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Rubrica di Emanuela Medi
 

La famiglia Germano: quattro generazioni di uomini innamorati delle Langhe

Viticoltori dal 1856 la famiglia Germano non poteva essere collocata per destino ma anche per intelligenti acquisizioni, che a Serralunga d’Alba, nel cuore delle Langhe; la dove i vini danno il meglio di sè in struttura, eleganza, lunghezza, sentori e tannicità. Tutti diversi, dalla spiccata personalità ma soprattutto espressione delle differenti sfaccettature e composizione del suolo di cui ne sono espressione

10 ettari tutti vitati a Dolcetto, Nebbiolo e Barbera d’Alba con un saldo di Chardonnay e Pinot Nero. Tre vigne mozzafiato: Cerretta, Lazzaritto e Prapò collocate a circa 350 ml, esposte a Sud-Sud-Ovest su suolo calcareo (la più alta concentrazione delle Langhe), inondate dal sole per l’intero arco della giornata. Ordinate, pulite, mi vengono incontro i filari le cui uve sanissime sono state vendemmiate in anticipo per via dell’eccezionale caldo dell’estate 2017. Mi hanno incantato i colori e le forme di queste colline non per altro patrimonio UNESCO, mi ha deliziato il palato il cibo locale senza tartufo (troppo caro e ancora non maturo), mi ha avvolto la bocca lasciandola pulita – come dicono i sommelier – tutto quello che ho bevuto (ma quando la farò mai la dieta?). Insomma fino ad ora il viaggio studio più affascinante del II anno di Master della Fondazione Italiana Sommelier.

Ancora sobria? Dopo la eccellente degustazione cerco di carpire il segreto o i segreti che fanno di Sergio Germano un “uomo austero (come si definisce) i cui vini sono diversi dagli altri ma in grado di fare territorio con gli altri”.

Intanto complimenti: Lazzaritto Riserva 2011 guida la classifica della TOP TEN 2018 della Guida BIBENDA.

“Ricordo ancora un grandissimo 2010, questo lo trovo più immediato, da bersi subito. Lo abbiamo assaggiato durante la degustazione che ci ha offerto, osservo e dico la mia!”

“Serralunga, la parte più nobile del barolo, più austera e longeva. E’ un vino prodotto da una vigna molto antica, ma in ottime condiziono di salute. Lasciamo perdere i sentori di piccoli frutti rossi per immergerci in un oceano di profumi dal balsamico,. al ferroso, ematico , note scure cui si accompagna un tannino prorompente, potentissimo quasi a perdersi in un finale che lascia la bocca ma che dire pulita! Piena di sensazioni. Vino molto elegante, è la finezza estrema del Nebbiolo. Ecco l’ho descritto!”

Sergio Germano parliamo dei cru, una realtà ormai in perenne ricerca del meglio.

“E’ vero, ma è la conseguenza del lavoro che facciamo e dove lo facciamo e non può essere diversamente in un territorio così poliedrico con un vitigno tanto sensibile all’ambiente dove viene coltivato. E’ gioco forza provare a esprimere le differenze tra vigna e vigna in modo che sia il produttore che il consumatore siano in grado l’uno di produrre, l’altro di cogliere le differenze tra un Prapò, un Cerretta e un Lazzaritto. E’ affascinante ed è il succo del nostro lavoro. Io voglio che il territorio emerga con tutte le sue sfumature e diversità che esistono addirittura tra metro e metro di vigna: proprio per questo cerco di evitare ogni interferenza possibile. Voglio fermentazioni pulite, una coltivazione pulita in modo che l’uva sia sana ma sana in tutti i sensi. Io non ho mai lavato l’uva in vigna, l’ho sempre mangiata come è e quando cammino tra le vigne capisco dagli odori, dal gusto dell’uva quando è il momento di fare vendemmia. Ci deve essere sempre coerenza tra l’inizio e la fine”.

Il suo amore di Barolo?

“E’ il Cerretta perché sebbene il più austero è quello che meglio esprime il mio carattere. Mi piace la masticabilità del Nebbiolo, il suo spessore, nonostante la lunghezza e la profondità. Io mi sento fortunato a vivere in questa terra, dalla mia finestra vedo le vigne con cui condivido la stessa esposizione e ringrazio la natura, Dio per avermi dato la possibilità di fare un mestiere ereditato dal bisnonno, che tra le tante fortune, mi ha dato una grande responsabilità: mantenere integro questo territorio”.

Parliamone non solo perché patrimonio Unesco ma anche perché è un unicum da un punto di vista geologico e antropologico.

“E’ vero, la presenza di calcare alternato a strati di marne e sabbia, quest’ultima caratteristica della famosa collina Cannubi, conferisce, come ho già detto, quella differenza che dal suolo troviamo in bottiglia. Una differenza non solo tannica nei rossi, ma anche di profondità, lunghezza. Il fatto che si voglia limitare il numero di produzione delle bottiglie è una necessità. Non dimentichiamo che il carattere della azienda di Langa, la sua personalità è costituita da una piccola azienda diretta coltivatrice, quello che in Francia sono i vignaioli. Con questa struttura anche antropologica non viene persa la personalità del produttore e della sua bottiglia in quanto pur essendo il processo di vinificazione uguale per tutti, il mio vino è diverso dall’altro perché espressione – e lo ripeto – della differente composizione del suolo , della esposizione ,dell’ altitudine. Ma facciamo territorio”.

Rossi ma anche bianchi a Cigliè nell’Alta Langa

“Nel 1995 a Cigliè nell’Alta Langa abbiamo comprato con mia moglie Elena un vigneto ,convinti che i bianchi potessero avere una buona collocazione. Avevamo ragione: Chardonnay e Riesling Renano ci stanno regalando grandi soddisfazioni. Più recentemente nel 2002 con la nascita della DOC Alta Langa stiamo sperimentando il metodo classico con l’impianto di 1 ettaro a Pinot Nero, cui ovviamente aggiungiamo dello Chardonnay”.

Viticoltori dal 1856 e siamo alla quarta generazione,tutti in vigna?

“Mio padre ha fatto per me quello che io spero di aver fatto per i miei figli: vivere con me, condividere il lavoro non per forza ma per naturalità delle cose. In vigna ho imparato ad affrontare le paure, le sfide, il tempo cattivo, le annate difficili ma anche la bellezza delle uve sane: perché tutto questo ha sempre parte della quotidianità”.

Emanuela Medi, giornalista, sommelier

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