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Rubrica di Emanuela Medi
 

Chateau Haut Brion e La Mission Haut Brion: due capolavori a confronto

Non campioni di potenza e solidità come Lafite e Mouton, e tantomeno di avvolgenza e rotondità come i gioielli della Riva Destra, ma vini setosi, disinvolti ed estremamente sfaccettati anche se le vigne sono adiacenti. Il team enologico è più o meno lo stesso e le prassi in cantina sono quasi identiche  eppure, la differenza c’è, e, stando alle parole di Barbara Wiesler-Appert, responsabile accoglienza di La Mission, risiederebbe esclusivamente nel terroir.  La Mission insiste su di un’area leggermente più calda e precoce nella vendemmia, e quindi offre un gusto rotondo, avvolgente, vellutato. Haut Brion, invece, é più austero, più virile e leggermente più performante nel lunghissimo termine. 

Chateau Haut Brion vinosano degustazioniA dividerli in passato, era anche l’abisso della classificazione del 1855, che aveva insignito Haut Brion del titolo di “Premier Cru Classè” e lasciato alla porta La Mission. Oggi, però, quel gap è venuto meno: i prezzi “en primeur” ( prima della vendita) sono pressappoco uguali, e la critica internazionale è d’accordo sul fatto che se la classifica venisse rifatta, La Mission Haut Brion diverrebbe il sesto Premier Cru della Riva Sinistra di Bordeaux.

Due cenni storici e geografici prima di venire alla degustazione: innanzitutto, ci troviamo nel comune di Pessac, sobborgo che oramai collima con la periferia di Bordeaux. All’orizzonte nord di entrambi gli Chateau, si scorgono le prime case e la struttura imponente dell’Università dell’Aquitania. Dall’altra parte invece, le vigne digradano dolcemente verso il villaggio di Pessac.

Di Haut Brion sappiamo che esisteva già nel 1521, e che per secoli é stato posseduto dalla famiglia De Pontac, la quale ha il merito di aver esportato per la prima volta un vino con nome proprio – per l’appunto “O’ Bryan”, traslitterazione del nome in inglese – in tempi in cui la produzione bordolese veniva venduta sfusa con l’appellativo generico “Bordeaux Claret”. Grazie a questa mossa astuta, aut Brion è diventato il primo “vino-status symbol”, e gli aristocratici inglesi del tardo seicento hanno cominciato ad offrirne ai banchetti per ostentare la propria prosperità economica. 

La Mission, invece, che pure prende il nome dallo stesso lieu-dit,( luogo) era in origine una tenuta ecclesiastica, ed è passato in mano private solo in seguito alla Rivoluzione Francese. Purtroppo, i suoi sviluppi sono stati meno lineari di quelli del suo vicino: non tutti i proprietari si sono rivelati capaci di sfruttarne il potenziale, e in alcune epoche ha rischiato di cadere nell’oblio. Il ricongiungimento è avvenuto nel 1983 con l’acquisto di La Mission da parte dei Clarence-Dillon, banchieri americani trapiantati in Francia che avevano già comprato Haut Brion nel 1935, e che, nell’arco di vent’anni, sono riusciti ad allineare le due tenute in modo da renderle un’entità sola con due anime distinte.

Chateau Haut Brion vinosano degustazione

Assaggiarli insieme permette di comprenderne la complementarità. Difatti, se la Mission 2011 esprime una certa “femminilità” attraverso il suo bouquet arioso di ibisco, visciola, legni balsamici e tabacco aromatico. Morbidezza, succosità di frutto rosso, tannini carezzevoli e ritorni aromatici e soavi

Haut Brion, nello stesso millesimo, ha profumi più scuri e mascolini di grafite, pepe nero, felce, succo di mirtillo e cioccolato fondente. Sfoggia tannini prorompenti e giovanili, un frutto più scuro e acidulo e una spina dorsale minerale che ne accompagna l’interminabile allungo.

Ovviamente si tratta di vini ancora giovanissimi, che non raggiungeranno la maturità prima di 15-20 anni, ma se ne apprezzano già da ora l’equilibrio, la compostezza, l’essere scevri di “make up” e strani sotterfugi. Entrambi ancor prima  che dal pedigree, ammaliano, seducono e inducono a riempire un secondo bicchiere – prerogativa che richiama il famoso episodio del Cardinal Richelieu, il quale fu talmente folgorato da Haut Brion che ne bevve fino a riempirsi d’ebrezza, e a chi lo ammonì per la condotta poco consona al ruolo, domandò: ” Se dio non voleva che se ne bevesse tanto, perché lo ha fatto così buono?”.

Raffaele Mosca, Master Sommelier 

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Emanuela Medi giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche GR3 e GR1. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti- ha curato la rubrica ”La Medicina”. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori, affidatole dalla Commissione della Comunità Europea. Per il suo impegno nella divulgazione scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio ASMI, Premio Ippocrate UNAMSI, premio prevenzione degli handicap della Presidenza della Repubblica. Nel 2014 ha scritto ”Vivere frizzante” edito Diabasis. Un saggio sul rapporto vino e salute. Nello steso anno ha creato il sito ”VINOSANO” con particolare attenzione agli aspetti scientifici e salutistici del vino. Nel 2016 ha conseguito il diploma di Sommelier presso la Fondazione Italiana Sommelier di Roma.. Attualmente segue il corso di Bibenda Executive Wine Master (BEM) della durata di due anni.