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Rubrica di Emanuela Medi
 

Che fine ha fatto lo street food?

Crisi nera anche per questo settore che privato degli  eventi in piazza, dei ritrovi musicali, dei momenti di aggregazione estivi, rischia di perdere centinaia di posti di lavoro. Un interessante report  del Gambero Rosso  indica che anche il Financial Times” prefigura la difficilissima estate di food truck e affini alle prese con le criticità di una somministrazione che complica, per la sua natura intrinseca, il rispetto delle norme di sicurezza e del distanziamento sociale.

“In Italia– riporta l’articolo – la situazione preoccupa non poco gli addetti ai lavori, che lamentano peraltro di essere stati lasciati indietro, dimenticati dalle istituzioni a fronte di perdite stimate in circa 200 milioni di euro negli ultimi due mesi e mezzo di paralisi.

Legato alla tradizione gastronomica italiana in tutte le sue varianti regionali, il cibo di strada dà oggi lavoro a 25mila operatori: delle 180mila attività di commercio al dettaglio in area pubblica censite da UnionCamere, infatti, il 18,5% è specializzato nella somministrazione di cibo e bevande. Di queste, sono 3500 le attività su ruota registrate (i cosiddetti food truck e simili) e 20mila le realtà che possono disporre di un gazebo su strada, afferenti alla categoria degli ambulanti (ma con licenza di somministrazione itinerante, che, vedremo, complica le cose).

Tutti, dall’inizio del lockdown, sono andati incontro a perdite significative, che oscillano tra i 5mila e i 20mila euro per azienda, in base alla struttura dell’impresa. E la mortalità nel settore – pur elevata già l’anno passato, anche a causa del boom incontrollato cui lo street food è andato incontro negli ultimi anni – è cresciuta ulteriormente non solo per l’azzeramento degli incassi, ma anche per la difficoltà di far fronte alle spese inevase e alla gestione della merce rimasta invenduta al momento dello stop (ormai non più utilizzabile, e dunque fonte di aggravio dei danni economici).”

Fonte: Gambero Rosso

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