a

I Tag di Vinosano
Rubrica di Emanuela Medi
 

Fish and chips. La lunga storia del pesce duro come un bastone

Andando a Londra per un breve viaggio o per una più lunga vacanza non possiamo fare a meno di dedicare almeno una sera alla cena più diffusa, più a buon mercato e di certo tra le più gustose, quella dove ci serviranno un bollente fish and chips, in un pub o, meglio, in uno dei tanti locali che si intitolano, appunto, Fish and chips. Come a Napoli la pizza, così a Londra c’è per tutte le tasche il fish and chips.

fish-and-chips-pub-a-londra

Fish & Chips a Londra

E allora, gustando il nostro fish accompagnato da tante patatine fritte, oggi servito almeno con una crema di piselli, ci renderemo conto di stare assaporando un piatto assai lontano dai nostri, perché da noi, naturalmente, come in tutti i posti di mare, il pesce è di casa, ma non siamo soliti servirlo con tutte queste patate e per di più fritte e croccanti.  Pesce poi, che generalmente è il cod, vale a dire il merluzzo che noi, per antiche abitudini marinare, eravamo soliti conservare “secco”, “stoccato”, dunque, uno “stoccafisso”, che come pare dire anche il nome, è proprio un pesce duro come un pezzo di legno, un bastone.

Al massimo, in quel di Procida o più genericamente nella zona Flegrea, lo “stocco”, come lo chiamiamo qui, se si cucina con le patate queste ultime non saranno mai fritte, ma “scaldate”, vale a dire lesse, o al massimo in umido. Perché a Londra invece il merluzzo è diventato un piatto nazionale con le patate fritte? E da quando? Qui portato da quale dei tanti gruppi etnici che popolano da anni, anzi da secoli, questa immensa città?

Per capire la storia di questo piatto occorre partire da molto lontano e, invece che dagli elementi che esso ha in comune con gli altri, proprio dalla sua particolarità, da quel dettaglio delle patate “fritte” che non troviamo in altre tradizioni. Dunque il fritto, come si sa, usato da vari popoli nell’Europa medievale e moderna, ha segnato a lungo una barriera tra chi usava friggere con i grassi animali (la sugna), e chi invece usava l’olio di oliva o anche il burro.

Barriera spesso religiosa e, come tale, di un’intransigenza intollerante. Come forse si ricorderà, in certi posti, come ad esempio in Spagna e Portogallo, bastava denunciare all’Inquisizione qualcuno che non usava la sugna, per metterne in pericolo la vita, sottintendendo che costui fingeva di essere diventato cristiano, ma che, come tutti gli ebrei, continuava ad aborrire il maiale e dunque non si trattava di un vero convertito, ma si trattava di un “marrano”, e come tale poteva essere accusato di eresia e sottoposto al giudizio inquisitoriale. Gli ebrei, infatti, che non avevano voluto convertirsi al cristianesimo, dal 1492 erano stati scacciati dalla Spagna e molti avevano trovato rifugio in vari paesi.

E l’Inghilterra, che ruolo aveva rivestito in queste vicende? Potevano gli ebrei espulsi dalla Spagna trovare lì una nuova patria e portare con sé le loro tradizioni? In verità l’Inghilterra medievale non era stata più tollerante della penisola iberica, anzi, già almeno dal XIII secolo aveva espulso gli ebrei. Tuttavia in età moderna, ed in particolare durante il periodo del governo repubblicano di Cromwell, nel 1655, gli ebrei portoghesi furono riammessi. E, dunque, è proprio da quest’epoca che essi cominciano ad affluire sempre più numerosi portando naturalmente con sé tutte le loro antiche abitudini.

fish-and-chips-vinosano

A Londra gli ebrei sefarditi costruiscono la sinagoga di Creechurch Lane, oggi non più esistente e occupano in un primo tempo l’East End; nel 1690 verranno anche gli ebrei tedeschi, gli ashkenaziti. Ancora oggi esiste una sinagoga fondata una cinquantina di anni dopo l’arrivo dei sefarditi, nel 1701, che è la più antica sinagoga ancora in funzione non solo di Londra ma di tutto il Regno Unito, e che si trova vicino alla stazione della metro di Aldgate.

Ed è proprio da questi ebrei provenienti dalla penisola iberica, che vengono aperti a Londra i primi Fish and chips. E il condimento in cui vengono fritti i merluzzi è l’olio di oliva. Molte sono quelle che potremmo dire “le prove” di questo connubio indissolubile nella città di Londra tra gli ebrei, in un primo tempo i portoghesi poi anche da altre provenienze, e il pesce fritto che veniva all’inizio servito per la cena fredda del sabato che, come si sa, deve essere preparata il giorno prima.

