a

I Tag di Vinosano
Rubrica di Emanuela Medi
 

Il Taurasi tra disordine e genialità: otto etichette per comprenderlo ed apprezzarlo

Chaos e kosmos, disordine e diversità, irrequietezza e genio. Bastano questi elementi a rendere accattivante l’immagine del Taurasi, vino sanguigno e virile – il nome deriva da “Taurus” – che spiazza e conquista con le sue sfumature imprevedibili.

Multiforme lo è non solo in virtù del territorio assai variegato – le sottozone della Docg compongono un puzzle quasi unico per varietà di suoli, altimetrie ed esposizioni – ma anche per via dell’individualismo ostentato dai suoi produttori, che, piuttosto che ruotare attorno a modelli fissi, preferiscono interpretarlo nei modi più disparati.

Se si fosse trattato di una denominazione “normale”, tutte le aziende avrebbero portato a Ciak Irpinia, anteprima annuale organizzata dal Consorzio, un campione della 2015, annata che può essere rilasciata a partire dall’anno corrente. Al contrario, buona parte degli estrosi (e spesso geniali) viticoltori taurasini ha presentato i millesimi che riteneva “pronti”.
Per qualcuno, si è trattato del 2014; altri, invece, hanno scelto la 2013. Poi ci sono i “folli” che si sono avventurati oltre, arrivando a rilasciare i loro Taurasi a un decennio di distanza dalla vendemmia, un po’ come si fa con i migliori Baroli di Serralunga.

Luigi Moio lo ha detto chiaro e tondo: a lui questa difformità non piace. Nel corso della conferenza inaugurale di Ciak Irpinia, il professore – come viene chiamato da quelle parti – ha affermato che i produttori dovrebbero convergere su standard comuni invece di fare ognuno come gli pare e piace. Come ogni ricercatore che si rispetti, ha rimarcato la necessità di cercare la “verità”, la quale, a suo dire, non può essere compromessa o mistificata da approcci enologici bizzarri.

In molti la pensano diversamente,ma nessuno può negare che se il Taurasi è ancora un passo indietro rispetto agli altri blasoni italiani è anche per via dell’estrema eterogeneità stilistica che contraddistingue la produzione. Non che non esistano divergenze anche nelle sopraccitate denominazioni: è chiaro, ad esempio, che i Baroli dei cosiddetti “modernisti” sono diversi da quelli dei “tradizionalisti”. Tuttavia, una matrice comune di fondo è presente in tutti i vini appartenenti a quei territori, mentre tra un Taurasi e l’altro i legami sono ben più fragili.
Questa prerogativa rende difficile comprendere il vino nella sua totalità e fa ricadere sui singoli produttori il compito di emanciparsi. Qualcuno ci riesce malgrado le avversità; qualcun altro, invece, rimane confinato nel suo cantuccio. A rimetterci, in ogni caso, è il territorio, la cui notorietà, malgrado il potenziale immenso, continua ad essere legata ad incostanti sprazzi di genialità…

Degustazione

Taurasi 2013 – Feudi di San Gregorio. Il Taurasi più diffuso su tutta la rete italiana offre aromi didattici di marasca, grafite e cacao, ai quali si aggiunge una lieve traccia vegetale che rimarca l’andamento un po’ complicato della 2013, vendemmia sciupata da qualche pioggia di troppo. In bocca scorre agile, privo d’orpelli e sostenuto da un tannino proporzionato. Non eccelle in complessità, ma il buon equilibrio e l’ottima beva lo rendono uno dei prodotti più validi reperibili in grande distribuzione. 88

Taurasi Macchia dei Goti 2015 – Antonio Caggiano. Il successo sui mercati internazionali di questo “Cru”concepito dal prof. Moio è stato un vero e proprio volano per il vino irpino. Ancora oggi, Il Macchia dei Goti si pone ai vertici della denominazione, esibendo un profilo soave, solare, delineato da note succose di visciola e melagrana e arricchito da guizzi di pepe, cardamomo ed erbe aromatiche. Tannini salivanti cadenzano  un sorso giovanilmente nervoso, ma già armonioso nella tessitura intarsiata di sensazioni suadenti di rosa, fragolina selvatica ed alloro. Non raggiungerà l’apice prima di un ventennio, ma coloro che non vogliono attendere oltrepossono già goderselo in abbinamento ai cibi più succulenti. 93

