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Rubrica di Emanuela Medi

Tabernee Osterie, presenti già nell’antica Roma e ritrovate nelle strade di Ostia, si sa, sono molto antiche, di origine piuttosto umile e per lo più gestite solitamente da uomini, anche se aiutati da donne; servono in genere piatti semplici e legati alla cucina del luogo.

Prevalentemente a gestione maschile sono anche i Ristoranti il cui nome, di origine francese, ben lascia invece immaginare l’origine assai più raffinata e internazionale dei piatti che in essi potremo ritrovare. E infatti i Restaurants portano nel nome la traccia della loro origine più raffinata e ci fanno comprendere il tempo e il luogo in cui essi sorsero, organizzati dai cuochi e talvolta dalle cuoche delle più grandi case di Francia, rimasti senza lavoro per la fuga o la morte di tanti nobili nella Francia rivoluzionaria.

E se il nome “generico” della tipologia del locale molte cose ci dice sulla storia di piatti e di luoghi, notizie anche più interessanti e microstorie femminili possono dirci anche i nomi specifici dei singoli locali: nomi propri e appellativi familiari. Abbiamo visto, qualche tempo fa, come un nome di donna (Maria la pescatrice), potesse evocare piatti che davvero sanno di mare proprio per l’opera assai singolare di una donna.

Numerosi sono, in genere, a Napoli come in altre città, ristoranti, pizzerie e trattorie che -in nome di un antico primato femminile nelle cucine “familiari”- sono intitolati a nomi propri di donne: “Da Nannina” “Da Carmela” “Da Nunziatina” “Zi’ Teresa” e simili, suggeriscono piatti semplici e prelibati di una cucina all’antica.

Molti sono anche i locali che si richiamano ad appellativi femminili di altro tipo che sembrano segnare, più che una competenza femminile limitata alla cucina, una vera e propria attività imprenditoriale di una donna e, dunque, la traccia di un’antica, interessante storia. Dal più celebre, “La Bersagliera” sul lungomare di via Partenope, intitolazione ben più antica della Bersagliera cinematografica interpretata da Gina Lollobrigida, alla Figlia del Marinaro di via Foria che lascia trapelare antichi piatti a base di pesce e frutti di mare le cui ricette sono passate di padre in figlia.

Menzione speciale merita “La Figlia del Presidente, dove, naturalmente, non si allude ad una gestione del locale da parte dell’illustre discendente di un Presidente, ma all’intraprendenza di una famiglia, uomini e donne, veramente “napoletana”. Intraprendenza, dapprima di un uomo: “Ernesto Cacialli”, che durante la visita di Clinton a Napoli, nel 1994, facendosi spazio tra la folla e eludendo la vigile attenzione della scorta armata che accompagnava il Presidente degli Stati Uniti, mettendo quasi a repentaglio la sua stessa vita, riuscì a porgere a Bill Clinton una pizza appena sfornata e poi, con l’immancabile corredo di foto che immortalavano l’illustre ospite, portò il presidente nella celebre pizzeria da Di Matteo, a Via Tribunali, dove Ernesto lavorava già dal 1968.Riuscito finalmente dopo anni, nel 2001 a mettersi in proprio, chiamò il posto Pizzeria del Presidente, dove sfornò pizze eccellenti fino alla morte che lo colse ancora giovane nel 2009. Ma tanta fama aveva baciato tutta la famiglia, dunque, ecco farsi avanti, dopo il figlio Gigino che aprì, a via Duomo il suo “Il Figlio del Presidente”, anche Maria la figlia di Ernesto, che, sulla scia della fortuna del padre e aggiungendovi maestria e capacità tutte femminili, aprì in Via del Grande Archivio, per gli studiosi che si recavano in Archivio come per tutto il popolo napoletano, il suo nuovo locale che non poteva chiamarsi altro che “La Figlia del Presidente”.

Anche il locale intitolato a’Ntretella, “l’innamorata” di Pulcinella ai Quartieri spagnoli, più che alludere all’endemica fame della maschera napoletana, ci fa immaginare Pulcinella nel momento felice in cui mangia, rigorosamente con le mani, un piatto di spaghetti. Cibo, quest’ultimo, come si sa, solo recentemente (non prima del XVIII secolo, Goethe parla di “maccheroni”) assurto a simbolo del cibo dei napoletani, che invece prima erano conosciuti come “mangiafoglia”, perché divoravano ogni giorno enormi quantità di verdure che arrivavano a Napoli soprattutto dalle campagne della zona vesuviana.

Anche un’altra famosa pizzeria di Napoli, ancora attiva e frequentatissima, porta nel nome e soprattutto nel tipo di cibo che prepara, la traccia della sua antichità tutta al femminile. La Pizzeria, che si chiama “De’ Figliole, non indica con questo termine “Le Figlie”, ma propriamente, diremmo oggi, “Le Ragazze”. E infatti già dalla fondazione, avvenuta del 1860, questo locale era gestito da donne, cosa evidentemente rara, tanto da dover essere richiamata nel nome che lo identificava, in un posto dove viveva già da più di tre secoli uno di quei numerosi gruppi di ebrei rifugiatisi a Napoli dopo la cacciata, alla fine del XV secolo, dalla Spagna: “Via della Giudecca Vecchia. E queste Figliole, servono solo la più antica pizza napoletana, quella fritta. Fritta con un ripieno che “completo”, contiene, nella sua formulazione classica, ricotta, provola, salame e cicoli. Naturalmente se non è Venerdì santo, perché in questo caso, proprio come se si temessero ancora divieti e obblighi che angosciarono nei secoli passati soprattutto gli ebrei costretti a farsi cristiani, l’astinenza obbliga a mangiare solo la pizza con la scarola, e, al massimo, con un po’ di provola

Gea Palumbo, docente di Storia e  Iconografia Università Roma Tre

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