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Rubrica di Emanuela Medi

A Napoli, sempre più spesso file ordinate di turisti percorrono le strade del centro storico, visitano chiese e monumenti, stazionano a lungo, anche sotto il sole più ardente, con paziente flemma anglosassone aspettando il proprio turno. Essi, come tutti i turisti del mondo, scattano innumerevoli foto, comprano pubblicazioni illustrate su Napoli e i suoi “contorni”, ascoltano attenti le spiegazioni che le loro guide, nelle più diverse lingue, danno, cercano luoghi dove dormire, si informano attentamente sui locali dove mangiare. 

il-cibo-pitagorico-vinosanoE Napoli si adegua. Agli antichi richiami Pizza, spaghetti e mandolino, aggiunge sempre nuove specialità, o, come si preferisce dire oggi, nuove “offerte” per mangiare e per dormire: anche il “basso”, tradizionale abitazione a livello della strada, con una lunga storia letteraria alle spalle come luogo dove vivere è difficile, diventa “offerta” preziosa per il turista che vuole davvero conoscere la “napoletanità”. 

 E così cartelli sorgono per spiegare che quella trattoria si chiama proprio come la fidanzata di Pulcinella (da Ntretella), che quel basso è proprio quello di Filumena Marturano. Tutto diventa attrazione, ma senza narrazione. Nessun turista è invitato a pensare che mai Pulcinella nella sua vita si sarebbe potuto permettere di entrare in un luogo come quello, ordinare e pagare. Ignorano quelli che passano accanto al basso di Filumena che, come racconta il più famoso personaggio di Eduardo de Filippo per spiegare perché a sedici anni fu costretta a scegliere il più antico mestiere, lì la vita è così promiscua, lo spazio così affollato, l’aria così irrespirabile (“o’ fridd è megli do’ calore”, il freddo è meglio del caldo), che da quei bassi non si può far altro che fuggire

E aprono nuovi locali che anch’essi, mostrando una creatività che la facilità di informarsi su internet rende sempre più lanciata verso la storia -sia pur di una conoscenza storica sovente assai approssimativa- offrono un ventaglio sempre più ampio e differenziato.

Così, in un luogo dove fino a poco tempo fa poteva essere considerato insicuro anche solo passeggiare di sera, e oggi stazionano file di turisti a tutte le ore, vale a dire davanti al Museo Archeologico Nazionale, il primo locale che cade sotto gli occhi di tutti si intitola Vitto pitagorico.

Quale sarà mai dunque questo cibo che con filosofica nonchalance si offre a prezzi modici in quel di Napoli, ai turisti che, si presume, sottoponendosi a lunghe file per visitare quel Museo, abbiano curiosità e passione per il passato? Di certo un cibo, a stare almeno alle fonti più conosciute, vegetariano. Di Pitagora è nota l’adesione alla teoria della metempsicosi, vale a dire la trasmigrazione delle anime, dunque, in una teoria dove non c’è una differenza, per dir così, di sostanza tra anima umana e anima degli animali, non mangiar carne è la prima regola

Del resto, quanto sia divenuto di moda, da qualche anno, un argomento come questo, si può comprendere da tante cose, ed in particolare da un libro, questo sì, molto documentato, che s’intitola per l’appunto La cena di Pitagora (Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora. Storia del vegetarianismo dall’antica Grecia a Internet, Roma, Carocci, 2008). 

Che poi per essere veramente “pitagorico”, probabilmente, un cibo non dovrebbe ammettere non solo le carni, ma, ad esempio, anche i legumi o il vino,  appare certamente un dettaglio difficile da mettere in pratica, non solo per i gestori del locale, ma anche per i clienti, probabilmente poco propensi a tali diete alimentari. Del resto già gli antichi romani, come sappiamo, solevano bonariamente scherzare col “cibo pitagorico”, non prendendo sul serio le austerità dalla tradizione a lui attribuite. E se Giovenale, per esemplificare gente che sa mangiare con poco non esitava a citare i pitagorici . “Vivi con la tua zappa al fianco e cura con amore l’orto: potrebbe fornirti la cena per cento pitagorici” (Satire, III, 356), Orazio, con più pesante sarcasmo, prendendo in giro, secondo i più, la reincarnazione possibile perfino nei vegetali, allude alle “ fave, parenti di Pitagora” (Satire, l. II, 6).

Più indicativo di un recupero in senso moderno delle antiche opzioni vegetariane della tradizione “pitagorica napoletana” il libro uscito a Napoli di Vincenzo Corrado Del cibo pitagorico ovvero erbaceo per uso de’ nobili, e de’ letterati  (Napoli, Raimondi 1781). Vincenzo Corrado, autore del celebre Cuoco galante (1773), può a ragione essere considerato il primo a identificare, in un certo senso, una Cucina mediterranea.

Antonio Di Fiore

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Emanuela Medi giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche GR3 e GR1. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti- ha curato la rubrica ”La Medicina”. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori, affidatole dalla Commissione della Comunità Europea. Per il suo impegno nella divulgazione scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio ASMI, Premio Ippocrate UNAMSI, premio prevenzione degli handicap della Presidenza della Repubblica. Nel 2014 ha scritto ”Vivere frizzante” edito Diabasis. Un saggio sul rapporto vino e salute. Nello steso anno ha creato il sito ”VINOSANO” con particolare attenzione agli aspetti scientifici e salutistici del vino. Nel 2016 ha conseguito il diploma di Sommelier presso la Fondazione Italiana Sommelier di Roma.. Attualmente segue il corso di Bibenda Executive Wine Master (BEM) della durata di due anni.