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Rubrica di Emanuela Medi
 

Lazio Prezioso e Piacere Tuscia 2019: due eventi per girare il Lazio in lungo e in largo

Non un territorio unico con caratteristiche omogenee, ma un insieme di comprensori differenti per cultura, tradizione e paesaggio. Così appare il Lazio agli occhi di chi lo esplora attraverso il vino.

Basta assaggiare in sequenza un Violone della Tuscia, un Bellone di Anzio e un Cesanese Nero dell’Alta Sabina per rendersi conto di quanto eterogenea sia l’offerta di questa regione sviata da stereotipi che solo manifestazioni come quelle svoltesi a Roma a inizio Maggio possono finalmente sfatare. Lungi dalla rozzezza dei vini approssimativi serviti ancora oggi nei ristoranti turistici, le perle del rinascimento regionale rendono l’immagine di una terra che dalla Costa Gaetana risale verso la Tuscia e l’Etruria, passando per Roma con la sua campagna, il litorale e i Castelli. Protagonisti in questi territori eterogenei sono tanto gli autoctoni – tra i quali figurano varietà rarissime – quanto le uve internazionali, che, grazie a suoli e climi ben calibrati, danno vita a vini tutt’altro che omologati.

Il giro del Lazio vinicolo da noi effettuato in circa 180 minuti tra Lazio Prezioso e Piacere Tuscia, eventi rispettivamente organizzati da Cucina e Vini e dall’enogastronomo Carlo Zucchetti, è cominciato da due aziende del sud della regione. La prima, Casale del Giglio, rappresenta la rinascita enologica dell’agro Pontino, territorio nel quale, a distanza di oltre mezzo secolo dalle bonifiche ad opera del Fascio, la famiglia Santarelli è riuscita a costruire una realtà eclettica, avanguardista nell’approccio tecnico e dal forte appeal commerciale. In una terra dove non esisteva nessuna varietà regina, Enrico e parenti hanno sperimentato il Tempranillo, il Petit Manseng, il Viognier, la Syrah, vitigni originari del meridione Francese che costituiscono la base delle assai diffuse etichette aziendali. In seguito, la famiglia ha acquisito vigne anche a Ponza, dove oggi produce la Biancolella “Faro della Guardia”, e ad Anzio, comune nel quale padroneggia il Bellone, antico autoctono del litorale romano.

Tra le numerose referenze, è proprio l’Anthium 2017, Bellone in purezza, a spiccare per nitore e complessitá, evocando sensazioni di cedro candito, salsedine ed erbe costiere che ritornano in un sorso sferzante ma rimpolpato dai due giorni di macerazione sulle bucce. Molto buono anche il Petit Verdot 2016, rosso di struttura che, grazie a una quota di uve surmature, riesce a prevaricare la rusticità erbacea associata a questo vitigno e ad esprimerne tutto il vigore fruttato.

La seconda realtà, L’Avventura, era a noi del tutto ignota fino a quando non l’abbiamo scoperta in questa sede. Del resto, quella presentata è solo la terza vendemmia, e, nonostante i risultati siano incoraggianti, c’è tanta strada da fare per emanciparsi agli occhi del grande pubblico. Sta di fatto che i rossi aziendali – tutti prodotti da Cesanese proveniente da vigneti situati ad Anagni e Piglio – riescono a stupire per incisività. Il Cesanese del Piglio 2018 è grintoso, essenziale ma accattivante nei ritorni di rosa, ciliegia nera e pepe che carezzano il sorso snello e scalpitante; il “cru” Picchiatello 2017ha un bouquet decisamente più speziato, complice l’affinamento prolungato in botte grande, ma non manca di simili doti di nerbo e fittezza tannica; l’Amor 2017, selezione affinata in affinate in barrique, è più morbida e meno tipica, ma si distingue per ampiezza ed equilibrio d’insieme.

