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Rubrica di Emanuela Medi
 

“Dovrebbe cominciare a cambiare rotta”: il vino Italiano secondo Luigi Moio

Il cambiamento economico internazionale, l’aumento della sensibilità dei consumatori verso i problemi ambientali e di sicurezza alimentare, le nuove mode dei consumatori, il cambio climatico e la pandemia di coronavirus con un mondo completamente diverso da prima impongono al vino italiano un cambio di rotta” Non ha dubbi Luigi Moio, Vice Presidente OIV (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino), Ordinario di enologia presso il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli, intervenuto a un webinar  organizzato da Helmuth Kocher per presentare l’edizione 2020 di Merano Wine-Festival. 

Un lucido quanto appassionato quadro dell’attuale viticoltura italiana che “è destinata a perdere qualità e mercati se non mette a punto nuove strategie per un futuro di una nuova crescita ed affermazione a livello internazionale anche alla luce delle straordinarie ed esclusive potenzialità offerte dal comparto vitivinicolo del nostro bel paese”. 

 “Un primo aspetto da considerare,-dice Luigi Moio- è il cambiamento climatico, ma fortunatamente su questo punto abbiamo un vantaggio naturale. I nostri vitigni storici sono quasi tutti tardivi, ossia caratterizzati da un ciclo vegetativo lungo, per cui non soffrono molto per un eventuale aumento della temperatura media annuale, anzi alcuni di loro potrebbero addirittura avere dei vantaggi con un miglioramento notevole del potenziale enologico e di conseguenza con l’ottenimento di vini maggiormente espressivi dei luoghi di origine. In uno scenario mondiale in cui la diffusione sempre degli stessi pochi vitigni cosiddetti internazionali ha portato ad un livellamento identitario sotto il profilo sensoriale, i nostri vini ottenuti dai vitigni italici hanno un vantaggio competitivo enorme anche per il fatto che la scelta degli appassionati si orienta su vini diversi e con una maggiore connotazione territoriale.” 

“Un secondo punto- sottolinea Luigi Moio- è l’enorme crescita della sensibilità ambientale nella società. Problematiche come agricoltura verde, ossia un’agricoltura “pulita”  e “pura” nei confronti dell’ambiente pedoclimatico, della pianta, degli addetti ai lavori e di conseguenza dei consumatori non sono più rinviabili. Vanno affrontate al livello di sistema e con conoscenze tecniche e scientifiche molto approfondite. Ovviamente mai come ora è molto molto importante contemplare la sostenibilità ambientale di qualsiasi scelta lungo tutta la filiera vitivinicola, dall’uva alla bottiglia. Chiaramente lo stesso discorso vale in cantina dove tematiche come “ecowinery” ed una enologia che io definisco “leggera” ossia una sorta di “milde-enology” sono concetti non più procrastinabili e che vanno anch’essi affrontati con profonda umiltà e di conseguenza con l’aiuto della ricerca scientifica e della conoscenza. Secondo me non si possono più raccontare storielle e favolette, aggiunge il vice presidente dell’OIV, ma bisogna essere seri. Molto responsabili e preparati, spiegando per bene che cosa è la viticoltura di qualità e come si fa in modo corretto il vino, perché non dobbiamo mai dimenticare che il vino ha la grande fortuna di essere una bevanda naturale autentica ed ha la grande virtù di facilitare enormemente la manifestazione di naturali sentimenti di gioia   comunicando agli appassionati in modo esclusivo la bellezza dei paesaggi e dei luoghi di produzione. “

Un altro aspetto, nella corretta comunicazione del vino, è quello di utilizzare l’altra grande opportunità che ci offre questa straordinaria bevanda rispetto a tutte le altre bevande alcoliche, ossia di essere un formidabile strumento di educazione alla moderazione ed alla responsabilità. Su questo aspetto il professor Moio continua dicendo che, il vino ha davvero una sorprendete forza pedagogica in quanto sin dalla scelta della bottiglia, seguendo un vero e proprio cerimoniale, diventa l’elemento che fonde natura, storia e cultura, e tutto ciò determina la rimozione virtuale dell’alcol dalla bevanda. Per cui non bisogna mai smettere di divulgare questo aspetto che rende il vino unico non avendo nulla a che vedere con le altre bevande alcoliche: è un’altra cosa, ha un’altra cultura, ha un’altra storia! 

Infine, soprattutto in questa fase particolare che ci ha completamente sconvolti e confusi, è necessario dare ancora più forza all’enoturismo. Le cantine, sono dei potenziali porti attrattori, bisogna per questo continuare a metterle in rete in modo ordinato ed organizzato allo scopo di creare tutte le condizioni per poter fare una buona accoglienza. Con le vigne e con le cantine, si può determinare un effetto volano su tutto l’indotto. «Una volta attirate le persone – continua Moio – i benefici si estendono alla gastronomia, ma anche ai comparti museali e artistici o artigianali locali, e al mondo dei bed and breakfast».

Un turismo, dunque, anche formativo e che presuppone la presenza sul posto: «Portare gli appassionati sui luoghi di produzione è fondamentale perché il vino non lo si comunica se non si ci si guarda negli occhi, – ricorda – evitando, però, di creare false aspettative, perché un turista può anche partire desideroso di trovare cose belle e restare deluso se non sono riproposte pienamente. Le ricadute sui comparti, se tutto ciò viene fatto in modo altamente professionale, sono notevoli, non ultima, in termini di promozione, «laddove i clienti diventino ambasciatori dei luoghi visitati». 

Emanuela Medi giornalista, sommelier.

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