La notizia è di quella da non perdere LA NOTTE IN ROSA festa il 28 di Luglio con presentazione presso le Tavole Accademiche di Pollenzo della guida I migliori 100 vini rosa d’Italia. Ai territori di selezione Slow Wine ha dedicato un ampio reportage che riportiamo, indicando non solo le quattro zone che per storia e tradizione sono le più famose (zona del Bardolino ,la Vatenesi, l’Abruzzo,e il Salento), ma anche la qualità produttiva del Cirò Rosato in Puglia in particolare nella zona di Castel Del Monte, sulle pendici dell’Etna, in Trentino Alto Adige con il Kretzer..
Chiaretto di Bardolino
In epoca romana l’area attorno al lago di Garda apparteneva alla Gallia Cisalpina: in quel territorio lo sviluppo della viticoltura fu favorito dall’uso del torchio, che non prevedeva la macerazione delle bucce, per cui il vino che se ne otteneva era rosa e non rosso. La stessa modalità di vinificazione venne introdotta dai Romani anche nella Gallia Transalpina, l’attuale Provenza: pertanto si può affermare che l’origine storica del Chiaretto sia identica a quella dei vini rosé della Provenza. Il primo documento storico che riporta il termine Chiaretto con specifico riferimento al territorio veronese è l’edizione del 1806 dl Vocabolario degli Accademici della Crusca
Tuttavia la tradizione vuole che la “nascita” del Chiaretto sia da imputare al senatore, avvocato e scrittore veneziano Pompeo Molmenti – verso la fine del 1800 soggiornava spesso sul lago di Garda – sembra avesse appreso in Francia la tecnica della vinificazione “in bianco” delle uve rosse. Zeffiro Bocci nel 1970 scriveva che «nelle zone viticole veronesi adiacenti al Benaco, si è sempre prodotto un Chiaretto del Garda ben definito».
Nel 1937 viene creato il Consorzio di difesa per la tutela dei vini pregiati veronesi, indicando fra le tipologie tutelate il Bardolino, mentre per l’istituzione ufficiale della Doc si deve attendere il 28 maggio 1968; l’anno successivo nasce il Consorzio di tutela del vino Bardolino. Fino a oggi il Chiaretto riportava in etichetta la dicitura Bardolino Chiaretto Doc ma con l’approvazione del nuovo disciplinare di produzione, che entrerà in vigore dalla vendemmia 2019, si chiamerà Chiaretto di Bardolino e avrà diritto a una Denominazione tutta sua, distinta dalla Doc del Bardolino.
Oggi con i suoi circa 10 milioni di bottiglie prodotte ogni anno è il più importante vino rosa italiano.
Il ritrovamento del più antico aratro costruito dall’uomo – databile 5.000 anni prima di Cristo – testimonia che sulle colline moreniche attorno al lago di Garda si coltiva la vite da sempre: non si è a conoscenza né di chi l’abbia introdotta in questo territorio, né precisamente quando, ma alcune testimonianze storiche confermano che già nel primo secolo d.C. il vino prodotto nei dintorni del lago Benaco – questo il toponimo classico di matrice latina, poi abbandonato per adottare
il termine di origine germanica Garda, da warda, ovvero luogo di guardia o luogo di osservazione – era ben noto e si poteva facilmente trovare nei banchetti degli antichi Romani con il nome di Retico, come confermano gli scritti di Svetonio e di Plinio.
Nei secoli successivi, e fino in epoca moderna, la viticoltura rimase una pratica ampiamente diffusa, che non conobbe mai momenti di crisi o di abbandono, anche se non sempre era in grado di raggiungere livelli produttivi rilevanti: solamente nella seconda metà dell’Ottocento la comparsa virale di alcune malattie della vite, come l’oidio prima e la peronospora poi, provarono a minare questa tradizione secolare ma l’unico risultato che ottennero fu un maggiore impegno e l’adozione di nuove e più efficaci tecniche colturali da parte dei viticoltori. È soprattutto a partire dal secondo dopoguerra che la produzione vinicola gardesana imbocca in maniera significativa e duratura la strada della qualità diffusa; in particolare la svolta decisiva per l’enologia del Garda occidentale avvenne nel 1959, a seguito del primo convegno sui vini bresciani organizzato nell’ambito dell’Esposizione Industriale Bresciana. L’attuale termine Valtènesi identifica l’area più centrale e prevalentemente collinare della Riviera, dove tradizionalmente viene coltivata la varietà più tipica di queste campagne, il groppello, patrimonio esclusivo della sponda occidentale del lago.
Attualmente Il Consorzio Valtènesi associa circa un centinaio di viticoltori, due terzi dei quali sono imbottigliatori presenti sul mercato con proprio marchio mentre un terzo è rappresentato da semplici pro- duttori di uva. Complessivamente si prendono cura di una superficie vitata che raggiunge i 1.000 ettari: ogni anno alla produzione del Chiaretto vengono destinati circa 25.000 quintali di uva, che una volta vinificati corrispondono a circa 2 milioni di bottiglie: un numero in costante crescita negli ultimi anni.
E passiamo con Slow Wine al terzo importante territorio
Cerasuolo d’Abruzzo
Possiamo dire che la storia recente del Cerasuolo d’Abruzzo prenda avvio verso la fine dell’Ottocento, quando il montepulciano oltrepassa le gole di Popoli – scendendo dalle zone di alta collina e di montagna verso l’Adriatico – e comincia a essere coltivato in maniera più significativa nelle medie colline e nei territori pianeggianti più vicini al mare.
Un altro momento storico di grande importanza per questo vino è collocabile alla metà degli anni Sessanta, quando i viticoltori abruzzesi iniziarono a raccogliere la documentazione necessaria per presentare la richiesta di riconoscimento della Doc Montepulciano d’Abruzzo. Infatti nel libro Il vino in Abruzzo edito nel 1975, Guido Giuliani ricorda che «perplessità furono espresse circa la possibilità di presentare o meno un’unica documentazione per il riconoscimento della Denominazione di origine controllata del “Montepulciano d’Abruzzo” e del “Cerasuolo d’Abruzzo”, dato che i due pregiati vini provenivano soltanto e unicamente dall’uva del medesimo vitigno, variando soltanto le pratiche enologiche».
Contestualmente all’epoca nacque anche una curiosa disputa circa il nome da dare alla nascente denominazione, visto che il termine Cerasuolo d’Abruzzo non aveva un comprovato riferimento storico. Alcuni sostenevano che questo vino meno concentrato, con il colore delle ciliegie in primavera, era da sempre indicato con il termine dialettale Roscioletto, Altri invece affermavano che, se il riferimento doveva essere alle ciliegie di primavera, sarebbe stato più giusto chiamarlo, in italiano, Ciliegiuolo: affermazione che ebbe poco seguito perché si identificava con il più noto ciliegiolo coltivato in Toscana, Umbria e Liguria.Alla fine furono abbandonati i termini Roscioletto e Ciliegiuolo e prevalse il termine Cerasuolo, all’origine semantica del quale richiamano evidentemente le ceráse che crescono sulle colline abruzzesi, dalla tonalità di rosso non molto intensa.
Dal 1968 Dopo oltre quarant’anni in cui il Cerasuolo si è affermato come tipologia della Doc Montepulciano d’Abruzzo, i produttori hanno ritenuto opportuno dare a questo vino una propria specifica identità richiedendo il riconoscimento della Doc Cerasuolo d’Abruzzo, giunta con la vendemmia 2010.
È stata la prima Denominazione di origine esclusivamente riservata a un vino rosa.
Fonte: Slow Wine, Articoli Scritto da Fabio Giavedoni