Tutt’altra è la matrice dei “vini di Roma”, nei quali la solarità dell’agro capitolino combacia con la sapidità conferita dai suoli tufacei su cui poggia la Città eterna. Chi s’intende di storia dell’Urbe e della sua noblesseoblige conoscerà la figura di Alberico Boncompagni Ludovisi, istrionico Principe vissuto tra le camere dell’ Excelsior–che peraltro è la location di Lazio Prezioso – e le sue vigne sull’Appia Antica. Da quest’ultime, il nipote Alessandro  Jacopo ha ricominciato da circa un decennio a produrre il vino storico di questa dinastia: il Fiorano, taglio bordolese che esprime il terroir romano in tuta la sua solarità. L’annata 2013 è la migliore del nuovo corso della tenuta: sbuffi di menta, mora e viola essiccata delineano un profilo nient’affatto ruffiano che s’arricchisce progressivamente di reminiscenze territoriali di erbe aromatiche, ginepro e fumo. Sapidità e acidità sanguinella ne delineano il sorso agile ma carnoso, vellutato nella trama tannica e profondo nell’eco affumicata e grafitica.

L’altra azienda Romana degna di nota è Tenuta di Pietra Porzia, realtà frascatana che ha puntato sul Lecinaro, raro vitigno originaria dalla Ciociaria, per dare maggiore carattere all’unico Rosso di Casa: il Castelli Romani Rosso “Regillo“. Concepito come miscela che comprende la varietà frusinate, il Montepulciano e il Sangiovese, ed affinato esclusivamente in acciaio, questo prodotto giovanile e gaudente offre aromi intriganti di rosa selvatica, amarena e humus ed un sorso cadenzato da un tannino salivante che invoglia ad abbinarlo con i classici della cucina pastorale capitolina (abbacchio scottadito su tutti).

Proseguendo a nord di Roma, troviamo, nella prima Tuscia, a due passi dal Lago di Bolsena, l’azienda Vigne del Patrimonio. Solo pochi spumanti del centro Italia possono competere con i gioielli di Casa Alarosa Brut e Rosè, golosi Metodo Classico affinati per circa 36 mesi sui lieviti. Il primo, da uve Chardonnay, mischia toni fruttati e sensazioni di pasticceria, risultando morbido ma pervicace nel gusto cremoso e setoso. Il secondo è più ricco e terziario: sfodera note vinose da Rosè de saigneè e rintocchi di ciliegie e cacao a corredo di una beva piena ma vivace. Data la struttura particolarmente robusta, riteniamo che entrambi possano dare il meglio in compagnia di una classica gricia o con caci mediamente stagionati.

Subito dopo ci addentriamo nell’Appennino e giungiamo ai piedi del Terminillo, in un areale dove le aziende vinicole si contano ancora sulle dita di una mano. Qui, grazie a un’opera di recupero di vigneti e varietà dimenticate perseguita in collaborazione con la Regione Lazio, i ragazzi di Le Macchie sono riusciti a risuscitare l’antica tradizione locale, affiancando agli autoctoni Malvasia Tostella e Cesanese Nero varietà internazionali come Riesling e Merlot. A stupirci è L’Ultimo Baluardo, Rosso “eroico” prodotto da vigne pedemontane di Cesanese Nero, che in annata 2016 esibisce una personalità indomita, rafforzata dalla fermentazione spontanea e dall’affinamento in piccole botti usate. Grintoso nel tannino ed elegante nei profumi quasi nebbioleschi di rosa appassita, visciola, ruggine e menta, sfuma lento tra sensazioni sanguigne e speziate, promettendo di evolvere egregiamente negli anni a venire.

Il nostro viaggio si conclude a Castiglione in Teverina, comune che si erge sui Calanchi di Vaiano e mira dall’alto la vicina Umbria. In questa terra di confine, è nata dal sodalizio tra un agronomo romano e un’enologa giapponese l’azienda Doganieri-Miyazaki, singolare boutique winery che vinifica oltre trenta varietà piantate in soli 42 filari. A primeggiare sulle numerose referenze proposte – che oltretutto variano di anno in anno – è il Confie, rosso che abbina il Violone, clone di Montepulciano tipico della Tuscia, al Petit Verdot. Intensamente pigmentato come le due varietà tintorie impongono, questo gigante gentile travolge con i suoi profumi impetuosi di visciole sotto spirito, cioccolato, tabacco mentolato e grafite. Al palato coniuga il tannino grintoso dell’uva bordolese alle soavità fruttate del Montepulciano, risultando lungo e riccamente “gourmand”. Sta bene con la coratella, con le salsicce con tutte le altre prelibatezze terragne di questa regione calorosa e straordinariamente sfaccettata.

Raffaele Mosca, Master Sommelier

 

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