Fare leva sulla bioeconomia per una ripartenza sostenibile, di cui le biotecnologie sono un insostituibile motore strategico; produrre cibo sempre più sano, affrontando il problema della diminuzione delle risorse e i cambiamenti climatici; incentivare una collaborazione tra chimica tradizionale e biochimica e tra pubblico e privato.
Di questo e di tanto altro si è parlato in occasione del terzo gruppo di lavoro, questa volta dedicato al tema della Bioeconomia organizzato da Assobiotec-Federchimica. Il biotech rappresenta oggi un settore importantissimo che, secondo le stime dell’OCSE, nel 2030 avrà un peso enorme nell’economia mondiale: saranno, infatti, biotech l’80% dei prodotti farmaceutici, il 50% dei prodotti agricoli, il 35% dei prodotti chimici e industriali. Nonostante l’Italia sia sul podio per il numero di progetti di qualità nel settore delle biotecnologie, è importante interconnettere settori e attori, coinvolgendo, ad esempio, per quanto riguarda la filiera agroalimentare, gli agricoltori in prima persona.
“Tra le numerose sfide della società nel nostro tempo c’è sicuramente l’urgenza di produrre cibo in modo sostenibile, sia per l’economia che per l’ambiente – afferma Deborah Piovan, Portavoce di Cibo per la mente – L’innovazione è un fattore importante per raggiungere questo obiettivo ed è quindi necessario liberare le biotecnologie da vincoli normativi ormai obsoleti..
Siamo giunti ad un momento in cui è necessario rivedere il quadro normativo perché la sperimentazione, per esempio sulle varietà vegetali ottenute mediante biotecnologie, possa arrivare ad essere consentita direttamente in campo aperto. Le sperimentazioni, basate sulla variazioni di genoma nelle piante, sono spesso demonizzate dall’opinione pubblica perché rientrano nella categoria OGM. Tuttavia, l’innovazione derivante da queste sperimentazioni è spesso fondamentale per garantire la salvaguardia dei prodotti tipici, del Made in Italy e della biodiversità naturale”.
“Ritengo che sia arrivato il momento di dare una svolta all’agricoltura italiana, allineata da tempo ai principi dettati dall’ONU per lo sviluppo sostenibile e pronta al Green Deal Europeo – dichiara Mauro Provezza, Industrial director di Bayer CropScience –
Per questo c’è bisogno che i decisori politici passino dalla stagione delle strategie a quella della loro concreta implementazione, considerando l’alto livello di competenze e innovazione già disponibili e l’opportunità storica di rilevanti finanziamenti europei. Bisogna, per esempio, potenziare il piano nazionale per le biotecnologie sostenibili in agricoltura, riprendere ed estendere i piani e i progetti di ricerca, coinvolgendo pubblico e privato in una prospettiva di “Open Innovation” e di efficace trasferimento tecnologico oltre ad assicurare procedure tempestive di assegnazione fondi. Nel concreto, è necessario studiare, grazie alla biotecnologia di precisione e i big data, la storia delle singole piante per andare a rispolverare le conoscenze storiche delle stesse e di come hanno saputo reagire ai cambiamenti climatici. Lavorare per il futuro, studiando il passato”.
“La bioeconomia circolare, che è uno dei pilastri dell’economia italiana, può giocare un ruolo chiave per riportare materia organica pulita nei suoli agricoli sempre più poveri di nutrienti – afferma Luigi Capuzzi, Research & Development Director Novamont – Per un pieno sviluppo del settore è però necessario aumentare la qualità delle raccolte differenziate, la quantità e qualità degli impianti di trattamento dei rifiuti organici, l’estrazione di micronutrienti e di materie prime utili dai processi di depurazione, oltre a potenziare il settore delle bioraffinerie, superando le barriere normative soprattutto in tema di “End of waste” e valorizzazione degli scarti di processo Oggi disponiamo in Italia di una piattaforma demo sistemica di bioeconomia circolare che ci permette, per esempio, di riciclare il 47% del totale del rifiuto alimentare rispetto alla media europea del 16%. L’Italia ha le carte in regola per diventare un driver di bioeconomia circolare soprattutto se sapremo canalizzare sviluppo economico, ambientale e sociale”.