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Rubrica di Emanuela Medi
 

Dietro il cibo di Tex il mito americano di un’Italia appena uscita dalle privazioni della guerra

“Bistecche alte tre dita, patatine fritte, torta di mele”. Dietro il cibo di Tex il mito americano di un’Italia appena uscita dalle privazioni della guerra.

L’altro giorno, mentre sedevo su un traghetto, vidi una ragazzina che, scandalizzata, gettava un fumetto di Tex a un uomo attempato, urlandogli: “Papà, hai visto? Ma che mi fai leggere? Questo qui mangia un quarto di bue!”

Molti critici, innumerevoli fan, famosi filosofi (Giulio Giorello) e giornalisti molto noti (Luca Raffaelli, Roberto Guarino) hanno scritto e discusso anche recentemente di un mito come Tex Willer. Per cui, per evitare di ripetere argomenti e tematiche già ampiamente trattate mi limiterò a ricordare che Tex, il più importante personaggio dei fumetti italiani, è nato dalla fantasia di Gianluigi Bonelli alla fine degli anni Quaranta in un contesto storico e culturale molto diverso da quello di oggi.

Tex è un personaggio creato nei ritagli di tempo dallo scrittore milanese che in realtà puntava su altri personaggi che poi, chissà perché, non incontrarono il favore del pubblico (e sono stati riproposti una trentina di anni fa in una collana che ne raccoglieva le gesta denominata “TuttoWest”).

Tex è in realtà più figlio del cinema western americano che della letteratura d’avventura anglosassone o europea.  Bonelli amava molto il western e, anche se era un professionista e conosceva bene e, in parte tradusse scrittori come Joseph Conrad e Jack London, le sue sceneggiature sono più vicine ai fotogrammi che ritraggono Gary Cooper che alle pagine di Giulio Verne o di Emilio Salgari. Più Howard Hawks che Martin Eden, insomma. E dunque risente molto anche della cultura italiana che rifletteva l’immagine che nell’Italia del dopoguerra si aveva dell’America della seconda metà dell’Ottocento.

Come ricorda Sergio Bonelli, il figlio del creatore di Tex, Gianluigi, all’inizio, quando scrisse Tex, si documentava sì accuratamente con mappe, enciclopedie, libri di storia etc, ma dava molto spazio a una fantasia e ad una immaginazione filtrata dall’idea che si aveva allora del tipico eroe del West. Cioè dell’uomo che, tra l’altro, frequentava un certo tipo di luoghi (Saloon, Forti militari, Riserve indiane, Uffici di Sceriffi) aveva a che fare con un certo tipo di etnie (pellerossa, o al massimo cinesi delle grandi città) e, naturalmente, si cibava di un certo tipo di cibo. Quale? Nonostante le occasioni che avrebbe avuto nel frequentare pescatori di lago, estimatori di prelibatezze europee e ristoranti di diverse nazionalità durante i suoi viaggi in grandi città come New Orleans, in realtà Tex è affezionato a un solo maincourse. alte tre dita, a una montagna Quale? Naturalmente alle “bistecche patatine fritte e una fetta di torta di mele”. Il tutto “annaffiato da una pinta di birra” e, a volte, da un bicchiere di whisky, solo eccezionalmente un bicchiere di vino (Sangre de toro).

Se però Tex si reca nel vicino Messico a volte è costretto a mangiare tortillas e a bere tequila. Se fa viaggi nelle praterie spesso beve caffè e mangia pemmican (vale a dire carne secca) e fagioli,e se uccide un bisonte lo fa solo per evitare che magari travolga qualcuno. Il Tex di Gianluigi Bonelli non disdegna la cacciagione e una delle sue grandi passioni è la caccia. Odia il pesce, che considera un cibo poco gustoso e poco virile.  Insomma anche il cibo di Tex, da buon eroe “italo-americano”, è legato a una visione che oggi non potremmo certo definire “politically correct”. Le grandi mangiate di Tex e Carson di un quarto di bue nacquero nell’immaginario di un’Italia del dopoguerra, nell’Italia precedente al boom, in un paese, insomma, che vedeva in questo modello americano un mito culturale, letterario, cinematografico e, forse, in parte, anche culinario. Comunque in un’Italia non abituata a quel tipo di dieta, ma che non poteva che legare quei personaggi a quel tipo di alimentazione. La stessa che oggi si consuma nei fast food americani.

Oggi, in altri termini, povero Tex, queste famose mangiate di carne non ti sarebbero più perdonate. Da chi? Certo non solo da ragazzi e ragazze ormai sensibili alle tante campagne animaliste, come quella con cui sono state aperte queste note, ma da ecologisti, da animalisti, vegani, vegetariani più o meno “millenaristi”, come pure da medici che, da parte loro, non potrebbero che condannare una simile dieta scomposta, nociva per trigliceridi, buco dell’ozono, scioglimento dei ghiacciai e per le povere vacche sacrificate. Chissà se a Gianluigi Bonelli, nel lontano 1948, quando scrisse le prime avventure di Tex, passò per la mente una simile condanna.

Ciro Di Fiore, dottore di ricerca in Letteratura italiana

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