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Rubrica di Emanuela Medi
 

Le campane di Pasqua tra il Tempo della Chiesa e il Tempo delle donne

Uno dei simboli più legati alla Pasqua è certamente quello delle campane. Se a Pasqua ancora oggi “si sciolgono le campane”, non è lontano il tempo in cui inviavamo ad amici e parenti biglietti di auguri illustrati quasi sempre da campane e campanelle, o, in cui, da bambini, scrivevamo la “letterina di Pasqua” ai nostri genitori, dove tra mandorli in fiore e agnellini, una campana, o più spesso due campane, alludevano al tempo pasquale.  E se, anche oggi, accanto alla dolce colomba ci può venire regalata una dolce campana,  campane virtuali ci giungono da ogni parte su computer e cellulari.

Perché, dunque, è giusto chiederci, le campane sono un simbolo legato alla Pasqua, se esse, in fondo, come sanno tutti e soprattutto coloro che abitano vicino ad una chiesa, suonano ogni giorno, a Natale non meno che a Pasqua, di domenica non meno che negli altri giorni della settimana?

Anche in questo come in tanti altri casi, è il linguaggio che offre una risposta alla nostra domanda. A Pasqua non si dice tanto che “suonano” le campane, ma che “si sciolgono” le campane. Perché?

Perché in realtà c’era davvero questa usanza, in passato, che le campane delle chiese, dopo la Messa in Coena Domini, quella del giovedì santo, venissero legate per poi essere “sciolte” solo dopo la lettura del Gloria che avveniva nella messa del sabato santo, quando le campane suonavano improvvisamente a distesa -o in modalità “della allegrezza”-  in ogni chiesa. Talvolta al loro suono si univa la liberazione di colombe in volo. E questo rito del legare le campane faceva sì che il venerdì santo, giorno della Passione e morte di Cristo, fossero in uso vari strumenti rituali per emettere suoni che non potevano essere espressi dalle campane. Erano questi strumenti i celebri sacra ligna, in genere una sorta di tavolette con maniglie di ferro che avevano nomi diversi nei vari paesi e venivano dette “battuelle” a Genova, “battole” a Venezia, “trocculi” a Palermo. A Procida, poi, nella famosa processione del venerdì santo, si suona invece ancor oggi una speciale tromba dal suono lugubre e triste.

Dunque, ora che abbiamo, sia pur brevemente, visto perché le campane sono un simbolo della Pasqua, forse non sarà inutile tentare di comprendere, partendo un po’ da lontano, perché le campane siano diventate, prima ancora che simbolo della Pasqua, più in generale, un simbolo religioso.

campanile-chiesaSe una poco documentata tradizione racconta che le campane furono inventate da san Paolino di Nola (IV-V secolo), ed erano dette, appunto, “nolae” (termine sostituito poi da quello di “campane” perché la Campania sarebbe stato il luogo in cui si era specializzati nella loro produzione), fonti soprattutto archeologiche raccontano invece della loro antica origine sia a Creta (campane in terracotta), sia in Oriente, in questo caso metalliche, e in particolare in Cina, tutti luoghi dove ne sarebbero provato l’uso da una remota epoca precristiana.

Uso che in Europa è attestato sempre crescente dal Tardo antico al Medioevo, al punto da far diventare le campane, come splendidamente ci ha raccontato uno dei massimi medievisti, Jacques Le Goff (Tempo della Chiesa e Tempo del mercante 1977), il simbolo stesso del Tempo della Chiesa.

Un tempo del giorno e della notte che ciascuno misurava attraverso le ore suonate dal proprio campanile e che regolavano il lavoro nei campi, le preghiere della giornata, il momento dei pasti. Che avvisavano il sopraggiungere delle tempeste, della grandine e degli uragani, lo scoppiare degli incendi, i pericoli delle invasioni. Ore “di tutti”, uguali per tutti coloro che ne arrivavano a sentire i rintocchi. Rintocchi che con i confini del loro suono scandivano le distanze di un villaggio dall’altro, le appartenenze ad un “campanile” o ad un altro.

