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Rubrica di Emanuela Medi
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Salute

Iniziamo da una pubblicazione apparsa sull’International Journal of Environmental Research  and Public Health   che riporta i dati sull’affezione che ha colpito con maggiore frequenza i  paesi  in cui è stata fatta l’indagine: parliamo del  mal di schiena  passato dal 38% del pre quarantena al 43%  dopo il lockdown con una crescita totale dei casi dell’11% . Nausea, vertigini, stress accumulato e nervosismo le sintomatologie più frequenti dovute principalmente  a una forzata sedentarietà. Nello specifico, le persone più colpite sono state quelle di età compresa tra i 35 e i 49 anni, che avevano un indice di massa corporea uguale o superiore al 30, che erano sottoposti ad alti livelli di stress   e che non praticavano attività fisica. Ma la schiena non è stata l’unica parte del corpo interessata: le persone hanno riscontrato anche sempre più frequentemente problemi al collo (+17,44%), alle spalle (+25,41%), al torace (+74,44%) e alle gambe (+40,40%). E ancora, la percentuale di persone che non hanno praticato attività fisica è aumentata addirittura del 173,97% passando dal 7,3 al 20%. A riportare maggior dolore durante il periodo di quarantena sono state le donne, (2,46 su un massimo di 5 proposto dal questionario), mentre gli uomini si sono

Da Wuhan, dove tutto è cominciato un anno fa, arriva lo studio più ampio mai condotto finora sulle conseguenze a lungo termine di Covid-19. Oltre 1.700 pazienti dimessi tra gennaio e maggio  nella città cinese che ha ospitato il primo focolaio della pandemia sono stati seguiti fino allo scorso settembre. I pazienti guariti  del tutto, ossia senza alcuna conseguenza sulla salute, sono in netta minoranza. Dopo 6 mesi dalla fase acuta dell’infezione  il 76 per cento delle persone continua a convivere con almeno un sintomo correlato alla malattia. Per lo più spossatezza e debolezza muscolare, ma anche depressione, ansia e insonnia. Nei pazienti colpiti in forma più grave, inoltre, restano visibili nelle lastre i danni ai polmoni provocati dal virus. E, sorprendentemente, in molti casi nei mesi successivi alle dimissioni insorgono disfunzioni renali che non erano state diagnosticate nel corso del ricovero.  Lo studio, pubblicato su Lancet, è stato condotto su pazienti con sintomi seri di Covid-19, tanto da richiedere un ricovero, ma non così gravi da rendere necessaria la terapia intensiva. Il sintomo che persiste con maggiore frequenza, come altri studi di dimensioni più piccole hanno già dimostrato, è la cosiddetta “fatigue”, un’eccessiva stanchezza fisica e mentale che rende improba qualunque attività

In 10 mesi due ondate, che sembrano due diverse pandemie. Il numero di casi di Covid-19 nella seconda ondata è sei volte superiore al numero di casi nella prima. Il numero dei decessi nella seconda ondata supera i 36.000 a fronte di 29.000 deceduti nel periodo fino al 4 maggio.  “L’unica vera buona notizia che abbiamo oggi a conclusione dell’anno pandemico è l’avvio della campagna di vaccinazione di massa , anche se molto lenta nella sua fase di avvio– considera il professor Americo Cicchetti, Direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica  che ha coordinato l’indagine effettuata in 21Regioni e Province Autonome - . La seconda ondata è per ora di gran lunga peggiore della prima. Nella prima ondata il picco dei deceduti è stato raggiunto più rapidamente (alla quinta settimana) con una discesa lenta ma costante dovuta alla progressiva efficacia delle restrizioni. Nella seconda ondata, il picco massimo nei deceduti si è raggiunto alla nona settimana e sembra stabilizzarsi. La discesa della curva non è evidente come ci saremmo aspettati. È evidente che le diverse strategie di contenimento adottate, più blande e forse tardive nella seconda ondata, hanno portato a effetti più significativi sulla mortalità”.  .  Risposta

Dalla larga maggioranza di studi di qualità si può trarre l’interpretazione corretta che le malattie coronariche sono meno frequenti tra i consumatori moderati che tra gli astemi (Corrao Et al 200) ma elemento ancora più interessante è che l’incidenza di eventi coronarici, fatali e non, inizia a scendere in associazione a 1-2 drink al giorno (un drink è un bicchiere standard di vino, una lattina di birra, o uno shot di un superalcolico) pari a 10-13 gr di alcool e questa incidenza è ridotta del 20-30% rispetto agli astemi, per il consumo di 2-3 drink tra gli uomini e 1-2 drink tra le donne che rappresentano limiti leggermente superiori ai consumi considerati moderati. In realtà, secondo un grande studio americano (Mukumal et al 2003), il rischio tenderebbe a decrescere con continuità al crescere dei consumi, con una incidenza minima di eventi coronarici in aree di eccesso pari a 80-100 g/die. Rischio coronarico minore ma compensato dall’aumentato rischio di insorgenza di altre gravi malattie. Quindi possiamo parlare in questo caso di correlazione di senso opposto: non più quindi l’assioma che a minore assunzione si associa il minore rischio di incorrere in un evento coronarico.  L’effetto di riduzione del rischio cardiovascolare si osserva

