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Rubrica di Emanuela Medi
 

Irpinia in Anteprima: Taurasi, il gigante anarchico

Lo avevamo detto l’anno scorso e lo ribadiamo quest’anno: il Taurasi è senz’ombra di dubbio il vino più folle, più anarchico del belpaese. Non esiste una ricetta per produrlo: non ci sono regole, né correnti di pensiero, nemmeno un’ annata di riferimento. Ogni bottiglia è una sorpresa, ogni azienda un cosmo a sé stante; ogni comune, ogni contrada, ogni pezzo di terra ha una storia diversa da raccontare.

Una sola cosa è certa: se è vero che i vini “affinati” sono quelli che patiranno meno questa crisi, allora i produttori di questo forastico Aglianico di montagna possono dormire sonni tranquilli. L’unica caratteristica che li accomuna è, infatti, una pazienza quasi arcaica. In questo mondo del vino frenetico, di cui solo la pandemia è riuscita a frenare la corsa, i viticoltori taurasini sono tra i pochi che non si affrettano a commercializzare le nuove annate non appena il disciplinare lo consente. A dire il vero, non sembra proprio importargli quanto tempo debba passare: quello che conta, nella loro ottica, è che il vino esca fuori dalla cantina già pronto per essere goduto appieno.

A Ciak Irpinia 2019, il prof. Luigi Moio – deus ex machina di alcuni dei campioni del territorio – aveva “bacchettato” i suoi colleghi, evidenziando che, senza un minimo di consistenza stilistica e qualitativa, la denominazione nel suo insieme non sarebbe andata da nessuna parte. Quest’anno abbiamo provato noi a riaccendere il dibattito, chiedendo al presidente del consorzio Stefano di Marzo di commentare queste “divergenze” e questa tendenza da parte dei produttori a trascendere il disciplinare e uscire ognuno con un’annata diversa.

“Sempre meno produttori escono con l’annata corrente, che ora sarebbe la 2016 – ha affermato Di Marzo – sempre più si diffonde la consuetudine di immettere in commercio Taurasi di annate precedenti, costume che premia l’eccezionale longevità che il vitigno e il territorio regalano al Taurasi”.  In buona sostanza, Di Marzo sostiene che questa tendenza sia il frutto dell’intento ben preciso di esaltare il potenziale evolutivo del Taurasi.

Il grappolo del Taurasi

A nostro avviso, si tratta di un argomento interessante, ma dobbiamo anche essere critici e sinceri. Se negassimo, ad esempio, che alle volte l’invecchiamento prolungato sembra un escamotage per tentare di ammorbidire tannini amarognoli e acidità fuori asse, saremmo intellettualmente disonesti. Naturalmente l’ “anarchia produttiva” e la tendenza ad allungare i tempi sono in buona parte legate al territorio, che è complesso, frastagliato, variegato in termini di suoli, altitudini, esposizioni ed età delle vigne (si va da 10 a più di 100 anni!), ma un ruolo altrettanto importante lo gioca il fattore umano, che alle volte esaspera le divergenze.

Bisogna ricordare, d’altra parte, che la scarsa compattezza è prerogativa di tutte le denominazioni giovani, e in effetti la DOCG Taurasi è una denominazione giovane che tutela un vino antico. Il Taurasi esisteva ed era già grande negli 60’, ma fino a trent’anni fa i produttori si contavano sulle dita di una mano. L’exploit ha avuto luogo tra la fine degli anni 90’ e i 2000. Si pensi che aziende oramai definite storiche non hanno ancora spento venticinque candeline. Alla luce di tutto questo, le divergenze, i contrasti che esistono in questa fase post-adolescenziale  sembrano assolutamente comprensibili. Un noto enologo toscano sostiene che occorrono trenta vendemmie per acquisire piena consapevolezza di ciò che si fa e si può fare. Ebbene, molte aziende taurasine sono ancora lontane da quel traguardo. Lasciamo, dunque, che affinino le tecniche e, nel frattempo, godiamoci i vini di chi sta acquistando più rapidamente contezza del proprio potenziale. 

I MIGLIORI ASSAGGI

Claudio Quarta – Taurasi Riserva 2013

Fondata quindici anni fa dall’omonimo imprenditore salentino, che si è lasciato alle spalle il settore farmaceutico per diventare produttore di vino a tempo pieno, Claudia Quarta ha tre sedi tra Puglia e Campania e vigneti sparsi in tutta l’Irpinia. Da quelli di Aglianico a Taurasi e Castelfranci, si produce una Riserva ricca, concentrata, che, se fosse un Barolo, sarebbe definita “modernista”. Il profilo è incentrato su note prorompenti, golose di amarene, mirtilli, cannella e cioccolato che arrotondano sia l’olfatto che lo sviluppo gustativo. La materia è tanta, l’alcol si sente, ma l’insieme è ben bilanciato dalla giusta acidità e da tannini che spingono senza graffiare. Una nota balsamica rinfresca il finale lungo e vellutato. Può non andare a genio agli amanti dell’Aglianico duro e puro, ma, enologicamente parlando, è assolutamente impeccabile. 90+

Nardone Nardone – Taurasi 2013

Nata nel 2006 per volontà di Domenico Nardone, detto “Mimmo”, che ha recuperato gli appezzamenti a Pietradefusi e Torre Le Nocelle, questa piccola realtà produce vini avvolgenti e immediati. Il Taurasi è ricavato da una Vigna a 270 metri sul mare; offre profumi di mirtilli maturi, fiori blu, terra bagnata, una traccia fumé e un ricordo goloso di nocciola tostata. Altrettanto prorompente è il gusto, che fa forza su ricchi toni fruttati bilanciati da rimandi salini e tannini ben integrati. Proviene da una sottozona precoce e, di questi magnifici otto, è il più facile da apprezzare nel breve termine. 91