Solo molto più tardi, quando avrebbero cominciato a essere costruiti i vari orologi, il Tempo del “mercante”, individuale e laico, avrebbe soppiantato a poco a poco quello comunitario e religioso della Chiesa scandito dalle campane.

E proprio per questo valore assoluto del tempo, le campane, acquistarono a poco a poco un valore sacro. Spesso il loro bronzo era fuso anche con le insegne di pellegrinaggio che pellegrini e pellegrine, di ritorno dal loro viaggio, consegnavano nelle chiese proprio per quest’uso e la sacralità ne veniva accresciuta.

Le campane venivano benedette e anche “battezzate” con antichi rituali e sovente il nome che veniva loro imposto era un nome femminile: a Napoli, ancora in tempi recenti era famosa “Carmela”, la campana più importante della chiesa del Carmine al mercato; a Rouen e Orléans le campane portavano entrambe il nome di Giovanna d’Arco.

Ed è proprio a proposito delle donne che possiamo aggiungere un altro particolare a questa breve rassegna “campanara”. Infatti furono proprio le donne che, come alcune interessanti ricerche suggeriscono (Gisela Bock, Le donne nella storia europea, Milano 2001, pp. 102 ss.), contribuirono non poco a far fallire i progetti di laicizzazione che si accompagnarono ad alcune fasi della Rivoluzione francese.

rivoluzione-francese-quadroSoprattutto ciò accadde quando, con la soppressione della settimana -con i suoi millenari rituali dell’alternanza del lavoro e della festa- e del culto dei santi, ai cui riti tradizionali, anche culinari, moltissime donne erano legate, fu espressamente vietato  l’uso delle campane. E a suonare di nascosto queste ultime, molte donne, che ospitavano nei fienili preti refrattari che non avevano voluto giurare fedeltà al nuovo ordine rivoluzionario, inviarono i propri figli.

Talvolta suonavano esse stesse le campane dell’Angelus, o facevano suonare ai propri bambini le campane delle mucche. Così, invece dell’odiato décadi, che faceva durare il tempo del lavoro dieci giorni invece di sette, fu celebrata di nuovo la domenica nelle chiese riaperte con l’aiuto delle donne. Tutte queste azioni, naturalmente, erano considerate dalle donne di valore pubblico e non privato, e nulla più che il suono delle campane sembrava sancirne questo importante aspetto.

genie du christianisme

Ma il Tempo delle donne, almeno quello nato in funzione antirivoluzionaria, finì e il Tempo della Chiesa riportò in auge ufficialmente le campane, che trovarono, nelle parole di Chateaubriand, il loro più appassionato cantore. Parole che leggiamo nel Génie du Christianisme (1802) e che meglio non avrebbero potuto annunciare il Romanticismo ottocentesco, perché mai prima uno scrittore aveva dedicato a questo antichissimo oggetto tante affettuose parole.

Perdonando dunque all’autore qualche eccesso sentimentale certamente giustificato dal tempo e dagli affanni in cui il libro era stato concepito, potremo utilizzare per noi queste parole come augurio, affinché questa Pasqua davvero speciale permetta anche a noi tutti di ritrovare l’inizio di una nuova consapevolezza al suono delle campane:

“…E poiché entriamo nel tempio, converrà parlare primamente della campana che vi ci chiama. Innanzi tutto ci pare che fosse una cosa veramente mirabile aver trovato modo di far nascere a un solo colpo di martello in uno stesso momento un medesimo sentimento in mille cuori diversi, ed aver costretto i venti e le nubi a pigliare sopra di sé i pensieri degli uomini…Mirabile religione, che al solo tocco di un magico bronzo può convertire in tormenti i piaceri, sgomentar l’ateo, e far cadere il pugnale dalle mani dell’assassino!” (François-René de Chateaubriand, Genio del cristianesimo… parte IV, l. I, cap. I, 1828 (1. ed. 1802), pp. 3 ss.).

Gea Palumbo docente di Storia e Iconografia, Università di Roma Tre

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