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Rubrica di Emanuela Medi
 

La tavola dell’Ultima cena: un’iconografia in bilico tra due culture del sacro e del cibo

Sbaglierebbe chi, guardando le infinite rappresentazioni della Tavola dell’Ultima cena, potrebbe sperare di ritrovarvi precise informazioni storiche. Innanzitutto perché quella mensa, se da un lato raffigura una cena rituale della Pasqua ebraica (Pesach), quale Cristo e gli apostoli stavano realmente celebrando, dall’altro la sua rappresentazione iconografica nasce, viceversa, come momento fondativo dei riti pasquali cristiani e soprattutto del sacramento dell’Eucarestia. E questo secondo significato è stato nei secoli di gran lunga prevalente.

Perciò ritroviamo ad esempio il pane con cui Cristo celebra le parole fondamentali dell’Eucarestia, sotto forma di pane lievitato, mentre invece nella cena reale celebrata dagli ebrei questo è assolutamente proibito e si mangia il pane azzimo (cioè non lievitato), quale gli ebrei prima di lasciare l’Egitto prepararono. Differenza che anch’essa ha accompagnato la storia stessa del sacramento eucaristico: nella Chiesa occidentale si passò dal pane lievitato alle ostie, in quella orientale si mantenne per lo più quello lievitato. Vediamo poi il vino, “simbolicamente” rosso. E se tra gli ortodossi tale è rimasto, tra i cattolici è pure diventato bianco.  Ma a parte questi elementi fondamentali, tutta la rappresentazione è certamente assai cristianizzata e modernizzata: dalla presenza delle forchette (all’epoca inesistenti) per ciascuno degli apostoli, ai bicchieri che non superavano, nella cena ebraica antica, il numero di quattro. Troviamo ancora, sulla tavola dell’Ultima cena, oltre l’agnello, questo sì canonico anche per gli ebrei, molte varianti fantasiose, dai gamberi al pollo al maialetto.

Una delle poche raffigurazioni “fedeli”, dal punto di vista soprattutto di questi elementi “alimentari”, è quella di Dierick Bouts, databile tra il 1464 e il ’67, che possiamo trovare nella Cattedrale di Lovanio: niente forchette, pane azzimo, un unico piatto su cui si intinge: certamente la presenza di teologi dovette essere importante.

Ma questa fantasiosa iconografia che, come è stato giustamente detto, potrebbe fare apparire questa rappresentazione semplicemente una cena un po’ movimentata a chi è non ha mai conosciuto la storia del cristianesimo, è frutto probabilmente più della diffusa ignoranza storica degli antichi pittori che di una precisa volontà di “cristianizzare” il rito.

Comunque che i cristiani, e i cattolici in particolare, abbiano mostrato non solo un grande attaccamento, per dir così, anche alla “materialità” della Tavola dell’Ultima cena, ma soprattutto abbiano voluto sottolineare questa identità Tavola della cena/ Altare dell’Eucarestia, lo dimostra il fatto che, come la più preziosa tra le reliquie,  a San Giovanni in Laterano a Roma, fu messa sull’antico altare, proprio la Tavola su cui- come vuole la tradizione- Cristo e i suoi apostoli condivisero il pane e il vino di Pesach.

 Gea Palumbo, docente di Storia e iconografia Università di Roma Tre.

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