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Rubrica di Emanuela Medi
 

Irpinia in Anteprima: Il Fiano e la rinascita del vino campano

“Il profilo che tracciamo di questa regione è quantomeno preoccupante. Ci sono ancora molti problemi basilari; infatti alcune non riescono ancora a ottenere una regolare erogazione di alcuni fondamentali servizi. (…) Sembra assurdo possibile che possano succedere ancora episodi simili in un paese come l’Italia che è fra i più industrializzati del mondo. (…) La strada da percorrere è ancora molto lunga per ottenere il recupero di un’enologia di una regione nella quale, come in molte altre, si è per lungo pensato più alla quantità che alla qualità”

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Stefano Di Marzio, Presidente del Consorzio Tutela Vini d’Irpinia

Queste parole, che introducono la sezione Campania della guida vini d’Italia 1989, rappresentano, alla luce dello stato attuale del comparto regionale, la prova tangibile del miracolo che prima i viticoltori irpini, e poi quelli di tutte le altre zone della regione, hanno compiuto nell’arco di poco più di trent’anni. Sapevamo che avremmo dovuto citarle, perché aiutano a capire quanta strada sia stata fatta in così poco tempo. Ci è sembrato opportuno utilizzarle per introdurre il vino simbolo di questa rinascita: il Fiano di Avellino.

In quella guida di Fiano di Avellino ne erano presenti solo due: il Vignadora ‘87 di Mastroberardino, azienda definita come “una cattedrale nel deserto”, che era insignito tra l’altro dei tre bicchieri (allora più difficili da agguantare di oggi), e il Vadiaperti di pari annata, liquidato come “più che soddisfacente” e meritevole, secondo i critici, di un solo bicchiere. Oggi, sfogliando qualunque annuario vinicolo italiano, inclusa l’edizione 2020 del Gambero Rosso, si notano facilmente la disfida locale tra Fiano e Greco e quella nazionale tra gli autoctoni irpini e il Verdicchio, che quasi sempre si contendono il titolo di vitigni bianchi più premiati d’Italia.

Il mondo del vino italiano è cambiato radicalmente, rapidamente, e la Campania ha saputo stare al passo con la rivoluzione meglio di altre regioni. C’è da dire, d’altra parte, che l’evoluzione del gusto ha favorito i bianchi irpini: rinnegate le grassezze, le tendenze esterofile del periodo tra la fine degli anni 80’ e i primi anni duemila, quando ciò che non era barricato doveva essere per forza anemico e insulso, gli appassionati hanno riscoperto la piacevolezza dei bianchi non forzati, non snaturati, che fanno del connubio di struttura, freschezza e fluidità di beva il loro punto di forza.

Il Fiano porta la bandiera in questa categoria ed oggi è un best-seller in molti ristoranti italiani ed esteri (specie in quelli nelle aree costiere o che fanno del pesce il loro cavallo di battaglia). Chi abbia contribuito maggiormente a questo vero e proprio exploit è difficile dirlo; Vadiaperti e Mastroberardino sono stati sicuramente dei precursori, ma la lista sarebbe lunga. Certo è solo che, oggi come oggi, di Fiano di livello ce ne sono davvero tanti e che forse, nel Sud Italia, non esiste una denominazione stilisticamente e qualitativamente più omogenea e più soddisfacente di questa.

Un grappolo di Fiano

L’anno scorso avevamo espresso la nostra perplessità nei confronti dell’annata 2018, salvo poi rimarcare che, nel lungo tempo, avrebbe potuto regalare sorprese non da poco. Siamo contenti di poter dire di averla sottovalutata: i 2018 rilasciati a distanza di un anno e mezzo dalla vendemmia sono, nella maggioranza dei casi, assolutamente convincenti. Un anno in più in bottiglia è bastato a temprarne l’acidità un po’ bizzosa e ad accrescerne notevolmente la ricchezza aromatica. La sensazione è che risultati notevoli siano stati conseguiti soprattutto da chi ha effettuato una selezione rigorosa delle uve. Non a caso, quasi tutte le migliori 2018 sono etichette d’alta fascia a tiratura limitata, spesso da singolo vigneto.

