a

I Tag di Vinosano
Rubrica di Emanuela Medi
 

Il fallimento della Politica Agricola Comune

La Politica Agricola Comune (PAC) era nata 60 anni fa con un duplice obiettivo: garantire un’alimentazione adeguata ai cittadini europei e una giusta remunerazione agli agricoltori. Col tempo ha fallito entrambi gli obiettivi, sicuramente all’inizio ha garantito un’alimentazione adeguata, ma più di quantità che di qualità.

Attualmente l’80% dei contributi europei va al 20% delle imprese agroindustriali, mentre le piccole aziende fanno fatica a recuperare i costi di produzione. Le scelte operate in questi decenni dall’Unione Europea hanno privilegiato una agricoltura intensiva che fa un uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi, determinando un impoverimento del patrimonio di biodiversità, un peggioramento delle condizioni di salute dei consumatori, gravi e generalizzati danni ambientali, un aumento dello spreco di cibo.

La PAC, che pesa con i suoi 55 mld. di euro l’anno (circa 6 mld. all’Italia) per il 38% sul Bilancio comunitario, è costituita da due pilastri:

  • il sistema di pagamenti diretti agli agricoltori europei, ai quali è destinata la parte più consistente dei fondi PAC (per l’Italia circa 4 mld. l’anno, pari al 72%), erogati sulla base di vari criteri e in virtù dell’utilità della loro attività per l’ambiente, per il territorio e per l’approvvigionamento alimentare. Questo sistema è finanziato dal Fondo Europeo Agricolo di Garanzia (FEAGA), a cui si aggiungono i fondi relativi alle varie Organizzazioni Comuni di Mercato (OCM Ortofrutta, OCM Vino per circa 330 milioni l’anno; ect…);
  • la politica di sviluppo rurale, che ha come obiettivo lo sviluppo socio-economico delle aree extra-urbane, caratterizzate da svantaggi competitivi in termini territoriali, di servizi, conoscenze e opportunità, utilizzate per l’agricoltura, la silvicoltura, l’acquacoltura e la pesca, viene realizzata attraverso lo stanziamento del FEASR, ovvero del Fondo Europeo di Sviluppo Rurale (di circa 1,5 mld. l’anno in Italia, pari al 22% dei fondi PAC, a cui si aggiungono 1,5 mld. di cofinanziamento nazionale).

La Commissione europea ha sottolineato nella riforma della PAC post 2020, per rispondere alle numerose critiche che le vengono mosse, la necessità di procedere verso un’agricoltura più sostenibile, tenendo conto della dimensione economica, ambientale e sociale, per far fronte alle sfide derivanti dall’aumento della volatilità dei prezzi, dai cambiamenti climatici e dalla pressione sulle risorse naturali dell’attività agricola. Si vuole rafforzare il ruolo della PAC nel rispetto degli impegni assunti dall’UE a livello internazionale su clima e ambiente (COP21) e sviluppo sostenibile (Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile).

Vedremo quello che si riuscirà a fare anche con i Piani strategici della PAC che ciascuno Stato membro dovrà elaborare per tutto il proprio territorio nazionale, tenendo conto anche degli elementi definiti a livello regionale, indicando gli obiettivi che si intendono perseguire.

Il fallimento della PAC si manifesta in tutti i settori, non solo per i pastori sardi di questi giorni, vale per il grano, per il riso, per i pomodori, per l’olio, per i salumi e per i formaggi. Per ogni euro di spesa in prodotti agroalimentari freschi soltanto 22 centesimi finiscono nelle mani di chi ha zappato la terra e colto i suoi frutti. Il mondo delle campagne è strozzato dalle politiche del mercato globale e Petrini, patron di “Slowfood”, evoca un “Sessantotto dei contadini”, una rivoluzione dal basso che consenta agli agricoltori di sganciarsi dalle catene imposte dalla grande distribuzione.Il futuro è l’azienda multifunzionale, capace di coltivare prodotti differenti e l’altro punto è l’integrazione di fasi diverse della filiera. La prima chiave è la biodiversità, la valorizzazione delle differenze territoriali e tradizionali, l’uso delle deiezioni dei propri animali come fertilizzante per i campi; chi riesce a trasformare in casa il proprio prodotto ha maggiori margini di guadagno, oltre che maggiore soddisfazione e riconoscibilità, così come chi riesce a praticare un’agricoltura circolare e integrata.  Per ora la bilancia pende dalla parte di chi aggrega i prodotti e li fa arrivare negli ipermercati di tutte le città. E’ urgente rendere più equa e giusta la catena di commercializzazione degli alimenti anche con interventi che limitino lo strapotere contrattuale dei poteri forti dell’agroalimentare.

