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Rubrica di Emanuela Medi
 

Il convento francescano femminile di San Francesco delle Cappuccinelle

Prima del Concilio di Trento (1545-1563), sappiamo che “la vita delle monache appartenenti alle famiglie del ceto nobile si svolgeva in veri e propri appartamenti privati ed autonomi con servitù acclusa (le converse); non raramente si sfoggia la propria ricchezza (uso di oggetti preziosi e abiti lussuosi). I continui legami con le influenti famiglie di origine, i costanti contatti con l’esterno (attraverso le maestranze, gli amministratori, il clero), l’organizzazione delle feste (pranzi, musica, canto, commedie, sacre rappresentazioni, regali), la preparazione di dolci da offrire e da regalare o vendere.

La porta del Convento

Non per nulla, possiamo tranquillamente aggiungere, i dolci più celebri della cucina napoletana dalle Sfogliatelle ai Mustaccioli, dalle Paste reali ai Divino amore, sono nati tra le mura dei conventi femminili, anche le committenze artistiche decise da badesse intelligenti e colte, le opere di ampiamento architettonico manifestano una volontà di prendere parte alla vita sociale. Insomma non tutto era preghiera e devozione, ma neppure solo squallore e dolore.

Una vita attiva, oltre che contemplativa, vivace, forse talvolta persino felice. Il chiostro, simbolo della vita monastica antica, era uno spazio centrale di convergenza sul quale si affacciavano gli altri ambienti (refettorio, chiesa, capitolo, cucina, lavanderia) e da spazio chiuso (claustrum) si trasformava nei monasteri napoletani, prima della crisi del Cinquecento, in giardino, luogo funzionale all’incontro, alla preghiera, al lavoro.

Ma dopo il Concilio di Trento tutto era cambiato. I padri conciliari, preoccupati di contrastare gli abusi di alcune suore che ostentavano ricchezza personale, violavano il voto di castità o erano vittime di violenza sessuale, e per ridurre o eliminare lo scandalo che ne derivava, avevano ordinato di isolare il chiostro dal contesto urbano attraverso l’erezione di alte mura.

Nel 1566 una disposizione del papa Pio V aveva ordinato non solo l’innalzamento delle mura esterne, ma anche l’abolizione delle finestre, la costruzione delle cancellate, l’inserimento di catenacci e chiavi dall’esterno, di grate strette e impenetrabili, di ruote. Inoltre la legge del papa imponeva un drastico ridimensionamento delle spese, l’eliminazione delle serve personali e del sistema delle celle con il conseguente ripristino della vita comunitaria delle suore. Poi si prevedeva un sistema di turnazione delle cariche direttive e il divieto delle manifestazioni mondane all’interno delle mura dei monasteri, comprese la rappresentazione delle commedie. I confessori dovevano anche porsi come una presenza costante.

Probabilmente queste leggi volevano anche evitare gli abusi di monacazioni forzate e porre un freno a quelle che erano ritenute delle derive mondane della religiosità napoletana femminile in età moderna. Ma, di fatto, tutto ciò non portò affatto alla scomparsa degli abusi, e la trasformazione di molti conventi in prigioni per la maggioranza delle monache fu la fine di ogni speranza di cambiare uno stato di vita non scelto, ma imposto dalla famiglia, dalla tradizione, dalla società.

Del resto, anche alcuni alti esponenti del clero non erano affatto insensibili al grido di dolore che veniva dalle celle dei monasteri di donne che spesso non avevano alcuna vocazione religiosa. Lo stesso cardinale Gian Battista De Luca, nella seconda metà del Seicento, le definirà povere donne carcerate, e chiederà tolleranza per le loro trasgressioni.

La Chiesa del complesso

A fine Cinquecento, dunque, la clausura fu ripristinata e, per chi si opponeva, era previsto il carcere. Ma come reagirono le monache a quest’ondata repressiva? Esse reagirono strenuamente. Grazie alla loro resistenza si può dire che la riforma cinquecentesca parzialmente fallì. Alcune monache infatti contestarono aspramente le autorità, altre resistettero nelle mura, altre ancora fuggirono. La questione rimase sospesa e non si risolse mai completamente, ma conobbe polemiche, vertenze, contestazioni, tentativi di conciliazioni, litigi, contrasti e processi mai finiti.

In questa temperie il convento francescano femminile di San Francesco delle Cappuccinelle incominciò la sua vita come un Conservatorio di fanciulle allorquando, negli anni ottanta del Cinquecento il notaio Luca Giglio e la moglie Eleonora Scarpato, in virtù di una grazia ricevuta, iniziarono a vivere in castità e a raccogliere per le strade della città ragazze che volessero vivere secondo le regole francescane nella loro casa.

Le fanciulle dovevano seguire le regole francescane vivendo in preghiera, vestire con abiti ruvidi, senza camicie e dovevano camminare scalze. Dopo un po’ di tempo le ragazze ebbero il permesso di costruire all’interno del palazzo una piccola chiesa. Il Conservatorio si andava così trasformando in un monastero e, a un certo punto, le ragazze divennero così numerose che i due sposi furono costretti ad ampliarlo acquistando diverse proprietà confinanti. Quando il notaio Giglio morì, la moglie entrò nel monastero con il nome di suor Diana di San Francesco.

Nel 1671 papa Gregorio XV ufficializzò il Convento di clausura San Francesco delle Cappucinelle sotto la Regola di santa Chiara e vi entrarono anche ragazze genovesi o spagnole. Nel Settecento il monastero visse la sua epoca d’oro sia per il numero di religiose presenti che per i continui restauri, per la quantità delle donazioni e per il ricco patrimonio disseminato per tutta la città. Si decise quindi di costruire una nuova chiesa, che fu terminata nel 1760.

Questo progetto però scatenò una forte polemica con il vicino monastero di Santa Maria Maddalena in quanto prevedeva una immensa cupola che avrebbe oscurato il loro convento. Le due badesse, non riuscendo a trovare un accordo, si rivolsero al tribunale, che diede ragione alle francescane.

Ma il monastero delle Cappucinelle non approfittò della sentenza, e, accogliendo le accorate proteste delle suore vicine, accettò alla fine di snaturare il progetto originario e ridusse comunque l’altezza della cupola allo scopo di non esasperare la tensione con le consorelle. Il monastero delle Cappucinelle fu circondato da ampie e alte mura. Il retro del convento costituisce ancor oggi una muraglia altissima, invalicabile e continua lungo una tortuosa e stretta strada.

In quegli anni la struttura inglobò in modo alquanto disordinato tre diversi edifici. Questa disomogeneità fu in parte sanata dalla ristrutturazione successiva al terremoto del 1732 che aveva danneggiato l’edificio. Ristrutturazione attuata dall’architetto Nauclerio. Questi lavori durarono circa trent’anni e furono affidati a diversi architetti, per terminare nel 1767. Le suore soggiornarono all’interno del monastero fino al 1866. In quest’anno furono espulse per far posto a un Riformatorio “per monelli”, cioè l’Istituto Filangieri. La cupola della discordia fu abbattuta dal Genio civile.

Antonino Londiunum

Crediti Foto Slider: Utente Baku – Wikipedia

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