Siamo consapevoli del fatto che la nostra formazione profonda è umanistica, assai più che scientifica, e dunque guardiamo all’informatizzazione come a un fatto culturale e non come a uno strumento.   Partiamo col dire che a 21 sistemi sanitari regionali corrispondono, senza dubbio alcuno, uno sterminato numero di sistemi informatici sanitari dislocati nelle diverse strutture/presidi pubblici anche all’interno della medesima regione. Per cui in questi nove mesi di epidemia da coronavirus, i danni che ha provocato questa frammentazione – o “virus dell’inefficienza”- è drammaticamente sotto gli occhi di tutti. Ma la frammentazione, non infetta solo il livello regionale nel suo complesso, in alcune regioni il virus trova ospitalità all’interno delle stesse ASL, e dei singoli ospedali dove il livello di digitalizzazione si riduce al mero utilizzo della posta elettronica e alla conservazione dei dati sanitari sulle cartelle di rete o peggio ancora sui file excel. I danni che il “virus dell’inefficienza” provoca sono ben piu’ gravi ed irreversibili di cio’ che una politica, burocrazia compresa, miope possa immaginare. Si discute da oltre 10 anni, nei talk show e formule convegnistiche di ogni genere, dell’importanza dei dati sanitari (referti, degenze/ricoveri ospedaliere, cure farmacologiche) ma nessuno indica come dobbiamo superare concretamente queste modello gestionale arcaico che si traduce

Vaccinazioni rinviate, fuga dai Pronto Soccorso anche in situazioni gravi, ritardo diagnostico per patologie in cui il tempo è prezioso, terapie interrotte  e aumento delle diseguaglianze non da ultimi, i rischi psicologici e i deficit formativi legati all’isolamento e alla chiusura delle scuole. Uno scenario sul quale si sono confrontati i pediatri italiani al Congresso Straordinario Digitale della Società Italiana di Pediatria, dal titolo “La Pediatria italiana e la Pandemia da SARS-CoV-2”, che si  è chiuso il 28 novembre. “. Afferma il Presidente SIP Alberto Villani. “Dall’inizio dell’epidemia sono stati 43.841 (pari al 3,6% del totale) i casi diagnosticati nella fascia di età da 0- 9 anni e 105.378 quelli diagnosticati nella fascia 10-19 (8,6%)”. Tra i bambini più piccoli (da 0-1 anno) gli asintomatici sono più di 6 su 10 (64,3% dei casi), più di 3 su 10 (32%) i paucisintomatici o con sintomi lievi, solo il 3,4 % manifesta sintomi severi. Nella fascia di età tra i2 e i 19 anni gli asintomatici sono più di 7 su 10, la restante parte è paucisintomatica o lievemente sintomatica (rispettivamente: 8,6% paucisintomatici e 15,2% lievemente sintomatici nella fascia 2-6 anni; 10% paucisintomatici e 19,4% lievemente sintomatici nella fascia 7-19).  Marginali i sintomi

Pasta e pizza  a fare da padrona nei menù scolastici del dopo lockdown, carboidrati e proteine invece nel pre-lockdawn .È questa la fotografia presentata da Foodinsider, osservatorio delle mense scolastiche che emerge dal 5° Rating dei menù scolastici .   A presentare l’iniziativa, che in questi cinque anni ha messo in luce punti critici e buone pratiche del mangiare a scuola in tutta Italia, sono intervenuti l’On. Rossella Muroni, vice presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, Claudia Paltrinieri, direttrice di Foodinsider, Francesca Rocchi, delegata per le mense scolastiche di Slow Food Italia, e Giulio Barocco, dell’Azienda Sanitaria Universitaria di Trieste. La mensa pre-lockdown A causa del lockdown l’indagine ha fotografato la situazione fino a febbraio, valutando l’equilibrio e l’impatto sull’ambiente di una cinquantina di menù scolastici italiani, rappresentativi del 28% circa del panorama della ristorazione scolastica a livello nazionale. Il Rating ha registrato un moderato sforzo verso proposte più sane e sostenibili: più legumi e meno carne rossa e alcune iniziative degne di nota contro lo spreco. Tra i migliori spicca ancora Cremona, con due opzioni di scelta e ricette sane e sfiziose, seguita da Fano, Jesi, Trento, Rimini, Bergamo e Mantova, che si posizionano nella fascia dell’eccellenza all’interno del Rating  Valter

