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Rubrica di Emanuela Medi
 

Chianti Classico Collection 2019: quattro scoperte e quattro conferme dall’anteprima del Gallo Nero

Anno dopo anno, Chianti Classico Collection si conferma una delle rassegne più amate dai professionisti del settore. Protagonisti di questa edizione i Chianti Classico d’Annata del millesimo 2016, Le Riserve e Gran Selezioni del 2015, gli olii del raccolto 2018 e gli ultimi imbottigliamenti di Vin Santo del Chianti Classico. Come di consuetudine, sono state tante le nuove scoperte, altrettante le conferme e pochissime le delusioni riscontrate tra gli oltre quattrocento vini presenti ai banchi d’assaggio. Fedeli al nostro stile, ci teniamo a raccontarvi i migliori assaggi, ma prima vogliamo parlare di questa splendida denominazione.

Da un passato leggendario ad un presente più che prospero

Stando alle leggenda del Gallo Nero, simbolo presente su ogni bottiglia, il Chianti Classico odierno sarebbe nato da uno dei tanti episodi della lunghissima faida tra Siena e Firenze. Si narra, infatti, che per porre fine alla diatriba sul possesso dei comuni posti immediatamente a nord di Siena e poco a sud di Firenze – per l’appunto i “Chianti” – le due repubbliche decisero di far partire un cavaliere da ciascuna città e di fissare il confine tra i due Stati nel punto nel quale i due si sarebbero incontrati. La partenza sarebbe avvenuta all’alba del giorno prestabilito. Per l’evenienza, le due città avrebbero dovuto scegliere un gallo che, con il suo canto mattutino, avrebbe dato il via alla marcia.  Firenze scelse un Gallo Nero, Siena uno bianco.

Accadde in seguito che i fiorentini, popolo noto per il proprio ingegno, ebbero la buona idea di lasciare il loro Gallo a stomaco vuoto per l’intera giornata antecedente l’evento. Così facendo, lo spinsero a cantare molto prima dell’alba, permettendo al loro cavaliere di partire in anticipo rispetto alla controparte senese. Pertanto, il Fiorentino riuscì a percorre oltre dodici chilometri prima di incontrare l’altro. Grazie a questa mossa, Firenze poté stabilire il suo dominio sul Chianti Classico, che oggi come allora ricade per buona parte nella sua Provincia. A Siena toccò, invece, la sola porzione a ridosso della città.

A più di settecento anni di distanza dalla sua mitologica fondazione, il Chianti Classico si presenta in grandissima forma, fondendo storia e modernità nel look patinato della sua manifestazione cardine. In sala si affrontano temi salienti come il vino bio e la “premiumizzazione”. Quanto al biologico, la situazione all’interno dell’areale è più che florida: oltre il 30% delle azienda possiede la certificazione, con punte del 50% in areali di spicco come quello di Panzano in Chianti, che, peraltro, è il luogo dove ha sede Fontodi, azienda del neo-eletto presidente Giovanni Manetti. Anche la “premiumizzazione”, ovvero la crescente attenzione nei riguardi delle etichette di alta fascia, è un trend che i produttori hanno a cuore, tant’è che in molti incentrano i loro sforzi produttivi e comunicativi sulle tipologie Riserva e Gran Selezione. Nata solo cinque anni fa, quest’ ultima categoria consente a chi produce vini da uve proprie, di protrarre l’affinamento per oltre 30 mesi, creando una sorta di “Riserva delle Riserve“.  Nessuno lo dichiara esplicitamente, ma è evidente che la Gran Selezione sia stata concepita con l’intento di fare concorrenza ai cugini di Montalcino.

Uno sguardo alle annate

Della 2015 i produttori chiantigiani ricordano  l’inizio precoce della stagione, la primavera mite seguita da un mese di Giugno nella media quanto a temperature e piovosità, quindi il caldo torrido di Luglio e Agosto e la salvifica frescura di un Settembre da manuale. La vendemmia è stata effettuata tra la terza decade di settembre e la prima metà di ottobre. Le uve erano sane e molto zuccherine. Chi ha saputo gestire alcol ed estratto è riuscito a trarne vini possenti ma ben calibrati.

Più bizzosa è stata la 2016, annata caratterizzata da temperature sotto la media lungo tutto il periodo estivo. Settembre è stato altalenante, con giorni di sole e caldo alternati ad altri freschi e uggiosi. La vendemmia è arrivata in ritardo e ha donato acini ricchi di acidità. In un decennio finora caldissimo – forse il più caldo di sempre – questo andamento tardivo ha portato alla produzione di vini “controcorrente”, il cui esuberante nerbo acido-tannico è spesso associato ad una sorprendente espressività aromatica. Chi si non si lascerà intimorire dalla loro giovanile irruenza potrà apprezzarne nel breve termine la personalità “gourmand“, e nel lungo l’eccellente potenziale di invecchiamento.

Infine, la 2017 è stata annata quantitativamente scarsa ed estremamente calda. Ne consegue che molti campioni assaggiati mostrano già segni di cedimento. Esistono, tuttavia, delle encomiabili eccezioni. Una di queste rientra a pieno titolo tra i nostri migliori assaggi.

