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Rubrica di Emanuela Medi
 

I mestieri del vino: il bottaio

Generalmente nel mese di Settembre a Procida fervono i preparativi per la vendemmia. E, anche se certo essi non sono specifici di questa isola, ma possiamo ritrovarli un po’ prima o un po’ dopo in tutti i paesi mediterranei dove si coltiva la vite e si fa il vino, a Procida sembrano legarsi, forse più che altrove, a tanti altri lavori, sia manuali, sia, in un certo modo intellettuali, che rendono quest’isola un po’ speciale.

A tal proposito mi tornano in mente cari ricordi che mi riportano a personaggi della mia spensierata infanzia. Tra tanti mi resta caro il ricordo del vuttero” ovvero il bottaio. Il primo “mestiere” che partecipa attivamente a questi lavori preparatori.

Questo artigiano si spostava con i suoi attrezzi custoditi in un borsone di iuta, di cortile in cortile per riparare le vecchie botti. Ai nostri occhi di fanciulli ciò appariva come un rito che, ripetendosi ogni anno nello stesso tempo, scandiva per noi il tempo immediatamente precedente quello dell’inizio della scuola.

Era dunque il periodo che con più accanimento ci spingeva a dedicarci ai giochi, quasi che, l’inizio della scuola e il tempo più freddo dell’inverno,ci avrebbero costretti a restare in casa sempre più a lungo.

L’ arrivo del vuttero” era annunziato da uno scandire di colpi che l’artigiano usava dare con il “marrezzo“, ovvero un’ascia, per rinserrare i cerchi ancora utilizzabili. Con provata esperienza egli ne saggiava la resistenza, schiacciando lievementei vecchi cerchi a suo parere incerti.

Il quartiere, al suo arrivo, si animava tutto, e mentre gli uomini si affaccendavano ad aiutare il bottaio a staccare i cerchi vecchi e poco resistenti dalle botti, noi bambini, sempre alla ricerca di giochi da poter realizzare solamente utilizzando ciò che il caso ci offriva, ci recavamo presso i cortili del vicinato dove lavorava il bottaio, per poter ricevere un cerchio.

Noi conoscevamo il bottaio, non solo perché veniva in questi rituali giorni prima della vendemmia nelle cantine dove si sarebbe poi fatto il vino, ma anche perché con i nostri professori talvolta ci recavamo nella sua bottega, come in quelle di altri artigiani, per renderci conto da vicino di come si facevano i vari lavori.

L’artigiano, forse ricordando la sua lontana infanzia, complice,ce ne offriva alcuni tra quelli più resistenti per poter giocare a questo che credo sia un gioco antichissimo.

Così iniziava il nostro gioco. Con il cerchio ottenuto ci sfidavamo in estenuanti gare di abilità fino a tarda sera, spingendo il cerchio tenendolo in equilibrio senza mai farlo cadere. In un’isola come Procida, tutta piena di salite e discese, l’abilità di saper tenere il cerchio in equilibrio doveva essere davvero grande.

Ognuno abbelliva il proprio cerchio con tappi corona di metallo, di quelli che le donne cominciavano ad usare per chiudere le bottiglie di pomodoro, al posto dei più antichi sugheri che dovevano essere tutti fermati con lo spago. I tappi, detti “corona” perché avevano davvero la forma di una corona, schiacciati ed inchiodati in coppia all’interno del cerchio lo rendevano gioiosamente chiassoso.

Oggi ci siamo arresi a costosi e di certo più stereotipi giocattoli elettronici. Diveniamo precocemente adulti ed inesorabilmente vecchi.

Vincenzo Barbiero

prof. Antonio Palumbo che conduce la sua classe a visitare la bottega di un Bottaio
Procida (o Monte di Procida) anno scolastico 1944 / 1945

 

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