Della 2019 abbiamo ricevuto relativamente pochi campioni, motivo per cui non ci sentiamo esprimere già da ora un giudizio complessivo. Sta di fatto, però, che quasi tutti i vini presentati si distinguono per avvenenza aromatica, immediatezza ed integrazione delle varie componenti. Oggi sono piacevolissima; toccherà vedere se riusciranno a superare la prova del tempo, ma siamo abbastanza fiduciosi.

I migliori assaggi

D’ Antiche Terre – Il Cavaliere 2019. La famiglia Ciccarella, che è stata tra le prime a riscoprire gli autoctoni irpini nei tardi anni 80’, produce una selezione “low profile”, proveniente da comuni non troppo rinomati, che offre un profilo piacevolissimo, giocato su toni di ginestra, pesca noce e affumicature in crescendo. Il sorso è morbido, glicerico, ma dotato di tenace nerbo acido-sapido che prolunga la chiosa morbida su toni di nocciola. Si fa bere già da adesso con una certa disinvoltura, ma ha ulteriori margini di miglioramento. 90+

Orneta – Torre degli Amanti 2019. Di solito dona vini gioviali, verticali, ma in annate temperate come la 2019 il Fiano può anche assumere connotati più esotici, più spavaldi. Per esempio, questo di Orneta offre profumi intensi di fiori gialli, muschio bianco, ananas e pietra focaia. Al palato è ricco, avvolgente, ma rinfrescato da un ritorno balsamico e da una spinta acido-sapida che bilancia i rimandi tropicali. Alla cieca lo si potrebbe scambiare per qualcosa di più estroso: magari un bianco del Rodano Nord. 90+

Mastroberardino – Radici 2019. Elegante e delicato, profumato di biancospino, pesca noce, lime, con rintocchi di pepe bianco e zafferano a dare spessore. Il sorso è vispo, energico, piuttosto magro, ma
fluido e raffinato. Un tratto affumicato prolunga il finale cristallino. Sono passati trentatré anni dai primi Tre Bicchieri al Vignadora 87’ e Mastroberardino continua a sfornare Fiano d’entusiasmante pulizia e precisione. 91

Donnachiara – Empatia 2018. Mela golden e albicocca, lemongrass e qualche sbuffo iodato. Sorso avvolgente, polposo di pesca e susina, ben calibrato nello sviluppo tra ritorni di agrume esotico, guizzi salini e leggeri rintocchi mielati. Lo vediamo benissimo servito a una temperatura non troppo bassa (magari 12 gradi) in abbinamento a una bella cacio e pepe. 91

Cavalier Pepe – Brancato 2017. Susina matura, caramella mou e un tono rinfrescante di erbe appenniniche a comporre un profilo che trascende l’annata torrida. Il sorso è sferzante e allo stesso tempo cremoso, l’acidità lo snellisce e ritorni morbidi di miele rimpolpano una progressione all’insegna dell’equilibrio. Ottima espressione “maturata” del Fiano di Lapio. 91

Bellaria – Gold 2018. Mandorla e nocciola in prima linea, poi spunti d’ idrocarburo, pietra focaia, una ventata di erbe aromatiche e qualche ricordo di limone candito. La bottiglia è la classica renana e, in effetti, il sorso sferzante, magro e rinfrescante richiama molto i Riesling del Reno. Toni piccanti di zenzero, rimandi affumicati e salati plasmano una progressione di tenacia quantomeno “appenninica” se non addirittura Mitteleuropea. 92

Torricino – Serrapiano 2018. Un tono di pietra focaia abbraccia sensazioni mature-non mature di mela limoncella, propoli, pesca gialla, paprika e olive in salamoia. La bocca é leggermente ossidativa e allo stesso tempo reattiva; ritorni di mela cotogna bilanciano rimandi salini e idrocarburici, “rieslinghiani” (si, c’è affinità gustativa tra i vitigni). Il finale verte su toni agrumati e mielati di somma piacevolezza. Pratola Serra non è tra i terroir più rinomato dell’areale, ma quest’anno ha dato vita a dei Fiano memorabili. 93

Guido Marsella – 2018. S’intuiscono aromi elegantissimi di pesca noce, limone confit, zenzero piccante e fiore di tiglio sotto la coltre di fumo e di iodio. Il sorso è piuma e ferro: l’acidità calibra il frutto ricco, croccante e la vena salina prolunga il finale su toni di nocciola e pietra focaia. Se mi chiedessero cos’è “Il Fiano”, farei il nome di questo vino. 93+

Raffaele Mosca,

Master Sommelier

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