 

Degustazioni – Le quattro migliori sorprese

Chianti Classico 2017 – Nardi Viticoltori. Per questa piccola azienda di Castellina in Chianti, la 2017 è solo la terza vendemmia prodotta in proprio. Ciò nonostante, il successo delle etichette aziendali è già palese: la 2016, che è stata scelta da Armando Castagno per i suoi seminari sul Chianti Classico, è già quasi esaurita. Pertanto, i giovani proprietari hanno deciso di portare anche l’assemblaggio preventivo della 2017. Mentre ce lo versano nel bicchiere, specificano di avere intenzione di rinvigorire il blend con un po’ di Sangiovese “strong”, ma, a dire il vero, non ci pare che ce ne sia molto bisogno. Il vino così com’è ci sembra già molto centrato. La parte fruttata è ricca e matura come il millesimo caldo impone, ma a fare da contraltare ci sono la grafite, la liquirizia e la classica sfumatura di erbe silvestri. In bocca la tessitura è generosa ma dinamica: la frutta è di nuovo in evidenza, i tannini sono dolci e l’acidità è pimpante. E’ solo un vino “base”, ma ha davvero un gran bel potenziale. 90/100

Chianti Classico 2016 – Il Poggiolino. Viene da Barberino Tavarnelle, comune nato di recente dalla fusione tra Barberino Val d’ Elsa e Tavarnelle Val di Pesa, l’azienda che più ci ha stupito tra quelle che non conoscevamo. Potremmo spendere parole di elogio per le riserve 2004 e 2001, ma, dal momento che si trattava di vini “fuori degustazione”, preferiamo evidenziare l’ottima performance del “base” 2016. Al naso, questo piccolo gioiello esprime aromi terrosi e terziari misti a note più leggiadre di viola mammola, ciliegia e ghisa. In bocca è morbido, forse già pronto. Gustosamente espansivo nel frutto e levigato nei tannini, sfuma tra echi di spezie dolci e ricordi fumé. 91/100

Castellinuzza – Cinuzzi – Chianti Classico Riserva 2014. Tra le poche e spesso deludentissime riserve prodotte nella complicatissima annata 2014, quella di questa storica azienda di Greve in Chianti ci pare una delle più riuscite. Mirtilli rossi, fiori appassiti e cuoio si fondono in un naso accattivante sebbene più evoluto della norma. In bocca è ben più elegante che potente: ha tenore acido discreto, tannini ben risolti e un buon frutto rosso che cavalca un finale di sorprendente lunghezza. 91/100

Casale dello Sparviero – Chianti Classico Gran Selezione Paronza 2015. Sottobosco, mallo di noce, mora di rovo e cola per un vino dall’olfatto sontuoso, figlio prediletto di una delle aziende più belle dell’intero areale. In bocca è agile ed austero come la vigna impone. Ha tannini serrati e freschezza da vendere. Chiude ematico e salino, mostrando una precisione fuori dal comune. 92/100

 

Le quattro migliori conferme

Chianti Gran Selezione Vigneto di Campolungo 2015 – Lamole di Lamole. Quello di Lamole, frazione di Greve in Chianti, è uno dei comprensori più alti dell’intero areale. Non a caso, i vini di Lamole di Lamole, azienda della famiglia Marzotto, spiccano per finezza, rigore e vigore acido. Aromi gentili di pesca gialla, lampone ed erbe di macchia definiscono il profilo olfattivo del vino di punto dell’azienda. Al gusto è coerentemente aggraziato, felpato nei tannini e carezzevole nei ricordi finali di alloro. 92/100

Flaccianello della Pieve 2015 – Fontodi. Si presenta in grandissimo spolvero l’intramontabile Flaccianello, icona enologica che quest’anno veste il ruolo di “vino del Presidente”. Grafite, liquirizia, piccoli frutti neri, menta, sambuco, terra umida e tabacco si rincorrono nel bouquet di questo capolavoro forgiato sui declivi della “Conca d’ Oro” di Panzano in Chianti. Al palato il quadro è perfettamente armonioso: il misurato apporto del legno intarsia il frutto scuro, i vivaci tannini, la penetrante acidità e la quintessenziale matrice minerale, quest’ultima protagonista di un finale assai profondo. 94/100

Anfiteatro 2015 – Vecchie Terre di Montefili. Anch’esso figlio della Conca di Panzano, l’Anfiteatro stupisce a sua volta per ricchezza e contestuale finezza. Gelatina di rose, visciola, caffè in grani, legni balsamici e mineralità ematica definiscono un naso più soave e suadente di quello del Flaccianello. In bocca la struttura c’è, i tannini pure, ma i ritorni aromatici sono così eleganti da far apparire il vino meno muscolare e più femminile. Riecheggiano toni balsamici e minerali nell’ affusolata chiusura. 95/100

Chianti Classico Gran Selezione Colonia 2015 – Felsina. Cipria, tabacco, cannella, tè nero, gelatina di lamponi e liquirizia per un vino di eleganza quasi transalpina.  Al sorso è perfettamente coerente: propone tutto il meglio che questo territorio ha da dare, a partire da tannini più che nobili, per arrivare ad un finale interminabile su ricordi di spezie fini, erbe di macchia mediterranea, legno arso ed arancia sanguinella. Vale ogni centesimo del suo prezzo importante. 96/100

A breve pubblicheremo anche il racconto della degustazione sul Vin Santo del Chianti Classico guidata dal “Doctorwine” Daniele Cernilli.

 

Raffaele Mosca, Master Sommelier

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