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Rubrica di Emanuela Medi
 

La ferita di Enea: la cura, le erbe mediche nell’antica Pompei

Un altro famoso affresco ritrovato a Pompei, è sicuramente quello del triclinium -area adibita ai banchetti e a ricevere ritrovato nel 1825.  L’omaggio all’eroe virgiliano Enea, profugo e progenitore della stirpe romana (‘profugo alle lavinie itale sponde’) e posto ‘ab origine’ della civiltà latina, è il leitmotiv di un dipinto datato 45 – 79 d.C. L’affresco, ora al MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), ritrae un episodio presente nell’ultimo libro dell’Eneide, il ferimento del condottiero teucro e protagonista dell’opera virgiliana.

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La scena, che potremmo dire di un antico presidio ambulatoriale, vede il medico Japix, genuflesso, intento con un bisturi a curare un taglio sulla coscia destra di Enea, mentre la madre Venere, impensierita, giunge in soccorso al figlio. La dea regge con la mano destra il velo sotto cui appare brillare un prezioso diadema, mentre sotto il braccio rassicurante del padre il piccolo Ascanio, futuro fondatore di Alba Longa, asciuga con un panno le sue lacrime di angosciosa preoccupazione. L’espressione dello sguardo dell’eroe che fissa,  riconoscente e fiducioso, la madre mentre gli porge un fascio di una provvidenziale erba medica, ci ricorda un altro affresco pompeiano dove pure vediamo utilizzare una pianta presumibilmente officinale. Guerrieri armati di tutto punto con elmo e scudo tondo alle spalle di Enea completano il dipinto.

Questo affresco da un lato testimonia, naturalmente, la conoscenza e la diffusione nell’antica Pompei della leggenda virgiliana di Enea; dall’altro fornisce un supporto ai tanti ritrovamenti che riguardano quella che potremmo dire “l’arte medica” praticata nella città. 

Per quanto riguarda il primo punto, centro di diffusione in Campania della leggenda virgiliana può essere considerata Cuma, la più antica città greca dell’intera penisola italica, dove Enea, secondo Virgilio, era arrivato per incontrare la famosa Sibilla; un incontro però preceduto dalla morte dell’amico Miseno, il trombettiere troiano fatto annegare da Tritone, figlio di Poseidone, che aveva voluto punire l’esule teucro per averlo sfidato ad una gara musicale.  Era stato così che un luogo già celebre nell’antichità come Cuma, considerato il primo punto di contatto tra la Grecia e l’Italia, si era legato per sempre al mito di Troia, dopo che Miseno fu seppellito sul promontorio, che da lui avrebbe preso il nome. 

Cuma, la prima città greca in Italia

Dionigi di Alicarnasso ci racconta che il dominio di Cuma si estendeva ben al di là di ciò che ci appare oggi, e gli abitanti dell’antica città avevano scacciato gli Etruschi dalla Campania e dall’Italia Meridionale, anche con l’aiuto di Gerone I il Siculo, nella famosa battaglia di Cuma del 474 a. C. combattuta nel Golfo di Napoli. Questo leggendario conflitto navale è stato paragonato, per l’importanza che rivestì sulle sorti della Magna Grecia, al celebre scontro di Salamina tra Greci e Persiani, cui partecipò lo stesso Eschilo che la descrive nei Persiani (vv. 337-471). Come i Persiani dopo la sconfitta di Salamina furono scacciati dal Peloponneso e dalle isole elleniche dai Greci riunificati, così i Cumani, alleatisi con il tiranno e mecenate (anche il poeta Pindaro partecipava alla vita di corte aretusea e alle battaglie) ‘Ierone l’Etneo’, avevano respinto gli Etruschi determinandone il definitivo declino. 

Il dominio dei Cumani si estendeva fino alla Punta Campanella (allora Capo Atenaion), estrema propaggine della penisola sorrentina, dove sorgeva un tempio dedicato alla dea Atena che la leggenda voleva fondato da Ulisse. L’influenza culturale che Cuma esercitò nelle terre conquistate fu enorme, infatti fu proprio dall’alfabeto calcidese (Calcide di Eubea) dei coloni Cumani che derivò l’alfabeto latino. 

Alcune contenitori dell’epoca di Pompei

Ma ritorniamo al nostro affresco che rappresenta, sia pur all’interno di una scena mitica, la cura di una ferita. Per quanto riguarda questo argomento, sappiamo che sia la medicina, sia, più in particolare la chirurgia con la cura e la cauterizzazione delle ferite, come mostra l’affresco, erano largamente praticate a Pompei, dove, accanto alla porta della Grande Palestra si trovava un vero e proprio presidio di pronto soccorso.

Le ferite si disinfettavano con l’aceto, come mostrano molti piccoli contenitori ritrovati ad esempio nel Lupanare, ma anche con il solfuro di arsenico, detto, dal suo colore dorato,  auripigmentum. I problemi degli occhi si curavano con colliri liquidi o solidi, talvolta a base di oppio. 

Anche le piante, come mostra l’affresco, avevano un loro specifico ruolo e se le foglie di bieta curavano le scottature, le lenticchie cotte, a quanto pare nel miele, curavano i geloni. Varie erbe mediche si conservavano in casette di legno che sono state ritrovate non solo nella cosiddetta Casa del Chirurgo, come numerosi bisturi simili a quello del nostro affresco, ma anche accanto a persone che stavano tentando di fuggire e che le avevano portate con sé.

Anche il melograno era molto usato per il tannino in esso contenuto, come del resto il vino, che era una base per vari medicamenti e si è trovata una brocca con un preparato fatto dal celebre medico Musa con un’iscrizione che dice “faecula aminea Musae ad varia petita (Fecola aminea di Musa richiesta per varie malattie).

A Boscoreale si conservano ancora oggi varie piante ritrovate carbonizzate  tra cui erba medica e trifoglio. Chissà se potremo mai sapere a quali piante corrispondevano realmente le due erbe raffigurate nell’affresco dei Casti amanti e in questo della Casa di Sirico che mostra la cura della ferita di Enea.

Antonio Di Fiore

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