Nell’autunno 2019, con insediata la nuova Commissione Europea, quando è previsto il possibile accordo sul Quadro Finanziario Pluriennale dei Capi di Stato e di Governo, l’Italia cercherà di mantenere le risorse della PAC a disposizione nell’attuale programmazione, scongiurando i previsti tagli del Budget, evidenziando il valore aggiunto della PAC, procedendo verso un’agricoltura sostenibile per far fronte all’aumento della volatilità dei prezzi, ai cambiamenti climatici, alla pressione sulle risorse naturali dell’attività agricola.

E’ indubbio che l’Italia non beneficia appieno delle opportunità offerte dall’Unione, presentando molteplici elementi di criticità; sussiste una problema del sistema-paese nell’approccio ai fondi strutturali, da affrontare sia a livello europeo, con l’obiettivo della semplificazione della normativa europea e di una più efficace partecipazione alla definizione della programmazione finanziaria; sia sul fronte interno, con interventi tesi ad assicurare competenze specifiche, incrementare i servizi alle imprese piccole medie e, più in generale, a semplificare e armonizzare normative e procedure a livello centrale e locale. Ma se leggiamo la Legge di Bilancio 2019 non c’è nessun comma riferito agli obiettivi di politica economica e agricola, ma questo non è più una novità ormai da decenni, per un settore che ha un numero di occupati diretti superiore al milione.

Eppure il settore agricolo è una forte componente positiva nella bilancia dei pagamenti e, insieme all’agroindustria, una partecipazione rilevante al Pil, secondo Coldiretti circa il 15%. L’attuale Governo ha previsto lo stanziamento di ulteriori 90 milioni nel 2019 per la pubblicizzazione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, rivolgendosi però alle grandi imprese con più di 250 addetti, praticamente inesistenti al di sotto di Napoli e concentrate in due regioni, Lombardia ed Emilia Romagna, dove negli ultimi 50 anni è arrivata la quota più grande dei soldi della PAC.

Il Ministero dell’Agricoltura si vede attribuito nel bilancio di previsione uno stanziamento per il 2019 di oltre 800 milioni, di cui oltre 200 milioni per la “competitività della filiera agroalimentare”… Il Ministro delle Politiche Agricole Centinaio lancerà nelle prossime settimane dei tavoli di lavoro con le filiere principali per programmare il futuro, il suo obiettivo principale è l’internazionalizzazione. L’export del comparto agroalimentare nel 2017 è stato di 40,3 mld., ma, nonostante il gran numero, l’unicità e la qualità delle nostre DOP e IGP, siamo solo quinti in Europa, dietro i Paesi Bassi con 89 mld., la Germania con 71 mld., la Francia con 61 mld. e la Spagna con 48,5 mld, Occorre lavorare sulla programmazione produttiva e sulla differenziazione dei canali commerciali, sulla capacità di trasformare la qualità in reddito per gli agricoltori.

Il paradosso è che in 5 anni l’export agroalimentare, secondo Coldiretti, è passato da 33 a 40 mld., mentre il giro d’affari dei falsi prodotti Made in Italy (Italiansounding) da 60 a 100 mld.

Luigi Gorietti, esperto di Economia Agraria

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Tag degli articoli
Condividi sui social network