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Rubrica di Emanuela Medi
 

Il vino della passione tra Serenata, Charivari e Sceneggiata (II parte). La serenata di Pulcinella

Ma il testo che ci consente di approfondire quale sia la passione amorosa che tante di queste “serenate” sui generis descrivono è proprio la canzone Passione, che  lo stesso Libero Bovio scrisse nel 1934, messa in musica da Ernesto Tagliaferri e Nicola Valente. Si tratta di una canzone struggente e nello stesso tempo possente, che al pari delle celebri poesie di Saffo (si parva componere magnis, se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi), descrive la forza di una inarrestabile passione che alberga tumultuosa nell’anima del protagonista, il quale perde completamente il proprio autocontrollo. 

Anche in questi versi c’è il veleno (Tu m’e mise dint’e vvene, ‘nu veleno ca è ddoce), ma è un dolce veleno, non il fiele che il vendicativo guappo della canzone Guapparia (https://www.vinosano.com/il-vino-della-passione-tra-serenata-charivari-e-sceneggiata-i-parte/) voleva instillare nella donna che lo aveva tradito. E anche qui abbiamo un riferimento al vino: l’innamorato, o piuttosto la vittima di una irresistibile passione, cammina quasi barcollando come un ubriaco, lui che, invece, “non beve mai vino”: 

E cammino e cammino, 

ma nun saccio a ddo’ vaco 

je so’ sempe ‘mbriaco, 

e nun bevo maje vino

Difficile trovare una canzone in cui l’esaltazione della passione amorosa sia meglio descritta. Del resto si sa bene che l’innamoramento, la passione, sono stati visti per secoli negativamente come vere e proprie malattie il cui sintomo principale era proprio l’offuscamento della razionalità. Offuscamento simile a quello dell’ubriachezza. Simile a quello del veleno; ma offuscamento dolce se provocato dalla passione. 

A titolo di curiosità ricordiamo che recentemente, anche Maurizio de Giovanni (In fondo al tuo cuore, Torino 2014) fa svolgere a questa canzone, che annoveratra i capolavori assoluti della canzone napoletana”, un importante ruolo nella conclusione del suo romanzo.

Cartesio nel suo Le passioni dell’anima, pubblicato nel 1649, pochi mesi prima di morire, cercava di spiegare il rapporto tra le passioni e il corpo. E lo stesso filosofo aveva scritto nel suo giovanile trattato Compendium musicae, che “il fine della musica è muovere in noi le passioni”.

Ecco il testo di Passione

«Cchiù luntana me staje, 

cchiù vicino te sento
chi sa a cchistu momento

 tu a ca piense, che faje?
Tu m’he mise dint’e vvene, 

‘nu veleno ca è ddoce
nun me pesa ‘sta croce, 

ca je trascino pe’ tte.
Te voglio, te penso, te chiammo
te veco, te sento, te sonno
è ‘n’anno, ce piense ca è ‘n’anno
ca ‘st’uocchie nun ponno cchiù pace truvà?
E cammino e cammino,

 ma nun saccio a ddo’ vaco
je so’ sempe ‘mbriaco, 

e nun bevo maje vino
Aggio fatto ‘nu voto 

‘a Madonna d’a neve
si me passa ‘sta freva,

 oro e perle Le do.»

Più lontana mi stai

Più vicina ti sento

Chi sa in questo momento tu che pensi e che fai

Tu mi hai messo nelle vene un veleno che è dolce

Non mi pesa questa croce che io trascino per te

Ti voglio, ti penso, ti chiamo

ti vedo, ti sento, ti sogno

è un anno, ci pensi che è un anno

che  questi occhi non possono più pace trovar?

Ritornando sul tema Serenata- charivari si può citare la famosa Serenata di Pulcinella, cantata di  recente da Peppe Barra, ma che risale ad un dramma giocoso del celebre Domenico Cimarosa, nato ad Aversa (Napoli), il 1749 da famiglia poverissima e morto a Venezia, dove si era recato per sfuggire ad alcune accuse di essere stato favorevole alla Repubblica napoletana del 1799.

 Il dramma di Cimarosa fu composto su libretto di Giuseppe Palomba (Chi d’altrui si veste spesso si spoglia, Commedia per musica di Giuseppe Palomba, Napoli, Teatro dei Fiorentini 1787). 