Come tutte le malattie, anche la pandemia da COVID 19 dimostra di avere impatto diverso in uomini e donne. Pressoché in ogni Paese viene riportato un maggior numero di donne colpite ma una maggior mortalità negli uomini, anziani ed affetti da un maggior numero di patologie associate. Sempre secondo le valutazioni del Ministero della Salute, le donne hanno un rischio inferiore di sviluppare forme gravi o letali di Covid-19 rispetto agli uomini. L’analisi  dell’ISS- Istituto Superiore di Sanita’- relativa ad un campione di 35.563 pazienti deceduti e positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia, ha evidenziato che le donne sono circa 15.155 (42,6%) ed hanno un’età maggiore rispetto agli uomini (85 anni a fronte di 79 anni). Per spiegare questo fenomeno sono state avanzate alcune ipotesi, tra cui il possibile ruolo protettivo degli estrogeni nelle donne in età fertile. Gli estrogeni, infatti, sono in grado di aumentare la presenza di ACE2 (Angiotensin Converting Enzyme 2, Enzima di Conversione dell’Angiotensina), recettore mediante cui SARS-CoV-2 penetra nelle nostre cellule, facendo sì che questo enzima, anche dopo l’infezione, riesca a svolgere la sua funzione di protezione, in particolare nei confronti dei polmoni. “Da un punto di vista epidemiologico, la prognosi più favorevole delle donne infettate da SARS-CoV-2 sembrerebbe

In un tutorial recentemente pubblicato sui social e sul sito de Le Donne del Vino (https://www.ledonnedelvino.com/vino-e-salute-video-tutorial-delle-donne-del-vino/) ho messo  in evidenza quanto ancora il  pubblico è rimasto legato solo  alla convinzione che il vino fa bene: ma per chi e per quali  malattie è protettivo? Quali  sono le dosi raccomandate in  base a cui la dimostrazione  scientifica è inoppugnabile?  Il bere responsabile giova  maggiormente in rapporto agli  astemi e ai grandi bevitori?  Come e quando il bicchiere  diventa un alleato prezioso per  la nostra salute e quando invece  non lo è?  Diciamo che da molti anni la  ricerca si è impossessata del  vino sdoganandolo dall’essere  la causa numero uno di tutti  gli incidenti automobilistici, e  peggio omicidi, percosse. Certo  fanno bene l’Organizzazione  Mondiale della Sanità (OMS)  e le numerose Organizzazioni  Internazionali a ribadire e  confermare la linea del “less is  better”, visto che non esistono  soglie – anche molto basse –  che sono esenti dal rischio per  la salute individuale e collettiva.  Ma questa posizione può e deve  essere declinata anche secondo  i costumi, le usanze dei vari  Paesi come l’Italia, dove il vino  è parte integrante della nostra  convivialità, dell’alimentazione,  insomma del nostro stile di vita.  Principali indicazioni  ed evidenze Riassumerò i punti

L’aumento di utilizzo di  psicofarmaci  in questo periodo è stato rilevato da molti psicologi e psichiatri cui hanno fatto ricorso le molte persone con numerosi problemi a partire dal forte stress e dall’ansia. Definire gli psicofarmaci è importante per spiegare l’interazione tra alcol e  questo tipo di medicinale :sono un gruppo eterogeneo , in grado di curare o di alleviare disturbi psichici di diversa natura attraverso una complessa azione su specifiche sostanze chimiche presenti nel nostro cervello Da un punto di vista dietetico non esistono particolari cibi da seguire durante una terapia con psicofarmaci, se non quella di evitare l’assunzione di alcolici.” Le benzodiazepine (farmaci che curano i disturbi d’ansia)- dice il Prof Alberto Siracusano  Direttore della Scuola di Specializzazione in Psichiatria dell’ Università di Roma Tor Vergata– possono provocare nella persona profonda sonnolenza e momenti di ipotensione( pressione molto bassa) anche gravi. E’ chiaro che la gravità di queste situazioni dipende dalla dose del farmaco assunta.  Per alcuni farmaci antidepressivi- continua il professore-  è necessario evitare quei cibi e bevande che contengono una sostanza chiamata tiramina perché dannosa in associazione con l’alcool” Ansia e depressione sono stati che predispongono alla assunzione di alcol dal momento che l’etanolo allevia i momenti di sofferenza