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Rubrica di Emanuela Medi
 

Vino e cultura: l’amore ebbro dell’ultimo Ungaretti

Partì bambina insieme al padre per starci pochi mesi. C’è rimasta fino ad oggi. La storia di Bruna Bianchi che a San Paolo del Brasile nel 1967 conobbe Giuseppe Ungaretti, è strettamente legata al vino. E attraverso il vino si è dipanata fino ad oggi. Raccontarla, partecipi con mio marito Marco della festa per la pubblicazione del libro “Lettere a Bruna”, non poteva che emozionarmi e soprattutto non poteva non essere raccontata!

La famiglia è originaria delle Langhe e il padre della ragazza venne inviato dalle Cantine Bosca di Canelli, nel Monferrato, a espandere la produzione e la vendita del famoso vino metodo champenois italiano. E’ il tempo dell’epopea di coraggiosi italiani che portano il vino tricolore in tutto il mondo. Bruna, all’epoca impiegata ventiseienne, al termine di un incontro di Ungaretti con il pubblico (Ungaretti era stato professore nell’Università della metropoli brasiliana dal 1937 al ’42), gli porge un fascicoletto di sue poesie.

Il poeta è famoso in tutto il mondo, è vedovo ed ha settantotto anni. Dal loro incontro nasce un amore folle, durato circa due anni, i cui protagonisti staranno insieme in Italia e in Brasile soltanto per pochi mesi. Per il resto del tempo, lontani, si scambieranno una serie di lunghissima di lettere. Rimaste a lungo segrete e soltanto adesso pubblicate per l’editore Mondadori nel bel libro Lettere a Bruna. Un amore corrisposto e smisurato – Ungaretti le scriveva quattro lettere al giorno – del quale Bruna Bianchi,oggi distinta signora, con una un’intera vita professionale da avvocato alle spalle, figli e nipoti, ha saputo mantenere il ricordo sempre vivo fino alla decisione di rendere pubblico il fittissimo carteggio privato con il poeta.

A Canelli, nell’Astigiano, nell’area più meridionale del Monferrato, il paesaggio è composto da colline che si compongono in modo tanto spettacolare e unico che la zona è diventata patrimonio dell’umanità Unesco. Colline coperte di vigneti, una zona naturalmente vocata alla produzione di vino, rossi importanti come la barbera, il nebbiolo, il barolo e bianchi spumeggianti metodo champenois. Ungaretti nelle sue lettere a Bruna dice che ha «il palato fatto per il vino». Che ad Alessandria d’Egitto, dov’era nato, gli arrivava il grande Barolo per rendere memorabili le feste di famiglia. Ma sua passione era la «Riserva del nonno», spumante brut di Pinot e Chardonnay con note di crosta di pane, sentori floreali e un finale di miele che le storiche Cantine Bosca- in attività dal 1831- producono ancora oggi, con un metodo antico: 30 mesi di affinamento in bottiglia nelle tradizionali cappe e sessanta giorni dedicati al remuage fatto rigorosamente a mano, sulle pupitres, seguito da un dégorgement à la glace con aggiunta di liqueur d’expédition.

Canelli ha 24 chilometri di cantine sotterranee, chiamati le Cattedrali del vino, anch’esse patrimonio dell’Umanità Unesco. Soltanto pochi chilometri sono oggi ancora aperti e visitabili, tra cui quelli di Bosca, perfettamente conservate e risorte anche come spazio scenografico dopo l’alluvione che le inondò nel 1994. Andiamo a visitarle con Bruna e la sua famiglia, riunita per festeggiare l’uscita del libro con le lettere dell’illustre amico «Ungà».La più spumeggiante è proprio lei, Bruna, musa del poeta che usava brindare con un calice di vino in mano augurando alla giovane donna protagonista di questo «ardente segreto» lunga vita e lunghi anni felici. Quest’uomo carismatico ed esuberante, poeta definito Ermetico ma che aborriva questa definizione,acquisito alla famiglia di Bruna dopo la morte della moglie e la vita «da ospite» in casa della figlia e del genero, conosceva e amava Canelli, terra di buon vino e buon cibo. «Si impara di più all’aria aperta, immersi nel segreto della natura, che chini per ore sui libri» fu uno dei suoi insegnamenti.

Pernottiamo su suggerimento di Bruna, all’Agriturismo La Luna e i Falò, “il primo ad essere creato in Italia negli anni ’80”, ci racconta il proprietario Franco che ancora produce in quantità limitata e solo per gli amici, un imperdibile dolcetto che lui definisce «il più autentico della zona». Interessante, per chi non avesse tempo, la tavola dell’agriturismo, all’interno di un salone dal gusto retrò. Se preparato dalla signora Ester, regina dei fornelli, anche un semplice piatto di tajarin con i funghi merita la deviazione. Per chi invece volesse un ristorante più strutturato anche se in un clima familiare, si può andare sul sicuro con i piatti della gastronomia tipica locale del ristorante La Violetta, in una piccola frazione di Calamandrana. Tutti accompagnati da un’ottima scelta di vini, incluso l’immancabile moscato di Asti. Naturalmente un posto così,appartato e di classe, solo Bruna poteva farcelo scoprire.

Michela Garbin, giornalista

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