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Rubrica di Emanuela Medi
 

L’Areni e il “Tempo in una Bottiglia”: un viaggio alla scoperta delle origini del vino

Areni, ovvero l’antenato armeno di tutti i vini contemporanei. L’ho scovato poco prima di Natale sugli scaffali dell’Eataly e l’ho preso per proporlo in una serata alternativa. Non immaginavo che, di lì a breve, me lo sarei ritrovato protagonista del primo capitolo di “Il tempo in una bottiglia – Storia naturale del vino”, testo olistico dei newyorkesi Ian Tattersall e Robert De Salle, rispettivamente antropologo e biologo in servizio presso il più famoso Museo di Storia Naturale del mondo.

areni

Vista del Comune di Areni, Armenia (foto: Wikipedia)

È da un viaggio alla volta del remoto villaggio balcanico dal quale L’ Areni prende il nome che i due scrittori fanno partire il loro sunto della genesi della civiltà del bere. Da quelle parti, nel 2007, è stata scoperta, all’interno di una caverna abitata da una popolazione indigena agli albori dell’età del bronzo, la più antica “azienda vinicola” del mondo, oggi comunemente denominata “Areni-1 winery”.

Età stimata della struttura? Be’, le analisi condotte hanno dato risultati contrastanti, ma gran parte degli studiosi la fa risalire a 6100 anni fa, il che significherebbe che gli umani hanno sviluppato le prime tecniche di coltivazione e vinificazione della vite almeno due millenni prima dell’invenzione della scrittura. Già a quel tempo il mosto veniva pigiato sul pavimento e lasciato defluire e fermentare in vasche scavate nella roccia, per poi essere miscelato alla resina di pino – come si fa ancora oggi in Grecia e in Macedonia – e versato in anfore di terracotta non dissimili da quelle correntemente in uso nel Caucaso. La cantina, stimano gli archeologi, aveva una capacità produttiva di circa sessanta litri, non poco per una comunità che contava poche decine di individui.

Non si sa esattamente quale fosse l’utilizzo di tutto di quel vino, ma gli studiosi ipotizzano che assurgesse alla funzione di bevanda rituale. In particolare, il ritrovamento nelle immediate vicinanze di almeno venti sepolcri contenenti coppe da vino lascia supporre che gli abitanti di Areni abbiano anticipato la tradizione poi cementata dagli Egizi di consumarlo nel corso delle cerimonie funebri. “ Questa codificazione dell’uso dell’alcol evoca la tendenza innata del genere umano ad attribuire significati simbolici ai rituali che hanno a fare con uno stato di alterazione mentale – asseriscono Tattersall e DeSalle – fin dalla notte dei tempi, il vino ha avuto la funzione pratica di allentare la tensione sociale, oltre a quella a un tempo simbolica e pratica di cementare le relazioni reciproche”

Purtroppo il dilagare del Coronavirus mi ha impedito di prendere parte ai seminari sulla storia del Vino condotti dai due scienzati-scrittori nell’ambito del Master in Wine Culture and Communication presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, nel corso dei quali avrei potuto approfondire l’argomento. E allora, per consolarmi e celebrare il mio personale rituale apotropaico, ho deciso di stappare quella bottiglia che già da tempo mi strizzava l’occhiolino dall’alto dello scaffale nella cantinetta

DEGUSTAZIONE.
karasi zorahPer essere specifici, si tratta del Karasì di Zorah, azienda fondata da un ragazzo armeno cresciuto in Italia, che ha sede in un villaggio non distante da Areni, nella provincia di Vayots Dzor. Il millesimo è il 2017; il vino proviene da vigne a piede franco poste a più mille metri d’altitudine e, come da tradizione ultramillenaria, ha trascorso diversi mesi in anfora prima di venire imbottigliato.

Al momento dello stappo il Karasi si presenta con una veste violacea mediamente trasparente, e schiude un mix fascinoso di note fumose, ferruginose legate all’affinamento in anfora e spunti di erbe aromatiche e spezie esotiche che ricordano certi vini del Midi francese. In seconda battuta emergono una parte fruttata che ricorda lo sciroppo di more, un’idea bizzarra di peperone crusco e una vena balsamica aerea, rinfrescante. In bocca lo sviluppo è piuttosto coerente: i rimandi fruttati, uniti a una nota calorica moderata, rendono un’idea iniziale di morbidezza, ma la sapidità prende presto il sopravvento, supportata da una trama tannica solleticante seppur non troppo incisiva. L’acidità è in secondo piano, ma contribuisce comunque ad accrescere la scorrevolezza del sorso, che si dilunga tra ricordi ammiccanti di cumino e pasta d’acciughe – e qui si potrebbero trovare assonanze con i vini siciliani, che con l’Oriente hanno più di qualche legame.

“Ricco di frutta rossa e ciliegie nere, con la tessitura necessaria per rimanere impresso ed invogliare a berne altro. Lo si potrebbe servire freddo nelle giornate d’estate” scrivono Tattersalle e DeSalle sull’ Areni. E in effetti, infilare questa bottiglia in un cestello, aspettare che si raffreddi, nel frattempo imbandire la tavola nel dehors e mettere a bollire uno spaghetto da condire con pomodoro e tonno fresco, non sarebbe malaccio. Purtroppo, però, la giornata è uggiosa, le autorità ci impongono di limitare le interazioni sociali, e allora è meglio pazientare, e magari ipotizzare rotte, itinerari, legami tra l’Areni e chissà quale altro vitigno che, traversando prima il Caucaso e poi il Mediterraneo, ha raggiunto le nostre sponde. Del resto, le avversità che l’umanità si trova a fronteggiare possono limitare gli spostamenti fisici, ma la mente, stimolata dal vino, continua sempre a viaggiare…

Raffaele Mosca,

Master Sommelier

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Emanuela Medi giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche GR3 e GR1. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti- ha curato la rubrica ”La Medicina”. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori, affidatole dalla Commissione della Comunità Europea. Per il suo impegno nella divulgazione scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio ASMI, Premio Ippocrate UNAMSI, premio prevenzione degli handicap della Presidenza della Repubblica. Nel 2014 ha scritto ”Vivere frizzante” edito Diabasis. Un saggio sul rapporto vino e salute. Nello steso anno ha creato il sito ”VINOSANO” con particolare attenzione agli aspetti scientifici e salutistici del vino. Nel 2016 ha conseguito il diploma di Sommelier presso la Fondazione Italiana Sommelier di Roma.. Attualmente segue il corso di Bibenda Executive Wine Master (BEM) della durata di due anni.