Taurasi Cevotiempo 2014 – Torricino.  Cevotiempo… o meglio: ce vo’ “cchiùtiempo” di quanto ne preveda il disciplinare. Solo così si riesce a placare l’impeto dell’Aglianico e a tirar fuori i profumi più intriganti. In questo caso, il bouquet appare quasi infernale nella miscela profonda di fumo, cenere, goudron, china, terra bagnata, solo in parte allietata da cenni fruttati e floreali. L’annata – che è stata tutt’altro che infernale – ha snellito il sorso senza compromettere l’equilibrio. I tannini sono austeri, ma mai fuori misura; l’acidità è sanguigna, ma non mordente. Un’idea di pot-pourri  illeggiadrisce la lunga eco affumicata.91

Taurasi Nero Né 2013 – Il Cancelliere. I ragazzi del Cancelliere fanno parte di quella cerchia di artigiani “vinnaturisti” dei quali l’istronico Luigi Tecce – che purtroppo non ha aderito alla manifestazione – è la guida spirituale. Non a caso, il loro Nero Né evoca reminiscenze “tecciane” attraverso un profilo oscillante tra toni scuri di pepe nero, sottobosco, cuoio e goudron ed altri più soavi di ciliegia sotto spirito e viole essiccate. L’attacco in bocca è grintoso, tenace, ma mai aggressivo. Il corpo è agile e la beva è rinfrancata da un guizzo non fastidioso di volatile che amplifica un finale irrequieto ma estremamente accattivante. Chaos e kosmos, giusto?! 92

Taurasi Opera Mia 2012 – Tenuta Cavalier Pepe. L’opera di Milena Pepe, vignaiola tenace ed encomiabilmente cortese, non ha bisogno di infusioni di china ed erbe per ricordare un Vermouth. Il suo profluvio di artemisia, cola, genziana, rabarbaro e liquirizia e salatoè stregante, e il sorso, contrariamente a quanto presagito, non svela nessuna traccia d’amaro. La progressione gustativa è lineare, fluida, perfettamente giocata tra morbidezze fruttate e tannini scalpitanti ma ben integrati. Sul finale ritorna la bella verve balsamica a donare eleganza all’insieme. Chapeau! 93

Taurasi NaturalisHistoria 2012 – Mastroberardino.  Antonio Mastroberardi ha omaggiato con l’etichetta “di nicchia” della sua storica azienda il naturalista latino Plino Il Vecchio, che già nel I secolo d.C. individuava e descriveva nel suo sommo capolavoro ben 112 vitigni autoctoni campani. Gli storici non sanno dire con certezza se tra questi vi fosse l’Aglianico o i suoi progenitori. Tuttavia, il nome appare assai appropriato, poiché la statura di questo vino non è affatto inferiore a quella dell’opera. Gentile nelle note di erbe officinali e kirsch, alle quali si sommano sensazioni più scure di tabacco, pepe nero e humus, il Naturalis Historia rappresenta quel connubio di innovazione e tradizione che quasi tutte le aziende ricercano, ma che solo pochi vini riescono a rendere efficacemente. La bocca è longilinea, suadente, potente e al contempo armonica. I tannini sono impeccabili, il retro-olfatto pregno di ricordi di terra, cenere e frutti rossi. Insomma: cosa chiedere di più ad un Taurasi? 91

Taurasi Pago dei Fusi 2011 – Terredora. Paola Mastroberardino, nipote scissionista di Antonio, ha concepito questa etichetta con l’intento specifico di dare un volto più morbido ed affabile all’ Aglianico. Questa iniziativa potrebbe far imbestialire i puristi, ma, per fortuna, ciò che si trova nel bicchiere è piuttosto distante dall’idea di vino “costruito” alla quale sembrerebbe alludere. Ovviamente,le tostature sono più marcate della media ed il frutto è prorompente, ma la spina acida riesce a calibrare la mole e a conferire un’idea complessiva di dinamismo. Non è esattamente un’espressione territoriale “nuda e cruda”, ma si distingue per soavità ed equilibrio d’insieme. 90

Taurasi 2008 – Perillo. Un’azienda, un’etichetta, un territorio: quello di Castelfranci, cuore dell’area più alta della denominazione. Undici anni di affinamento tra botti grandi e bottiglia bastano a malapena a domare il carattere selvaggio di questo nettare sospeso tra la macchia irpina ed un bazar orientale, che odora di fumo aromatico, pellame, spezie fini, cola, liquirizia e caffè. Tannini vividi e sontuosi cavalcano uno sviluppo incalzante e nerboruto, che s’eclissa in un tripudio di sensazioni speziate e minerali. Lo si assaggia una seconda volta ed appare più morbido, come se avesse deciso di familiarizzare con il degustatore. Se ne evince chiaramente la personalità cangiante, irrequieta, che può piacere o meno, ma della quale non si può non rimarcare la travolgente carica emotiva… 94

Raffaele Mosca, master sommelier

Tag degli articoli
Condividi sui social network