Il Festival della polenta che si svolge a Storo in Trentino nella valle del Chiese è molto di più della solita kermesse di cuochi, ricette e piatti a base di polenta, è un momento importante di riflessione sulle zone svantaggiate come il territorio montano dove potrebbe essere vincente la figura dell’agricoltore, piuttosto che di una agricoltura allineata.
L’ITALIA HA UN 35% DI PIANURA FERTILE E PRODUTTIVA, UN 35% DI COLLINE A VOLTE ANCHE EROICHE, UN 30% DI MONTAGNA APPENNINICA E ALPINA DOVE UNA VOLTA C’ERA UNA POPOLAZIONE, UNA VITA, ATTIVITA’ E IMPRESE ATTIVE DIVERSE…..E OGGI?
Di Gianpiero Comolli, Docente ed Esperto Economico
“L’economia delle zone svantaggiate d’Italia è fondamentale per il paese, non solo autostrade, porti, capannoni, logistica, grandi imprese, aziende agricole fra le prime al mondo per efficienza e produttività. L’azienda agricola piccola di montagna che non chiude è un successo economico . La montagna ha bisogno di sicurezza, servizi, viabilità, mezzi pubblici, connessione internet, cellulari che funzionano, medicine a casa, medici attivi e bravi, case della salute per i tanti vecchi sempre più “ single”. Questi sono gli investimenti da fare perché la cultura in montagna ha radici ben più forti, solide, durature, ben evidenti, maggiori di chi vive urbanizzato e cementato da sempre. Anzi chi nel 2020 vive ancora in montagna a 1000 metri, in borghi di 20 abitanti fissi, con il medico e la farmacia a 30 km, e spesso strade con frane ha una forza culturale superiore a tutti, perché vivere la montagna “è cultura” esistenziale… Nel 1980 ero a Strasburgo con Marcora ed ebbi il grande onore di vivere i primi effetti delle 3 direttive di sviluppo agrario in cui le “zone svantaggiate” di tutta Europa erano al primo posto in ogni scelta, in ogni decisione politica ed economica. Poi vennero le quote produttive e la concentrazione massificata di certe produzioni che, secondo me, non solo tarparono le ali ad una certa agricoltura medio-artigianale, di prodotto e di filiera italiana, ma contribuirono all’abbandono, alla fuga dalla montagna. Certamente il contentino delle Doc e Dop non è stato sufficiente….e oggi sono troppe e confuse. Bisogna partire dall’Europa visto che il 90% dei finanziamenti agro-ambientali vengono da lì. Dal 2011 al 2014 tornai a Bruxelles come Technical Advisor della Pac al Parlamento Europeo ed ebbi modo di proporre una visione diversa del sistema con l’inserimento del “terzo pilastro” dedicato all’ “agricoltore” e non alla politica agroindustriale, di impresa agricola generica. La nostra montagna, ha bisogno di riconoscere e sostenere una figura di “agricoltore” della zona svantaggiata, certo multifunzionale e poliedrico, specializzato in filiera, ma ben connesso e supportato da servizi di viabilità e assistenza, che viva il territorio – non un guardiano del parco o rifugio dalla città – ne conosca i limiti, sappia gestirlo interamente, abbia mezzi e strumenti per la cura ambientale, idrogeologica, forestale Per questo i piani di sviluppo regionali diventano strumenti di legge importanti ed è evidente che in questo contesto, urge anche una politica degli enti locali …con dotazioni umane e economiche, capace di accogliere e essere efficiente, una concentrazione amministrativa e burocratica che non penalizzi il residente, ma al “servizio dell’utente”. La nuova Pac, lo dico da anni, deve prevedere un capitolo a parte per la impresa-imprenditore di zone di montagna e svantaggiate che vada oltre la multifunzione, il vicinato, la tipicità, il presidio. Dobbiamo tutti chiedere il riconoscimento di una figura terza di agricoltore di montagna e alta collina al servizio di tutti. Questa è l’unica economia e politica agraria sociale e civile da terzo millennio che in un certo senso dialoghi con la biodiversità dei luoghi ma anche con le cause non naturali di un cambio climatico che “in primis” pretende che siamo vigili e preveniamo.