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Rubrica di Emanuela Medi

Il carnevale a Napoli fu una delle tradizioni festive più rappresentative dell’epoca vicereale e borbonica, momento transitorio di eccessi e sovvertimento.

La festa aveva inizio il giorno di Sant’Antonio, il 17 gennaio, in occasione del quale si dava fuoco a cataste di roba vecchia. Era la festa dei pranzi pantagruelici, del chiasso e della baldoria per le strade con il lancio delle palline di gesso. Nelle piazze popolari era usanza issare un Monte della Cuccagna come un Vesuvio stracarico di maccheroni, salsicce, pizze, formaggi, provoloni, salami, prosciutti, quarti di bue, lardo, oche gallinacci.

QUADRO di Antonio Joli “Albero della Cuccagna il Largo da Palazzo”

In questo dipinto del XVIII secolo, si ammira la scena della Cuccagna, un momento prima dell’azione. Sullo spiazzo antistante il Palazzo Reale si erge una colossale macchina teatrale a forma di collina, sui cui gradoni sono collocati dei manichini rivestiti con abiti nuovi che sembrano dirigersi verso un tempo gremito di cibi.Dalle fontane sporga vino e pecore, maiali, galline vive completano il quadro. Un colpo di cannone scatenerà la plebe affamata che si arrampicherà su per la collina pronta a tutto pur di assicurarsi una parte di bottino.

La carità del Re verrà premiata da una comicità doppiamente atroce, perché frutto della disperazione della miseria, della guittaggine dei lazzaroni compiaciuti di dare spettacolo. Sarebbe, tuttavia, non cogliere una buona dose di realismo politico dietro tanta abiezione.

Fabiana Mendia, storica dell’arte/ presidente ARTEINDIRETTA

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