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Rubrica di Emanuela Medi
 

Imperatore Adriano e la terza via del cibo, tra ascetismo e sregolatezza

Tra le prime riflessioni del Imperatore Romano Adriano (117-138 D.C) immaginato/ricostruito da Marguerite Yourcenar (scrittrice francese prima donna eletta alla Academie Francaise), trova spazio anche un argomento apparentemente triviale, quello del cibo, che va ad inserirsi organicamente nella lunga meditazione spirituale e filosofica dell’imperatore.

Due sono le polarità entro le quali l’imperatore fa scorrere il filo delle proprie riflessioni: “l’ostentazione di ascetismo”, praticata dalle scuole filosofiche la cui indicazione era l’astensione dalla carne , e quella “dell’eccesso sregolato” dei Romani, frequentatori di sfarzosi banchetti in cui la vorticosa successione di vivande non è che un pretesto per ostentare ricchezza e una artificiosa elaborazione che si vorrebbe – ma che non è – raffinatezza.

Adriano prende le distanze da entrambi gli atteggiamenti con augusta ironia: come non ridere del cuoco Apicio (un vero “chef stellato” dell’antichità), che “va fiero della successione di portate, di quella serie di vivande piccanti o dolci, grevi o delicate che compongono l’armonia disposizione dei banchetti” senza rendersi conto che tali cibi “serviti così giornalmente alla rinfusa in mezzo a una profusione banale […] formano nel palato e nello stomaco di chi mangia una confusione detestabile”. L’imperatore, come spesso avviene, preferisce piuttosto fare “alla greca” perché “quel vino che sa di resina, quel pane al sesamo, quei pesci girati sulla griglia in riva al mare, anneriti irregolarmente dal fuoco, insaporiti qua e là da qualche granello di sabbia […] si limitavano a placare l’appetito senza sovraccaricare di complicazioni il più elementare dei piaceri”. L’imperatore riconosce un carattere sacro nell’atto del mangiare in virtù della sua semplicità: un gesto quotidiano ma essenziale, che consente ad un rozzo pane di caserma di tramutarsi “in sangue, in calore, fors’anche in coraggio”, un sacrificio “nel quale preferiamo noi stessi alla materia inanimata”.

Non manca poi una riflessione sul vino tra le righe dedicate da Adriano al cibo. Anche qui avvertiamo una connotazione religiosa molto forte: “il vino ci inizia ai misteri vulcanici del suolo, ai suoi misteriosi tesori” e berne una coppa provoca “sensazioni quasi sacre persino troppo violente per la mente umana”. Ma ecco, inatteso, il ritorno alla realtà dopo l’astrazione: l’aristocratico strale diretto ai “conoscitori di vigneti” tacciati di irritante pedanteria.

Dalle “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar

Matilde Scuderi, giornalista

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