Cantine Russo – Spalatrone 2011

La famiglia Russo possiede terreni a Taurasi dalla fine dell’ 800’, ma la fondazione dell’azienda attuale risale ai primi anni 2000. I 7 ha di proprietà in località Carazita di Taurasi sono tutti piantati ad Aglianico. Le rese in vigna sono basse (60 quintali/ettaro) e in cantina si cerca di limitare gli interventi al minimo indispensabile. Il Taurasi di casa è affinato in parte in botte grande e in parte in barrique. All’ottavo anno di vita, si presenta balzandoso, sparando fuori dal bicchiere toni fragorosi di boero, prugna, spezie dolci, sottobosco e menta. Al palato è coerentemente ricco, concentrato e allo stesso tempo gentile; il tannino masticabile smorza la mole importante di frutto e rinvigorisce il finale su rimandi sapidi e speziati. Riesce a convogliare il calore dell’annata in un profilo equilibrato e ammiccante. 91



Colli di Castelfranci – Alta Valle 2012

Dopo un periodo di formazione a Bordeaux che si è concluso con un apprendistato a Chateau Margaux, Sabino Colucci ha fatto ritorno in Irpinia e ha preso le redini dell’azienda fondata dal padre e dallo zio a Castelfranci, comune più alto dell’areale. Il suo è un Taurasi d’ Alta Valle (nomen est omen), proveniente da vigne a quasi 700 metri d’altezza, che profonde sensazioni affumicate, speziate, balsamiche di bacche e botanicals (assenzio e rabarbaro in primis) da amaro erboristico. Il sorso é fluido, snello, caldo al punto giusto e sopratutto nerboruto, salino, fragrante nella trama tannica e di nuovo balsamico nella chiosa energica, affilata, da vero vino di montagna. 92 

Perillo – Taurasi 2010

Bis per Castelfranci, di cui Michele Perillo, produttore che si è affermato come uno dei “campioni” del Taurasi, è l’interprete più rinomato. Il suo Taurasi è orientaleggiante, sontuoso, scapestrato e avvincente come l’anno scorso. Alterna effluvi affumicati a note dolci di maraschino, cioccolato fondente, menta, e dipana progressivamente un ventaglio di note speziate che tornano a siglare il sorso possente ma vivo, freschissimo e altrettanto salino. Chiude terragno, balsamico e soffusamente minerale. 93

Salvatore Molettieri – Vigna Cinque Querce Riserva 2012.

 30 anni quest’azienda li ha compiuti da poco, ma da almeno un decennio Salvatore, sedicente “gigante di Montemarano”, è annoverato tra i big della denominazione. Il Renonno è un’interpretazione notevole di un’annata difficile, il Cinque Querce 2013 un vino da giudicare in prospettiva. La Riserva 2012 si distingue, invece, per profondità, calore, complessità, e dimostra che il Taurasi non teme le annate calde. Ad arricchire le ventate di frutto scuro e dolce contribuiscono toni di eucalipto, cioccolato, spezie dolci, erbe amare e pot-pourri. Il sorso è ampio, masticabile: tannini impetuosi bilanciano una progressione oscillante tra ritorni fruttati scuri e ritorni speziati, minerali. É potente e suadente, caldo come l’annata impone, ma tutt’altro che faticoso. 93+

Antonio Caggiano – Macchia dei Goti 2015

Poco da dire sulla realtà fondata dal fotografo giramondo che, con il sostegno del prof. Moio, ha concepito una delle perle del rinascimento enologico campano. A poco più di trent’anni dall’inizio di quell’impresa, il Macchia dei Goti rimane un pilastro della denominazione: inconfondibile per cifra stilistica e ineguagliabile per costanza nel tempo. Quest’anno disserra profumi aggraziati, gaudenti di rosa rossa, lampone, melagrana, erbe aromatiche, polvere di cacao e un’idea in fieri di legni balsamici. Il sorso è sinuoso, carico di frutto rosso succoso e ricco di rimandi speziati e balsamici che prolungano la chiusura rarefatta e sfaccettata. Ci rendiamo conto solamente in un secondo momento che si tratta della stessa annata assaggiata a Ciak Irpinia 2019 e che da un anno all’altro è anche migliorato. 94+

Mastroberardino – Radici 2016

Una certezza, un pilastro, un riferimento non sono per l’Irpinia, ma per tutta l’Italia del vino. È stata tra le pochissime realtà che non hanno chiuso i battenti dopo il terremoto del 1980; ha continuato (seppure con alti e bassi) a produrre questo storico vino in tempi in cui rischiava di sparire. Oggi rivive gli antichi fasti grazie alla gestione illuminata di Piero Mastroberardino, personaggio eclettico ed erudito, poeta pubblicato e docente universitario, che dai vigneti di Mirabella Eclano e Montemarano produce versioni di Radici sempre più eleganti. La debuttante 2016 alterna toni dolci, golosi di more, mirtilli e cioccolato a sfumature più scure di ruggine, cuoio, scatola di sigaro, terra bagnata. Non meno complesso è il sorso materico, avvolgente, fruttato all’ingresso e via via più austero; la spinta minerale e i tannini impeccabili bilanciano il finale ampio, disteso, raffinato. Enfant prodige. 95

Raffaele Mosca,

Master Sommelier

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