In sostanza la frittura, seguita poi, se il pesce non veniva consumato subito, dalla messa sotto aceto, era uno dei metodi di conservazione che permetteva, secondo l’autrice di uno dei primi libri di cucina inglese della seconda metà del Settecento (Hannah Glasse, The art of cookery made plain and easy 1781), di conservare il pesce addirittura per un anno.

La frittura in olio, infatti, è uno dei più antichi metodi di cottura usati dagli ebrei da tempo immemorabile, quando l’olio di oliva non era generalmente utilizzato a questo scopo da altre popolazioni, ed è legato anche al racconto di un evento miracoloso che sarebbe avvenuto nel 165 a. C., dopo la vittoria di Giuda Maccabeo su Antioco di Siria. Si racconta che gli ebrei vittoriosi, entrati nel tempio per riconsacrarlo, non trovarono che una sola ampolla di olio, sufficiente appena ad alimentare per un sol giorno il candelabro che lo illuminava. Invece, prodigiosamente l’olio bruciò per otto giorni, per questo  nella festa di Channukkah si accendono per otto giorni le luci delle case e si mangiano per tradizione dolci fritti in olio

fish-and-chips-insegne recanti "Fish & Chips" di Londra

Una delle tante insegne recanti “Fish & Chips” di Londra

Dunque, sebbene per sommi capi, abbiamo ricostruito la prima parte della storia di questo piatto inglese, rintracciando l’origine ebraica della tradizionale frittura di pesce in Inghilterra, resta ora da capire quando e come si passò dal pesce fritto freddo per la cena del sabato, al croccante e caldo fish and chips servito oggi, chi fu che per primo, in un negozio servì il pesce con le patate fritte calde, un italiano, come vogliono alcuni (vedremo che si parla di “olio fiorentino”), un irlandese (il pesce si frigge non con semplice farina, ma in una pastella con la birra), come sostengono altri, oppure fu sempre dagli ebrei dell’East End che fu aperto il primo negozio?

In realtà le prime due ipotesi (Italia o Irlanda) potrebbero essere una sola: una tradizione irlandese infatti parla di un negozio aperto a Dublino nell’attuale Pearse Street da un italiano con la moglie, di nome Palma, anzi di tutto un gruppo di immigrati provenienti da Frosinone. A Londra tuttavia non pare essere dubbio che nella stessa zona ebraica, nell’Ottocento si arrivò, a poco a poco al primo vero negozio stabile di Fish and chips.Anche su questo punto varie testimonianze possono aiutarci nella ricostruzione, a partire dal ricordo che il presidente americano Thomas Jefferson (m. 1826) conservava del “pesce fritto all’ebraica” da lui gustato a Londra, all’accenno di Charles Dickens, che, all’inizio del 26. capitolo di Oliver Twist (1838), descrivendo la triste povertà di Field Lane, parla di una friggitoria di pesce che vi si trovava. Nel 1846, poi, Judith Montefiore, nel manuale inglese di cucina ebraica (A Jewish Manual), non solo riporta la ricetta del fritto di pesce, ma precisa che si deve friggere con “olio fiorentino”.

Ma sarà solo quando nel 1860 un immigrato proveniente questa volta dall’Europa orientale Joseph Malin, sempre nell’ East End di Londra aprì il primo negozio dove assieme al pesce fritto caldo mise le patatine, che il Fish and Chips era davvero nato. Oggi possiamo leggere il suo nome in un’insegna.

Gea Palumbo, docente di Storia e Iconografia Università “Roma Tre”

Condividi sui social network
Scritto da

Emanuela Medi giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche GR3 e GR1. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti- ha curato la rubrica ”La Medicina”. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori, affidatole dalla Commissione della Comunità Europea. Per il suo impegno nella divulgazione scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio ASMI, Premio Ippocrate UNAMSI, premio prevenzione degli handicap della Presidenza della Repubblica. Nel 2014 ha scritto ”Vivere frizzante” edito Diabasis. Un saggio sul rapporto vino e salute. Nello steso anno ha creato il sito ”VINOSANO” con particolare attenzione agli aspetti scientifici e salutistici del vino. Nel 2016 ha conseguito il diploma di Sommelier presso la Fondazione Italiana Sommelier di Roma.. Attualmente segue il corso di Bibenda Executive Wine Master (BEM) della durata di due anni.