 La donna a cui è dedicata la Serenata di Pulcinella viene chiamata Ntretella, che vorrebbe dire propriamente “Collanina di noccioline da rosicchiare (si dice delle ragazze), diminutivo di Ntrita; Ntrita, a sua volta da Antrita, Collana di castagne, mandorle o noccioline secche sgusciate, raccolte con un filo; treccia” (cfr. G. Giacco, Schedario napoletano, 2003, p. 108).

Ecco i primi versi di una delle più conosciute versioni, quella della Nuova Compagnia di canto popolare:

Ué, ué, nenné s’affaccia,
e ca sta’ Pullecenella, Pullecenella, Pullecenella
te caccia la lenguella
e dice i’ sto ccà, i’ sto ccà, ué ca i’ sto ccà….
ma pecché nun t’affacce, che t’aggio fatto de male, ‘Nteretella mia?

Dunque la Serenata di Pulcinella comincia con un nomignolo affettuoso che egli trae da quelle antiche abitudini popolari tipiche delle feste di paese in cui si compravano questi dolciumi poveri che si vendevano appesi alle bancarelle e talvolta, in particolare presso i santuari, ad esempio Montevergine, si trovano ancora.

Un appellativo nato dall’affetto con cui Pulcinella si rivolge alla donna. Affetto, tuttavia, che lungo il corso della Serenata lascia sempre più chiaramente il posto ad un linguaggio aspro e nient’affatto confacente ad una tradizionale “Serenata d’amore”

Anzi i paragoni passano rapidamente ad un linguaggio assai meno poetico ed evocano verdure poco raffinate come i broccoli (vruoccole) e, poi subito, richiamati dalla rima, addirittura, per descrivere un cuore pieno di asperità angolose, uno “spruoccolio”, un pezzo di legno duro e appuntito: 

Ué, ué cu’ sta resella,
e cu ‘st’uocchie e cu’ ‘sti vruoccole, cu’ ‘sti vruoccole, cu’ ‘sti vruoccole
lu core comm’a spruoccole..

Man mano che la serenata avanza e la ragazza non si affaccia, Pulcinella, sempre più disperato  invoca gli elementi della natura contro la donna, e alla fine l’epiteto è il più duro che il linguaggio conosce: la Ntretella è diventata una Carogna, una carcassa di animale puzzolente quali se ne trovavano in certe zone di Napoli in abbondanza, dove vivevano i più poveri e diseredati, quei cuoiai che lavoravano nella zona del Mercato.
Ecco come la certo poco dolce serenata di Pulcinella si trasforma tra scherzi linguistici e giochi di parole che tentano di esprimere con ironia la condizione amara, antica e diffusa in moltissime “Serenate”, dell’amore non corrisposto: 

me staje a strazia’, a strazia’, ué a strazia’….
ma pecché nun t’affacce, nun vide ca ce sta Pullecennella ca fa ‘a sputazzella?

Gioia de ‘st’alma mia jesce ccà ffora,
ca mammeta nun c’è, jesce a ‘mmalora.
viento ventatela, munte muntatela, stelle stellatela,

 acqua addacquatela, fuoco ‘nfucatela!
Si craje tu truove ‘nfosa ‘sta chiazza
so’ llacreme d’ammore e no sputazza.
carugnona, carugnona, carugnona, carugnona, carugnona!

Giacomo Mezzabarba, Gea Palumbo

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Scritto da

Emanuela Medi giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche GR3 e GR1. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti- ha curato la rubrica ”La Medicina”. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori, affidatole dalla Commissione della Comunità Europea. Per il suo impegno nella divulgazione scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio ASMI, Premio Ippocrate UNAMSI, premio prevenzione degli handicap della Presidenza della Repubblica. Nel 2014 ha scritto ”Vivere frizzante” edito Diabasis. Un saggio sul rapporto vino e salute. Nello steso anno ha creato il sito ”VINOSANO” con particolare attenzione agli aspetti scientifici e salutistici del vino. Nel 2016 ha conseguito il diploma di Sommelier presso la Fondazione Italiana Sommelier di Roma.. Attualmente segue il corso di Bibenda Executive Wine Master (BEM) della durata di due anni.