E’ un super-food, il lievito -microscopici funghi monocellulari,) senza i quali molte fermentazioni non potrebbero avvenire come nella pizza, nel pane e altri processi.Anche nella produzione del vino entra in gioco il fenomeno della fermentazione – ovvero la trasformazione di zuccheri in etanolo e anidride carbonica.
Senza quest’opera prodigiosa potremmo tranquillamente scordarci di Cabernet, Lambrusco, Barolo, o Nebbiolo: non avremmo altro che succo d’uva. Di lieviti ne esistono numerosissime varietà e per quanto riguarda il processo di vinificazione, la varietà di lievito utilizzata è il “Saccharomycescerevisiae”, grande favorito per la sua capacità di tollerare livelli alti di alcool e di anidride solforosa.
Ma nel momento in cui viene colta, l’uva porta con sé alcune varietà di levito autoctone, dei gruppi Kloeckera e Candida, che danno il “LA” alla fermentazione. Questi organismi microcellulari spesso muoiono nel momento in cui il quantitativo di alcool raggiunge il 4-5%, lasciando spazio al più tollerante Saccharomycescerevisiae. Nel caso di vini più corposi e liquorosi – tra cui il Porto – o di mosti dal grado zuccherino più pronunciato, si preferisce optare per la varietà Bayanus, in grado di resistere a livelli di alcol pari al 17-20°
Il Lievito da gusto?
È vero, il vitigno di partenza è forse la variabile più importante nel determinare il sapore di un buon bicchiere di vino, ma non bisogna dimenticare che anche il lievito gioca un ruolo estremamente importante. In questo senso è bene distinguere due categorie organolettiche: gli aromi primari, che derivano, appunto, dal tipo di uva utilizzato nel processo di vinificazione, e quelli secondari, determinati dal tipo di lieviti attivi durante la fase di fermentazione. Fino a pochi anni fa si credeva che vitigni uguali coltivati in località diverse producessero vini dai gusti differenti solo a causa di fattori ambientali, come clima, condizione del suolo e pratiche agricole. Nel 2015, un gruppo di ricercatori dell’Università di Auckland pubblica uno studio sulla rivista “Scientific Reports”, in cui si mostra come il vero fattore determinante di questa diversificazione organolettica sia di fatto il lievito, o più precisamente le tipologie di microrganismi che vivono in un determinato suoli.
Nei vini naturali minime sono le percentuali di zolfo e rame e per cui è prevista esclusivamente la fermentazione spontanea: molti ceppi di lieviti sono naturalmente nell’uva e sono per questo denominati lieviti indigeni o autoctoni.. In alcuni casi poiché vi sono livelli elevati di alcool che causano la morte di quest lieviti, si ricorre a un abbassamento della temperatura che aiuta a completare il processo della fermentazione sotto la supervisione di un enologo per evitare che il prodotto finale risulti troppo acido o sgradevole al palato. Nel caso della fermentazione guidata, invece, l’ enologo può scegliere le tipologie di lievito in grado di aumentare il naturale insieme di aromi del singolo vitigno
(fonte: welovellevito).