbe sembrare un abominio. Al contrario, in Giappone e in qualunque altro paese estero, il solo nome "Roma" basta a rendere un vino meritevole d'attenzione. Del resto, quanti vini al mondo possono essere localizzati geograficamente da più o meno chiunque? Quanti possono fare perno su di un brand forte come quello della Città Eterna ? Non bisogna essere esperti per capire che l'appeal della neonata Roma DOC va ben oltre la qualità intrinseca dei prodotti e che, se le aziende aderenti sapranno cogliere quest'opportunità senza adagiarsi sugli allori, potranno riscuotere un successo senza precedenti. L'altra faccia della capitale Tra traffico, smog e urbanizzazione selvaggia, si tende a dimenticare che Roma detiene il primato di comune

Il territorio ligure si presenta come una sottile mezzaluna che collega la Toscana alla Francia con 1538 ettari di vigneto tra mare e montagne per una viticoltura definita eroica caratterizzata da tipici terrazzamenti a strapiombo sul mare. I vini di questa regione dallo stile mediterraneo sono di grande impatto e derivano specialmente dalle uve Pigato e Vermentino. Lo Sciacchetrà che in dialetto ligure significa “schiacciare” per indicare la pigiatura dell'uva, è il vino simbolo delle Cinque Terre, un passito tra i più rari in Italia, riconosciuto oggi come presidio Slow Food. Tra i vitigni il più diffuso è il Vermentino in provincia di La Spezia che regala vini bianchi freschi e sapidi, più eclettici dei cugini sardi, ma comunque ottimi con il pesce in particolare i crostacei. Da citare anche il Rossese di Dolceacqua della riviera di Ponente che sembra fu il vino rosso preferito da Napoleone, piacevole ed elegante dai sentori di frutta rossa, fiori e spezie.  Tra Savona e Imperia si coltiva invece il Pigato (dal latino picatum per i puntini sulla buccia dell’acino) vitigno arrivato dall’Egeo nel Medioevo e diffuso nel Secondo Dopoguerra grazie al turismo sulla costa; il vino paglierino brillante e tipico di aromi fruttati se

Un articolo in memoria di Michael Broadbent, critico, banditore d’asta e membro dell’High Society londinese, e la riflessione sui “Parigi e i vini-monumento” nel Romanzo del Vino di Roberto Cipresso. Queste sono state le mie ultime letture. Ho trascorso mezza giornata immerso in due racconti fiabeschi - per quanto non privi di acume critico - della parte più patinata, più aristocratica, più mitizzata della galassia enoica: quella che ruota attorno a vini davanti ai quali “inchinarsi è un obbligo, non una libertà”. Potevo trarne ispirazione ed aprire l’unica bottiglia per così dire “monumentale” che conservo in cantina

Nella Toscana delle denominazioni storiche, le Tenute Folonari con i suoi territori vocati e le tecniche enologiche approfondite, permette la valorizzazione del Sangiovese, vitigno principe della regione, senza utilizzare in blend altre uve. La Ambrogio e Giovanni Folonari è tra le più antiche aziende d’Italia ed opera nel settore dal XVIII secolo; attualmente è guidata da Giovanni Folonari, figlio di Ambrogio che ci racconta qualche dettaglio sulla vendemmia passata: “La primavera sufficientemente piovosa ha garantito buone risorse idriche ed il calore estivo non ha mai raggiunto punte eccessive. Dunque l’esposizione solare e le riserve d’acqua hanno conferito la giusta energia al vitigno, favorendo la maturazione dell’uva in tempi corretti” ci viene riferito. “Assiduo anche quest’anno il lavoro degli enologi Roberto Potentini e Raffaele Orlandini, che hanno analizzato dal mese di luglio, la tenuta oltre 100 acini di oltre 20 ceppi diversi, per identificare in base alle curve di maturazione i tempi ideali per il raccolto”. Seppur così diffuso, il Sangiovese infatti rappresenta il 65% della piattaforma ampelografica toscana e il 10,7% di quella nazionale, la maturazione del grappolo deve essere lenta in modo che i tannini evolvano gradualmente, altrimenti si rischia un vino “scorbutico” o estremamente “marmellatoso”; inoltre si presta all’affinamento

Vendemmia anticipata  al 30 Novembre per gli Ice Wine o vini di  giaccio la cui raccolta almeno nelle regioni vinicole più vocate tedesche iniziava a fine gennaio addirittura febbraio  quando la temperatura minima richiesta è di -7 gradi Celsius.  Ma l’ottimo stato di salute delle uve , sottoscritta dal parere dell’Istituto del vino Tedesco ha indotto i viticoltori delle regioni dello Nahe, Rhenessen, Pfalz, Franken e Reingau a raccogliere le uve Riesling particolarmente adatte a questo tipo di vinificazione. Anche perché la temperatura minimale in alcune regioni ha raggiunto i -12 gradi Celsius elemento, meglio dire il gelo, che consente la massima concentrazione degli aromi. Hanno un sapore dolce che ricorda i migliori passiti, ma sono dotati di una piacevole acidità che ricorda la frutta,   hanno un contenuto di zucchero residuo naturale molto elevato( oltre 100 grammi per litro) ma la percentuale di alcol in volume è generalmente al 7%.  Altra caratteristica è il perfetto equilibrio tra la dolcezza e l’acidità che li rende ottimi compagni per dolci e formaggi.. . Sono i vini del ghiaccio ottenuti con particolari procedimenti che nulla hanno da invidiare in dolcezza e morbidezza, ai più conosciuti Sciacchetrà delle Cinque terre, il Vin Santo della Toscana,

Un incontro di prima della pandemia che ho “rispolverato” nei miei ricordi  ma che volentieri ripropongo perché Il Piemonte, per via dei miei attuali studi, sta diventando la mia seconda regione di elezione. Silvia Barbaglia, giovane vignaiola delle colline Novaresi, mostra ai partecipanti di Taste Alto Piemonte a Roma una foto della sua Boca negli anni 30′. A quel tempo, oltre 1.000 ettari vitati circondavano il santuario che si erge su questo piccolo borgo della Val Sesia, regalando un colpo d’occhio simile a quello delle Langhe. Di quella fitta distesa di ceppi e filari, immagine della prosperità perduta di una delle prime denominazioni d’Italia, rimane oggi solo il ricordo . Al momento, poco più di trenta ettari insistono ancora sul territorio della DOC Boca, che, ridotta ad un’ennesima frazione di ciò che era un tempo, cerca il riscatto nell’elevata qualità delle sue micro-produzioni. A dire il vero, la superficie è aumentata significativamente da quando, circa due decenni fa, era stata rasentata la soglia desolante dei dieci ettari, sotto la quale riconoscimento statale sarebbe venuto meno. Salvifico è stato l’intervento di Christoph Kunzli, illuminato importatore svizzero che, con la sua opera divulgativa e commerciale, ha risollevato le sorti della denominazione. Sul finire degli anni 90′, Kunzli acquistava la storica azienda Le Piane e