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Rubrica di Emanuela Medi
 

La storia dello Spumante

di Giampietro Comolli
La storia del vino o mosto vino fermentato e rifermentato in recipienti, prende forma come metodo produttivo nel bacino del mare Nostrum. Sicuramente già prima alcune bevande ottenute da vegetali erano presenti lungo il Danubio e attorno al mar Caspio, ma il vino spumeggiante, rifermentato in bottiglia, come lo consideriamo noi oggi, trova le sue più remote radici nei vini spontaneamente frizzanti o spumosi degli antichi i quali conoscevano come si formasse l’anidride carbonica in recipienti chiusi o aperti.

L’ermeticità dell’otre o dell’anfora o della botte di terra cotta o ceramica o legno fu un elemento determinante nella capacità di gestione della spuma nei vini, così come il mixage dei vari prodotti che venivano usati per stimolare quell’effetto o per aromatizzarne il gusto. Per secoli i vini fermentati, prodotti con l’utilizzo di vini vecchi e mosto giovane, furono la bevanda dell’aristocrazia che li utilizzava per, solennizzare cerimonie esclusive. Fra le più ancestrale citazione che ne fanno menzione troviamo quella che si trova nella Sacra Bibbia, nel libro dei Salmi, nr 75, vs 8-9 “… alza una coppa ove spumeggia un vino…” coppa sostenuta dalle mani dell’Altissimo. I vini che diventano ancora primattori nel I° secolo a.C. essendo presenti nell’Eneide di Virgilio, quando cita il brindisi effettuato dalla regina Didone con i nobili del regno e il condottiero Bezia, l’instancabile consumatore di vini spumeggianti, “…et ille impiger hausit, spumantem pateram et pleno se produit auro, post alii proceres”…ovvero “…ed egli si presentò con una coppa d’oro stracolmo di vino spumeggiante e senza indugiare un istante vuotò il calice; poi bevvero gli altri…”

Ma la prima citazione dell’uso del termine spumante della storia si ha nel 47-15 a.C “ Spumant plenis vindemia labris” a testimonianza di come intorno a questi vini vi fosse una fiorente attività degli allora agronomi e medici romani che conoscevano molto bene questi vini grazie anche dall’esperienza di altri popoli come gli Etruschi i quali .arrivarono a descriverne i metodi di produzione in base non solo alla quantità di zucchero o miele o altri frutti che potevano essere aggiunti, ma anche in funzione della temperatura utilizzata nella vinificazione, definendo, inoltre, anche la tipologia dei contenitori in cui mantenere i vini, se grandi o piccoli. In una villa nobiliare di Pompei venne ritrovata una cella vinaria con anfore di argilla allineate in un cunicolo di terra nel quale scorreva continuamente dell’acqua fredda che abbassava la temperatura dell’ambiente.

Una scoperta che è, sicuramente, la migliore testimonianza di come l’origine dei vini spumanti sia da attribuirsi alla cultura romana. Man mano che si amplia la conoscenza ecco che  si arriva a menzionare il vino migliore con cui produrre effervescenza: il “falerno” che più di qualsiasi altro si identifica con la prima denominazione di origine della storia. In Lucania si ricorda nel 39-65 d.C. che “indomitum meroe cogens spumare falernum” (phars. x, 63). che significa come l’indomito falerno si spumantizzasse mescolandolo con la meroe etiopica.

Un vino sublime, ricercato e voluto dalle famiglie nobili romane, tanto da essere servito all’incontro che si tenne fra Cesare e Cleopatra come testimonia Plinio (n.h., 77 d.C.): “qui c’è un vino che è veramente eccellente, l’aigleucos, naturalmente dolce con effervescenza persistente…”Una produzione importante per l’epoca, ottenuta come detto mantenendo le anfore in acqua fredda dei torrenti; tanto importante da studiare e delimitarne la zona di produzione, come testimonia anche Columella che nel I° sec. d.C.) descrivendo dove fosse la produzione migliore di questo vino al quale venivano aggiunte, o il “defrutum” e la “sapa”, dei mosti concentrati ottenuti con l’ebollizione ed evaporazione dell’acqua dal vino.

Mosti cotti aggiunti al vino in fermentazione dell’anno successivo, al fine di ottenere uno con la spuma. Metodi produttivi con i quali i romani producevano anche i aigleucos, il temine con il quale indicavano i vini spumanti prodotti partendo dal mosto, la cui fermentazione era creatrice delle bollicine, che veniva ritardata immergendo le grandi anfore di terracotta in acque fredde, al fine di avere una spuma che durasse il più a lungo possibile; vini a cui veniva aggiunto anche uno sciroppo di miele e propoli che contribuiva a dare loro maggiore vitalità, prolungando la fermentazione alcolica e producendo anidride carbonica che restava imprigionata nel mosto-vino, dando a quella bevanda un senso di freschezza che piaceva tantissimo.

Certamente questi vini erano gli antenati del “metodo tradizionale” con cui identifichiamo gli spumanti chiamati dai romani con altri termini come “bullulae”, “spumans”, “spumescens”, “saliens”, “titillans” oppure Acinatico, quel vino spumoso, effervescente, ottenuto partendo da un mosto poco pressato di uve lasciate passire dopo la vendemmia, mescolato ad esso del vino molto vecchio con l’intento di “ringiovanire” quest’ultimo con una nuova ebollizione, controllata sempre attraverso la temperatura, tenuta bassa ponendo il vino in ambienti appositamente predisposti Un anticipo di ciò che sarà il più recente metodo italiano. (Martinotti)…

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